Giordano Bruno Guerri, il Giornale 30/3/2013, 30 marzo 2013
QUEI «MOVIMENTI» CHE NON HANNO LA FORZA DI SMUOVERE LA STORIA
Secondo Jürgen Habermas, nella sua Storia e critica dell’opinione pubblica, la società civile è composta da associazioni e movimenti che, più o meno spontaneamente, intercettano e intensificano situazioni sociali problematiche per poi trasmetterle, amplificate, alla sfera politica. È questo lo spunto adottato da Pino Casamassima per Movimenti - Dagli indiani metropolitani agli indignati: le mille stagioni della rivolta globale (Sperling&Kupfer, 383 pagine, 19,50 euro). È una storia, che mancava, dei movimenti che si sono succeduti dal 1977 (il Sessantotto ha una storia a sé) fino a quello attualissimo delle 5 stelle. Denominatore comune è la metafora della molla: «I movimenti sono come una molla, che rilascia con violenza la propria forza propulsiva e che a un certo punto rientra, ma mai del tutto, lasciando una traccia, o un graffio, nella nostra storia». Spesso di tratta di fenomeni poco più che mediatici, come quello dei paninari dei primi anni Ottanta, amplificato dalla neonata, e aggressiva, televisione commerciale. Nel decennio del disimpegno una generazione «senza più santi né eroi», per dirla con Vasco Rossi, sostituisce Bob Dylan con i Duran Duran e decreta «il trionfo di un narcisismo che utilizza sempre più spesso la parola “apparenza”. Esteticamente, “apparire” si coniuga con la cura dell’abbigliamento e del fisico». Appaiono nuovi soggetti sociali che con la loro non-azione politica, il loro non-impegno sociale giustificano la scomparsa del lavoro e la fine della politica: due fra i migliori capitoli del libro.
Nella scuola il movimento dei «Ragazzi dell’85» passa indifferente sotto le forche caudine delle analisi sociologiche e mediatiche, che avevano setacciato i fratelli maggiori del Settantasette e del Sessantotto. Appare e scompare senza conseguenze la Pantera, movimento studentesco nato e morto nel 1990. Accadrà lo stesso, due decenni dopo, all’Onda, che contesta politiche economiche giudicate dannose per la scuola.
Sono movimenti destinati all’oblio per la mancanza di una forte identità e di violenza. Se il Sessantotto aveva vinto sul piano sociale, pur subendo una sconfitta epocale sul piano politico, era stato anche perché aveva goduto della massima visibilità proprio grazie alla violenza. In Italia era stata la battaglia di Valle Giulia, con gli scontri fra celerini e studenti, a comunicare all’opinione pubblica che i giovani cresciuti all’insegna del “benessere” volevano uccidere i padri. Invece il soporifero decennio degli Ottanta viene scosso unicamente dalla deriva omicida delle Br, ormai allo sbando dopo l’assassinio di Aldo Moro.
Intanto, nel mondo c’è un nuovo movimento che presto penetrerà anche il tessuto politico italiano in un crescendo di seguaci: il «No Nukes». Quel «No!» all’energia nucleare ormai divenuto un vessillo tuttora sventolante sulle società europee. Anche in questo caso è la musica a soffiare sulle pulsioni giovanili: dalla West Coast americana, il profeta Jackson Browne canta una nuova ribellione, e quando sbarca in Italia con il suo tour conquista nuovi seguaci alla causa. Nel 1988 il concerto di Bruce Springsteen sotto la porta di Brandeburgo, a Berlino, fu più efficace di qualsiasi discorso: galvanizzati da tre ore di musica “politica”, i giovani tedeschi saranno pronti, da lì a un anno, a picconare il Muro che divideva amici, fratelli e genitori da quasi tre decenni. A raccogliere le schegge del Muro c’erano tutti i soggetti dei nuovi movimenti, insieme ai reduci di quelli precedenti. Punk e Skinheads ballano insieme per una notte prima di confondersi fra le pieghe di generazioni non più catalogabili, a differenza delle precedenti. Da quel momento germoglieranno nuove identità, «l’un contro l’altra armata», fino al movimento No Global, che da Seattle chiama a raccolta i giovani di tutto il mondo per ripensare un sistema di vita diverso. Anche in Italia si sviluppa un sentimento che va oltre il «pensiero verde», fino a produrre un’idea considerata blasfema da generazioni che avevano cresciuto i figli all’insegna del consumo: la «Decrescita». Le teorie di Serge Latouche aprono prima timidi sentieri, poi strade sempre più larghe e destinate a essere percorse da gran parte dei giovani, indipendentemente dalle idee politiche.
I nuovi mezzi di comunicazione, specialmente internet, consentono aggregazioni transnazionali ma anche unioni estemporanee, come quelle dei Black Block, che si ritrovano in un’occasione specifica per poi rientrare nei ranghi delle proprie specificità, magari in altri movimenti. Grazie al web si aggregano movimenti contestativi quali No Tav, Non dal Molin, No Mose, il Popolo viola, i Girotondini, San Precario, fino al revival del Movimento delle donne (Se non ora quando) e quello i cui striscioni avvertono «La vostra crisi non la paghiamo noi», e «Noi 99, voi 1»: dagli Occupy Wall Street agli Indignados di Madrid, agli Indignati italiani. Sullo sfondo, la Grecia della crisi economica brucia fra le retoriche che la ricordano come «culla della civiltà occidentale»; ma è soltanto un attimo, c’è altro cui pensare: occorre abbattere il Potere, quale che sia. È questa la molla che origina i movimenti e che li tiene in vita. La beffa è che il Potere si rinnova e si perpetua proprio grazie ai movimenti che lo vogliono abbattere.