Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  aprile 02 Martedì calendario

L’ETERNO CORTILE DI ZANETTI IL BAMBINO HIGHLANDER CHE CONTINUA A GIOCARE

I calciatori possono anche arrivare a quarant’anni, ma non c’è niente da fare: restano quei bambini che giocavano in cortile e non volevano mai rientrare a casa quando li richiamavano.
«Torna, Javier!».
Ascolta, si fa sera. Capisci, questo è il tramonto, ha pure un suo fascino, tra splendore e malinconia, ma dopo il raggio verde c’è la notte e manco lo vedi più il pallone.
«Torna, Javier!».
Hai corso per una vita, ti senti ancora una scintilla di energia dentro, ma fra poco sarai così stanco che faticherai a muoverti, usa le ultime forze per uscire dalla scena prima di crollarci.
«Torna, Javier!».
Nada. Niente. Non ci sente. O fa finta di non sentire. Proprio come gli eterni bambini del cortile: la disperazione di madri, poi di mogli e di figlie. Quelli che l’esistenza non ha orari né stagioni: è sempre pomeriggio e la primavera non finisce mai. Il loro esempio è Javier Zanetti, per gli amici Highlander. La sua pagina su Wikipedia contiene più numeri che parole perché il capitano gentiluomo ha battuto tutti i record di presenza: nell’Inter (complessivamente e/o consecutivamente), nella nazionale argentina, in Champions con la maglia nerazzurra, per uno straniero in serie A. E non intende fermarsi.
È uscito dal campo di San Siro dopo una batosta con la Juventus, Pogba potrebbe (anagraficamente parlando) essere suo figlio.
Ha un contratto che scade a giugno, ad agosto compie quarant’anni. Le sue prime parole, ancora imperlato di sudore sono state: «Un altro anno lo faccio». Ma in quale officina fa il tagliando questo? Chi gli ri-tara il contachilometri che, a occhio, ha passato i duecentomila? Come mai non fonde?
Zanetti ha incontrato due papi: il secondo, Benedetto XVI, per due volte. Poi, perfino quello ha detto basta. Highlander, figurarsi: ha già chiesto udienza a papa Francesco, argentino, appassionato di calcio, il summit si terrà presto e Javier vuole arrivarci da calciatore. È un uomo di fede e le sue preghiere sono state fin qui esaudite. S’innamorò del calcio guardando l’Argentina vincere i mondiali e calciatore è diventato. Deve aver chiesto la grazia di non farsi male perché non ha avuto seri infortuni. Quelli che arano la fascia di solito si logorano presto, lui: mai. Lo aiuta una vita sana. Maicon, che correva dall’altra parte del campo ed era un fenomeno, ha passato troppe serate lontano da lui e si è bruciato. Zanetti non è un fiammifero, è un trasduttore piezoelettrico, un aggeggio solido, capace di tradurre tutte le variazioni del campo elettrico in mutazioni di spessore e lunghezza. Pur di giocare, si adatta a tutto. L’allenatore cambia schema, ma non capitano. Fa l’esterno nella difesa a quattro, il laterale di centrocampo se si passa al 3-5-2, il terzo rebbo nel tridente, se occorre. Nell’emergenza, alla vigilia di un incontro con il Liverpool, raffreddatosi Julio Cesar, qualcuno propose: «Javier Zanetti portiere volante». Mica scherzava: in cortile si fa, soprattutto al crepuscolo, quando il numero di giocatori si riduce perché qualche bravo ragazzo ha ascoltato la mamma.
«Torna, Javier!».
Perché? Non essendosi mai infortunato, non ha idea di come possa essere un’altra vita, di che cosa si possa fare, di diverso, la domenica. Adora sua moglie e i tre figli, ma gli piace salutarli da rettangolo verde: «Aspettate, che poi torno. Faccio un altro anno e arrivo».
Sembra uno di quei negozi che espongono il cartello: «Oggi non si fa credito, domani sì».
Potevamo naturalizzarlo, Javier. Meglio di Ledesma e Thiago Motta. Ci risolveva il problema del terzino (destro o sinistro, ma anche del laterale di centrocampo, dell’ala mai tornante). È italiano dentro, lui. Non tanto per le radici friulane, quanto per l’incapacità di lasciare. Emula Totti, mica Platini. L’Inter guarda l’età media del Milan e invoca un trapianto, ma lui “un altro anno lo fa”. Alcuni suoi eredi, tipo Santon, sono emigrati. Altri, tipo Jung, già sostituiti da giocatori come Peruzzi, segnalati dal capitano in persona. Disponibile anche ad allevarli finché non saranno pronti a rimpiazzarlo: non oggi, domani sì.
Il clan degli argentini ha fatto la fortuna dell’Inter. E la propria. Ogni tanto Zanetti apre un ristorante a Milano, con la moglie o con Cambiasso. Ha comprato il basso di sir Paul McCartney. Ha cantato con Mina e Ramazzotti. Fa un sacco di beneficenza. Fa di tutto. Ma non sa fare a meno del calcio. Nel 2007 Luca Josi e altri sottoscrissero un “patto generazionale” che impegnava i firmatari a “lasciare le cariche di leadership allo scoccare dei sessant’anni”. Italianamente, aderirono con entusiasmo anche alcuni ultrasessantenni. Se c’è ancora traccia di quell’elenco probabilmente vi figura Zanetti Javier, calciatore: «Altri vent’anni li faccio».