Paul Krugman, il Sole 24 Ore 30/3/2013, 30 marzo 2013
LA SITUAZIONE A NICOSIA NON È ANCORA SOTTO CONTROLLO
La situazione a Cipro a questo punto è abbastanza chiara. Il che non significa che sia rassicurante: anzi, sembra proprio che Cipro sia riuscita a concentrare in un unico luogo tutti gli errori possibili.
1. Un sistema bancario senza controlli. Cipro ha un sistema bancario di proporzioni colossali, con attività pari a circa otto volte il prodotto interno lordo, basato su un modello di business che consiste nell’attirare soldi dall’estero offrendo interessi alti e buone opportunità di elusione/evasione delle imposte.
Ho chiesto un po’ in giro e mi sono chiarito le idee su una cosa che mi lasciava abbastanza perplesso. Ufficialmente, solo il 40 per cento circa dei depositi delle banche cipriote è riconducibile a non residenti, il che implicherebbe depositi dei residenti pari a quasi il 500 per cento del Pil, cosa assurda.
Ma la risposta è che probabilmente il termine "residente" in questo caso non significa quello che pensa la maggior parte delle persone. Una parte del denaro appartiene a stranieri ricchi che vivono a Cipro, molti dei quali hanno lo status di residenti anche se di fatto non vivono nell’isola. Pertanto dobbiamo immaginare che la gran parte dei depositi provenga da cittadini non ciprioti attirati da quel modello di business.
E il modello di business funziona solo finché da qualche parte non viene fuori una grossa perdita: e dato che le banche dell’isola investivano in Grecia e nella bolla immobiliare cipriota, l’esito era inevitabile. Il che ci porta al secondo errore...
2. Una grossa bolla immobiliare, di proporzioni simili a quella di Spagna o Irlanda. Una bolla che non si è ancora del tutto sgonfiata, il che significa altre perdite da mettere in conto. E la combinazione fra bolla immobiliare e introiti provenienti da un’attività bancaria poco trasparente ha portato a...
3. Un’imponente sopravvalutazione, con prezzi e costi che sono saliti molto più che nel resto della zona euro.
Che si può fare? Innanzitutto, le banche cipriote non sono in grado di onorare i loro debiti, che sfortunatamente sono composti nella stragrande maggioranza dei casi di depositi. Un default sui depositi quindi è inevitabile.
Per come la vedo io ora, il pasticcio iniziale è stato un errore congiunto delle autorità europee e cipriote. L’Europa non voleva una risoluzione bancaria esplicita, che fra l’altro avrebbe dato un’indiscussa priorità ai piccoli depositi garantiti; voleva invece questa sorta di piano fiscale fittizio.
Il Governo di Nicosia invece ancora si illudeva che il suo modello bancario sarebbe potuto sopravvivere e voleva ammorbidire l’impatto ai danni dei grandi depositanti stranieri. Di qui la débâcle della tassa sui piccoli depositi.
Alla fine sono arrivati a quello che avrebbero dovuto fare fin dall’inizio: una grossa sforbiciata sui depositi oltre i 100mila euro.
Ma anche così la situazione non è assolutamente sotto controllo: c’è ancora una bolla immobiliare che deve implodere, c’è ancora un enorme problema di competitività (aggravato dal fatto che una grossa industria esportatrice, il settore bancario, se ne è appena andata al creatore) e il bail-out lascerà Cipro con un debito pubblico a livelli greci.
E allora che si fa? Come molti hanno sottolineato, Cipro è meglio posizionato dell’Islanda per fare come l’Islanda, perché una reintroduzione della sterlina cipriota, con conseguente ipersvalutazione della moneta, attirerebbe turisti a frotte. Ma i ciprioti sono disposti ad andare in questa direzione?
(Traduzione di Fabio Galimberti)