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 2013  aprile 02 Martedì calendario

AL MERCATO DELL’E-BOOK USATO

NEW YORK
LISA lavora da Strand, la storica libreria alle spalle di Union Square, quella delle 18 miglia di libri, nuovi ma soprattutto usati. Quando sente nominare gli e-book strizza gli occhi e serra le labbra in una smorfia tra rabbia e paura. Non a caso, per capire l’atmosfera che si respira qui come nel vicino Barnes & Noble, sul sito del negozio appare da qualche mese un’inedita categoria di volumi: quelli che costano meno di quelli digitali. Ora per Lisa e gli altri commessi l’incubo potrebbe anche peggiorare: Amazon e Apple infatti hanno presentato due brevetti per vendere e-book (ma anche canzoni, video, applicazioni e film) di seconda mano. La notizia è del tipo a valanga: parte piano, nessuno o quasi la vede arrivare, poi il brusio diventa un frastuono che travolge tutto e tutti. Chi se n’è accorto subito però sono gli editori che sono già partiti all’attacco annunciando aspre battaglie legali.
La posta in gioco è alta, tanto che il sito (cult per gli amanti della tecnologia) Motherboard commenta con un titolo molto chiaro: «Libri usati digitali: l’idea ridicola che potrebbe distruggere l’editoria».
Nel suo articolo cita alcuni scrittori che chiosano altrettanto laconicamente: «Non è certo una buona notizia. Semplicemente Amazon ci vuole morti, ecco tutto ». E non ha molta voglia di scherzare nemmeno Scott Turow che si sente risucchiato dentro uno dei suoi
legal thriller: «Questa innovazione rischia di mandare tutto in frantumi: perché uno dovrebbe comprare qualcosa a prezzo pieno quando lo può avere per un centesimo?». E nella sua veste di presidente dell’Associazione scrittori anticipa anche l’ovvia contro-deduzione: «Capisco che per i lettori sarebbe una bella sorpresa. Sino a quando però gli autori si stuferanno di lavorare quasi gratis e non ci saranno più libri da leggere».
La tecnica dei due brevetti, benché ancora non spiegata nel dettaglio, dovrebbe essere piuttosto semplice. Adesso quando compro un e-book in realtà lo af-
fitto perché i diritti non sono miei e la vendita ne è severamente proibita. Grazie ai nuovi sistemi (con i servizi iCloud o la cessione dei file) invece posso decidere di vendere il romanzo che ho letto, fisso il prezzo, che sarà ovviamente più basso, e infine ne perdo il diritto di accesso (preservando così la proprietà singola). Gli oltre 200 milioni di clienti di Amazon darebbero così vita ad un gigantesco sito di scambi. «Gli strumenti per fare tutto questo ci sono praticamente già», conferma al New York Times Bill Rosenblatt, presidente di una società leader nella consulenza tecnologica, ma anche lui aggiunge: «Il problema è che la diminuzione del costo potrebbe portare effetti drammatici sulla creatività».
Il terremoto legale è già nel vivo. Sabato un giudice ha dichiarato illegale «la riproduzione di file digitali, perché sono una palese violazione del copyright», accogliendo il ricorso di Capitol Records contro ReDigi, una start up che ha creato un sistema per permettere alle persone di comprare e vendere liberamente canzoni.
Un punto perso in teoria anche per Apple e Amazon, ma ora ci saranno gli appelli e il brivido di paura che corre lungo la schiena degli editori non si ferma. Infatti quello che non si capisce del brevetto è come (e soprattutto se) loro saranno consultati e/o coinvolti. Ed è qui che il detonatore si innesca dentro un mondo già in fibrillazione, in America come in Europa, come spiega
Giuseppe Calabi, avvocato e uno dei massimi esperti di contenuti digitali: «Da un lato c’è la legge sul diritto d’autore: dopo la vendita, l’editore perde il controllo sulla copia che viene acquistata e può esser rivenduta. Principio che però si è sempre pensato non valesse per il digitale. Poi c’è stato il caso Oracle che ha stabilito una cosa diversa: chi compra un software lo può rivendere. Insomma siamo ancora in un campo inesplorato».
Il brevetto, nota infatti Wired, non è di per sé questa grande innovazione, l’aspetto più interessante,
forse decisivo, è quello della limitazione dell’uso del file: vi prometto che c’è e ci sarà sempre e uno e soltanto uno che lo potrà utilizzare, sembra dire Amazon strizzando l’occhio ai suoi nemici. Ma c’è un secondo problema ancora più evidente. Spesso con il libro di carta, i lettori decidono di non comprare la copia di seconda mano perché è rovinata, ha le “orecchie” oppure la copertina tutta graffiata, ci sono le note a margine o non è immediatamente reperibile. Ma la copia digitale è uguale a quella originale, perfetta all’infinito,
vendita dopo vendita, anno dopo anno: allora perché un consumatore dovrebbe decidere di comprare quella che costa di più? La domanda ne chiama un’altra ancora più inquietante: perché Amazon dovrebbe minare alle fondamenta un affare che ora le procura ingenti guadagni?
Ed è ancora Bill Rosenblatt a spiegare: «Un mercato di seconda mano in realtà non farebbe fare più soldi alla società di Bezos, almeno non subito. Ma potrebbe dare un grande impulso all’altra sua attività crescente, quella di editore. Se infatti riesce a farla franca con le transazioni digitali senza compensare le case editrici tradizionali, Amazon potrebbe dire agli autori: ehi, venite con noi e vi daremo accesso ad una parte delle vendite di seconda e terza mano». Una rivoluzione culturale oltre che economica. Che arriva in un momento cruciale con gli e-book che stanno conquistando sempre più quote di mercato e con il moltiplicarsi (come scriveva qualche giorno fa il Wall Street Journal) di autori che decidono di pubblicarsi da soli. Da manuale il romanzo di fantascienza
Wool di Hugh Howey che in pochi mesi ha già guadagnato milioni di dollari e venduto i diritti cinematografici a Ridley Scott.
Wired poi osserva che l’aver depositato il brevetto potrebbe essere addirittura un modo per toglierlo dal mercato: tipo deterrente atomico. Ma gli esperti sembrano poco propensi a credere a quest’ultima possibilità.
L’ipotesi più accreditata è che Amazon potrebbe decidere di non andare allo scontro frontale ma accettare un dialogo costruttivo con gli editori e gli scrittori, promettendo loro soldi in cambio di una pax legale. Una partita a scacchi che porterebbe Jeff Bezos in un ruolo sempre più centrale nel mondo dell’editoria con uno spostamento di potere epocale. Tanto che il
Washington Postdedica
il suo inserto culturale di ieri alla «sfide rivoluzionare che attendono il mondo dei libri». Nell’inchiesta parlano editori, scrittori, agenti letterari, librai e tutti gli altri protagonisti.
«Cambiamento e niente sarà più come prima», le due frasi più ripetute. Con un filo di pessimismo e qualche tentativo di resistenza: «La nostra sfida è convincere i clienti che da noi possono trovare tutto quello che non possono avere da un rivenditore online: incontri con gli autori, corsi, iniziative, consigli », dice, quasi a farsi coraggio, il responsabile di una delle migliori librerie della capitale.
Ma non ci sono solo tensioni o querele all’orizzonte. C’è anche chi festeggia, come le biblioteche che vedono finalmente avverarsi un loro sogno: «Adesso infatti noi non possiamo possedere e dunque prestare la maggior parte dei libri digitali, privando così i nostri lettori di un servizio. Finalmente la situazione cambia», spiega Brandon Butler, direttore del Dipartimento nazionale di ricerca.
Ed esulta anche David Pogue, una delle firme di punta del New York Times, che in una incandescente diretta Tweet scrive: «Leggo la notizia dei libri digitali di seconda mano e brindo. Li ho sempre amati, gli e-book, ma non mi è mai piaciuto non poterli passare ad un altro dopo averli letti. Grazie a questi brevetti si risolve il problema. Incrocio le dita». Filosofica la conclusione tra una domanda e l’altra dei lettori: «Le cause legali? Si metteranno d’accordo, come è sempre stato. Non si possono fermare le rivoluzioni».
Non resta che spiegarlo a Lisa e ai suoi colleghi, che per scacciare le paure sul loro futuro respirano l’odore misto di polvere, carta e legno che ti coccola quando entri da Strand e che nessun brevetto può riprodurre.