Vittorio Zucconi, la Repubblica 2/4/2013, 2 aprile 2013
LA MALEDIZIONE DI OSAMA CHE UCCIDE I NAVY SEALS
WASHINGTON È la leggenda del Faraone che ritorna attraverso lo spettro di Osama bin Laden. Chi ne violò la casa-sepolcro in Pakistan, pagherà con la vita, come i razziatori del tempio maledetto. Nel secondo anniversario dell’esecuzione, muore in addestramento uno dei Seals dei commando che lo uccisero nella primavera del 2011.
UN SECONDO è ferito gravemente, nello stesso giorno, dopo che altri 22 uomini del «Team 6», la squadra che diede l’assalto alla desolata fortezza dello sceicco terrorista, precipitarono e morirono su un elicottero in Afghanistan, poco dopo la missione.
Non c’è, naturalmente, nessuna «Maledizione di Osama», nessun «Tempio Maledetto», come la «vendetta dei Faraoni » contro chi violava i loro sepolcri e si ammalava era effetto di microrganismi, polveri tossiche, detriti respirati e assorbiti dagli archeologi e da tombaroli. Ma l’idea che quell’oscuro, ancora molto misterioso attacco al torvo tempio di Bin Laden ad Abbottabad in Pakistan, stia esigendo un prezzo di vite da chi lo compì e che il potere di morte dell’ideatore della strage del 9/11 si estenda anche oltre la vita, è irresistibile.
Nella realtà, la professione, l’addestramento, le missioni dei 2.500 uomini e donne che formano i corpi speciali dei «Navy Seals», (ma il totale vero è sconosciuto) assaltatori di mare, cielo e terra come vuole il loro acronimo, scorrono sempre sul filo del rischio quotidiano della vita, anche senza maledizioni dall’oltre tomba. Bratt Shadle, ucciso a 31 anni due giorni or sono, stava addestrandosi a lanci con il paracadute a bassa quota e il suo compagno che aveva partecipato all’assalto a Bin Laden, ferito seriamente, si era lanciato sullo stesso aeroporto in Arizona, per provare tattiche anti- terrorismo.
I 22 Seals uccisi nella caduta dell’elicottero Chinook in Afghanistan, per guasto meccanico o per un razzo lanciato dai Taliban, sapevano bene, come i sovietici trenta anni or sono, che volare a bassa quota su elicotteri nella valli afgane sballottate da correnti ed esposti a
lanciarazzi è ad altissimo rischio. Tutti facevano parte di quella «Squadra 6» creata negli anni della Guerra Fredda con un falso numero, quel «6», appiccicato per far credere proprio all’intelligence russa che ce ne fossero almeno altri cinque. Che non c’erano.
Se una maledizione della mummia, come volevano le leggende egiziane, o in questo caso del corpo di Osama gettato sul fondo dell’Oceano Indiano dal ponte della portaerei Vinson, esiste, questa sembra colpire, più che i corpi, la memoria e la vita dei circa 30 giustizieri fantasma — la cifra vera è, come tutto quello che riguarda i Seals, segreta — che fecero irruzione nell’ultimo rifugio del fondatore di Al Qaeda. Neppure l’epopea cinematografica della Bigelow, «Zero Dark Thirty», 30 minuti dopo la mezzanotte nello slang dei commando, ha placato le anime dei viventi.
Circolano almeno tre versioni degli ultimi minuti dopo l’oscurità, quattro se contiamo il film. Matt Bissonette, uno dei tre che entrarono nella stanza dove era annidato Osama avvolto nel suo ampio pigiama con 500 dollari cuciti nella fodera, ha raccontato la propria verità in un libro “Una giornata difficile”. Ha spiegato di essere stato lui a colpire alla testa lo sceicco con due colpi della sua carabina automatica Colt M4A1, prima che fosse finito con tre pallottole al petto dal secondo Seal. Un altro, che ha mantenuto l’anonimato in un’intervista a volto coperto con lo specialista di terrorismo della CNN
Peter Bergen, ha licenziato tutte le ricostruzioni circolanti come «pura aria fritta », usando un’espressione più maleodorante.
E sul portico cadente della propria casupola, un terzo attore si è alzato a raccontare una terza sceneggiatura. Un ex dei Seals identificato semplicemente come «The Shooter», lo sparatore, ha spiegato al magazine
Esquire in una lunghissima intervista di essere stato lui, non Bissonette nè l’anonimo della CNN, a tirare i colpi che freddarono Osama Bin Laden. E di essere ora, abbandonato e dimenticato, completamente in miseria,
senza lavoro, con moglie e figlia da mantenere e da curare. «Un altro ballista che cerca di approfittare della pietà pubblica » lo ha fulminato Bissonette che conosce bene «The Shooter» e spiega che lui fu espulso dal corpo dei Seals quando cominciò a fare il giro dei saloon a Virginia Beach, dove si addestrano nelle operazioni di sbarco, vantandosi di essere colui che aveva fatto fuori il nemico numero 1.
Come sempre, chi sa la verità non parla, chi parla non conosce la verità. La vera «maledizione di Osama» è di avere consegnato alla fantasia, al giornalismo sensazionalista, al cinema e a futuri editori quei 30 minuti finali dell’operazione «Tridente di Nettuno» come era stata classificata dalla Cia, che condusse l’operazione invece del Pentagono, per farla passare come azione di spionaggio e non di guerra. Più che la vendetta di un grande criminale dal fondo dell’Oceano dove è stato buttato dopo avere prelevato quei campioni di Dna che hanno permesso di identificarlo con certezza nel confronto con il Dna dei molti Bin Laden, sembra la «maledizione di Kennedy», proiettata in un futuro di ipotesi e scenari e complotti non dimostrabili. Il solo partecipante all’esecuzione e alla scalata verso il terzo piano dove era rintanato Osama che conosce i fatti e non saprebbe mentire né lavorare di fantasia sarebbe il soldato Cairo. Peccato sia un cane, il Pastore Malinois in servizio con i Seals in quell’attacco mezz’ora dopo la notte.