Gianni Riotta, La Stampa 2/4/2013, 2 aprile 2013
UN CODICE NATO SULLA SABBIA DELLA FLORIDA
Nel 1992, in campagna elettorale contro Clinton, il presidente Bush padre decise di combattere le voci che lo volevano aristocratico e snob e, per provare di essere invece un americano del popolo, andò al supermercato a comprare due paia di calzini. Uscendo, dichiarò agli esterrefatti reporter «Avete visto che paese tecnologico siamo? Ora hanno una macchinetta che punta una luce sulle calze e trac esce lo scontrino». Era un codice a barre, in uso ormai da 20 anni nei negozi Usa e il povero Bush apparve come era in realtà, il figlio di un senatore, ex studente di Yale, che mai faceva la spesa ai grandi magazzini.
Ora il codice a barre di anni ne compie 40, usato per la prima volta nel 1973 al supermercato Marsh di Troy, in Ohio, quando Clyde Dawson passò allo scan UPC Universal Product Code una confezione da dieci pacchetti di gomme da masticare Wrigley’s, gusto Juicy Fruit. Non fece in tempo a masticarle, le custodisce ora, con acclusa ricevuta, il Museo Smithsonian a Washington.
Un anno prima, giusto il 3 aprile del 1973, lo standard del codice a barre proposto dalla Ibm era stato accettato e da lì il compleanno ufficiale di oggi. La mezza età del codice che accompagna ogni nostro acquisto, contraddistingue il nostro passaporto, diventa per gli artisti simbolo di conformismo, qualcuno se lo fa tatuare addosso per protesta, accompagna nel braccialetto al polso malati e neonati in ospedale, è storia perfetta dell’impatto sociale, economico e culturale delle tecnologie, di come mai sia lineare, come spesso inventori, aziende, burocrazie e pubblico esitino incerti prima del successo.
Già nel 1932, quando ancora i supermercati erano roba da pionieri, un gruppo di studenti all’università di Harvard, guidati da Wallace Flint, progetta un codice a barre - ma senza lettori elettronici, lo disegna con schede perforate - pensato soprattutto per i negozi di frutta e verdura, dove pesare e contare gli acquisti era lungo e faticoso e i clienti allungavano spesso le mani a fregare due mele o un grappolo d’uva.
Tocca poi a Bernard Silver e Norman Woodland, ricercatori al Drexel Institute of Technology, concepire il nostro codice a barre e il loro percorso illustra come le rivoluzioni tecniche ci cambino, passo passo, la vita. Silver e Woodlans non partono da nulla ma, come quasi tutti gli inventori, ragionano su un progetto già esistente, il codice Morse, sì le vecchie linee e punti del telegrafo. A passeggio su una spiaggia in Florida, Woodland traccia con le dita delle linee in verticale sulla sabbia, allungando le linee e punti Morse: il codice Upc è nato così. Ibm ne riconosce il valore, ma non ha fiducia nella capacità di successo sul mercato, il brevetto passa a Philco, poi a Rca.
Quindi Mercato e Stato decidono che il codice a barre serve per codificare grandi merci in transito, e sono le Ferrovie a usarlo per prime. Ogni vagone, i container non esistono ancora, ha il suo Upc e il capostazione, con un registro rudimentale non un laser, ne annota provenienza, direzione, contenuto. La crisi dei treni e la fine del boom anni 60 fermano lo sviluppo del codice, ma l’informatica è intanto andata avanti e l’Associazione dei Supermarket insiste nel chiedere un metodo per calcolare in fretta la spesa alla cassa. La Rca ha un suo codice pronto, formato come un bersaglio del tiro a segno, la Ibm capisce l’errore fatto, simile a quello che compirà di lì a poco sui personal computer contro Apple, corre ai ripari e ricorre al codice disegnato sulla sabbia da Woodland. Il resto è la storia della nostra vita. Ma anche stavolta il progetto muta in corso d’opera: dalla frutta e verdura, ai treni, di nuovo al commercio al dettaglio.
Le conseguenze sono imprevedibili, un gruppo di archeologi italiani può perfino interpretare certi segni presenti su antiche anfore romane proprio come «codici a barre» del passato, per comprendere natura e valore del contenuto rapidamente. E non mancano, - come potrebbero? - i soliti complottisti, persuasi che dove le linee prendono il posto dei numeri alla base del codice (controllate) si nasconda un 666, la cifra dell’Anticristo nella Bibbia. Non il chip sotto pelle che temono certi nostri parlamentari, ma un modo altrettanto Satanico per controllarci e indirizzarci alla perdizione.
In molti negozi i clienti fanno ormai lo scanning da soli, come stampano la carta d’imbarco in aeroporto passando allo scanner il passaporto. Nuovi codici 2D permettono di raccogliere molte più informazioni e arrivano codici 3D, da usare per stampare a casa propria oggetti e prodotti. Posti di lavoro scomparsi, società più efficienti, aziende razionali, mamme e papà che passano meno tempo in coda, lavoro che riappare nei servizi e informatica, ciascuno può passare allo scanner della coscienza il codice Upc e tirare le sue somme. Resta, da quel pacchetto di chewing gum e quel brevetto di 40 anni fa fino al 666 di Satana, il rapporto tormentato e felice di noi umani davanti alla tecnologia, amata, detestata, temuta, coccolata, che temiamo progettata sulla sabbia, come la nostra coscienza.