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 2013  marzo 30 Sabato calendario

AL BAZAR DI SURAT DOVE I DIAMANTI SI VENDONO PER STRADA

Alle sei del pomeriggio a Madharpura, uno dei bazar dei diamanti di Surat, c’è così tanta folla che si fa fatica a camminare tra file di motociclette parcheggiate, venditori di noccioline e piccoli templi da cui escono zaffate di incenso.

Ramesh, 55 anni, è seduto sulla sella tigrata della sua Honda e con una lente di ingrandimento sta esaminando un mucchietto di brillanti su un cartoncino blu. Con un gesto veloce ripiega il pacchetto e se lo infila in una voluminosa tasca sotto la camicia. Poi annota qualche cifra su un quadrettino di carta e lo porge al suo fornitore dopo uno sguardo di approvazione. Affare fatto. Quindi torna a masticare il suo tabacco speziato.

Ramesh è uno dei 10 mila intermediari di Surat, la seconda metropoli del Gujarat, il prosperoso stato del Mahatma Gandhi e della destra indù sulla costa occidentale dell’India. In questa caotica città da 5 milioni di abitanti e con una crescita vorticosa, il 90% dei diamanti del mondo sono selezionati, tagliati e levigati. Nelle viuzze polverose e piene di fili elettrici di Madharpura, Mini Bazar e Katargam, ogni giorno transitano 73 milioni di dollari sottoforma di queste pietre preziose attraverso una ragnatela impenetrabile di broker, società di importexport, laboratori e corrieri. Il giro d’affari dell’industria diamantifera di Surat ammonta a circa 14 miliardi di dollari annui, dà lavoro a mezzo milione di persone e 4 mila aziende piccole e grandi. Contribuisce a circa l’8% dell’export indiano diretto soprattutto negli Stati Uniti, Hong Kong e Emirati Arabi Uniti.

Grazie a bassi costi della manodopera e dell’intermediazione, l’India è diventato il polo mondiale della lavorazione dei diamanti grezzi intaccando il primato dello storico centro di Anversa, in Belgio, che per altro è dominato dai «gujarati» di fede giainista.

Ma tra i vantaggi c’è anche quello della sicurezza. Il mega colpo del 19 febbraio all’aeroporto di Bruxelles quando furono trafugati 120 pacchetti di diamanti per 50 milioni di dollari «qui non potrebbe mai succedere» afferma Rohit Mehta, ex presidente della Surat Diamond Association (Sda) e ora a capo della Camera di commercio del sud del Gujarat. «Il mercato è molto parcellizzato e non ci sono mai grandi quantità di merce concentrate in un solo posto – spiega - . Dal di fuori potrebbe sembrare vulnerabile, ma in realtà tutti si conoscono e per un ladro sarebbe molto difficile farla franca».

Tra di loro i «broker» si chiamano «Babu Bhai», «Lallu bhai», «Ganesh bhai» dove «bhai» sta per fratello. Tengono la merce in speciali canottiere con tasche che celano sotto la camicia. Se ne stanno tutto il giorno seduti sulle loro moto, con le pance «gonfie» e anonime borse piene di banconote.

La lavorazione, invece, avviene in piccole stanze di quattro o cinque operai seduti per terra, ognuno specializzato in una delle complesse operazioni che trasformano la pietra grezza in una gemma luccicante.

Quasi tutti quelli con cui parliamo giurano che a Surat non c’è stato neppure un furtarello. Nel piccolo posto di polizia a Madharpura gli agenti stanno guardando un film di Bollywood. Se si prova a spulciare le cronache locali, emerge che di recente il padrone di un laboratorio è stato pugnalato e che lo scorso anno degli intermediari sono stati rapinati da «finti clienti» in un hotel. Ma sono bazzecole se si considera la montagna di denaro e diamanti concentrata in pochi chilometri quadrati.

Per la polizia il maggior cruccio sembra essere la minaccia del terrorismo che di tanto rialza la testa in India. L’ultima grave strage a Mumbai nel 2011 ha colpito il quartiere delle gioiellerie di Opera House, dove transitano i brillanti tagliati in Gujarat. «Abbiamo installato 140 telecamere a circuito chiuso e presto ne metteremo altre 500» ci dice il vice commissario della polizia S.M.Katara precisando che «la spesa è sostenuta dalle aziende diamantifere». Ci sono 60 pattuglie della polizia che fanno la ronda di notte dove ci sono i caveaux.

Mentre i piccoli laboratori a conduzione familiare sono addirittura senza porta, la palazzina a sei piani della Sanghavi Export International Pvt, una delle più grandi aziende di Surat che esporta in tutto il mondo, ha un apparato di sicurezza simile a una banca. I visitatori sono fotografati all’ingresso. «Il colpo di Bruxelles è opera di una gang di professionisti che per fortuna non esistono qui in Gujarat dove il business dei diamanti è in mano a delle comunità ristrette di persone»’ dice dal suo ufficio con vista panoramica Aagam Sanghavi, giovane rampollo della famiglia che è anche il direttore dell’Indian Diamond Institute, una scuola professionale che sforna oltre mille studenti all’anno.

Ma secondo un’inchiesta di un settimanale indiano, nelle mani dei «bhai» di Surat passa anche il commercio illegale dei «blood diamond», quelli provenienti di contrabbando dai conflitti africani. Sono venduti con uno sconto fino al 30% e mescolati con quelli «puliti» che hanno il certificato del Kimberley Process.

«In questo mercato transita di tutto, dai diamanti della guerra, al denaro sporco frutto di evasione» sussurra un medico cristiano, Pradip Martin, che ha un ambulatorio vicino a Mini Bazar. Racconta anche dei rischi per la vista degli operai che stanno per ore chini sul tavolo a scrutare i brillanti: «A 40 anni hanno già tutti la cataratta».

Le condizioni di lavoro sono simili a quelli della schiavitù. «Poco tempo fa - racconta - mi hanno portato un ragazzo che era stato picchiato dal padrone perché sorpreso a rubare». E poi con un pizzico di amarezza conclude: «Guadagnano montagne di soldi e poi li donano al tempio». Ma è proprio questa l’ottica degli operosi «gujarati», i «calvinisti» dell’India, strettamente vegetariani, niente alcol e fumo, ma solo diamanti e affari.