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 2013  marzo 30 Sabato calendario

BERSANI, PROGETTO AL CAPOLINEA

Rimane ancora possibile che il Presidente Napolitano, dopo un ulteriore giro di consultazioni con le forze politiche, decida di conferire l’incarico pieno a Bersani. Ma, comunque vada, il progetto portato avanti dal segretario del Pd a partire dalle primarie/Congresso del 2009 pare arrivato al capolinea.

Doveva essere il primo leader postcomunista ad arrivare a Palazzo Chigi eletto dal popolo. Non arrivato lì per vie traverse, come D’Alema. L’allievo che supera il maestro. Avrebbe vinto «alla grande». Lo dicevano un po’ tutti, tra Bologna e Modena, se solo ti capitava di parlare di politica con gli appassionati sostenitori della ditta. Tutti semmai a chiedersi come sostituire il suo gemello, Vasco Errani, sulla plancia di comando della Regione, visto che sicuramente sarebbe salpato per Roma. Tutti pronti a festeggiare la fine della maledizione emiliana, di non aver mai partorito da un grembo così generoso leader nazionali. L’Emilia degli amministratori pragmatici, di poche parole, che risolvono i problemi rimboccandosi le maniche. I Bersani, gli Errani. E i Migliavacca.

La sconfitta del «modello emiliano da esportazione», comunque vada, fa davvero male. Brucia un po’ come la febbre e la gente dei circoli non ci crede, mentre è andata a finire nel peggiore dei modi. Non tanto per il temporeggiamento decadente intorno a consultazioni inutili, non per l’immagine di un leader confuso e smarrito alla ricerca di qualche zattera di salvataggio addirittura fuori dal Parlamento, ma per quello scambio crudele restituito in maniera violenta e impietosa dalla diretta streaming tra Bersani e i 5stelle, tra due mondi paralleli, incapaci di capirsi, incapaci di parlarsi e di sfiorarsi. Tra l’esagerata strafottenza di chi, neofita al potere, si presenta come angelo vendicatore contro i soprusi ventennali della casta e un anziano, tradizionalissimo segretario di partito che ancora non si è accorto di aver probabilmente perso il suo più importante appuntamento con la storia.

L’operazione nostalgia. «Cosa vuol dire post-identitari, post qui … post là… ma che cavolo ... mi danno del passatista, ma io non demordo … Quando dico le radici per me sono il senso, l’orizzonte». Così parlava ai giovani Pd nel luglio 2009 prima delle primarie per la segreteria. Aggiungendo in puro bersanese: «Non puoi essere un astronauta disperso nello spazio a cercare il riformismo come a cercare funghi...». Rieccola, l’ossessione per l’identità e l’eredità del partito. Quello precedente al Pd, naturalmente. L’incomprimibile esigenza di perimetrare il «noi» rispetto agli altri. Per tenere stretto lo zoccolo duro degli elettori post-comunisti e dei giovani precocemente arruolati dalla ditta. Gli stessi d’altro canto che l’hanno sempre sostenuto e senza i quali la classe dirigente in cui Bersani si rispecchia (i segretari di federazione, i soldatini del suo battaglione parlamentare) non avrebbe nessuna rete di protezione. Gli anziani grinzosi e increspati dei Palasport e delle Feste dell’Unità a cui bastano poche immagini sperimentate e il rapporto sentimentale con la politica rievocato da tortellini e salsicce, tagliatelle e tombolate, birra e cotechino, bandiere Pd a mo’ di tovaglia, e l’eterno sottofondo dei rocker emiliani in pensione (dagli Stadio a Ligabue, da Guccini…a Vasco Rossi). Bersani avrebbe voluto ridare «un senso a quella storia» ma non è riuscito a trovarlo. Eppure era il Ministro delle liberalizzazioni e del viaggio nei distretti del Nord-Est, capace di parlare ai piccoli imprenditori del Nord e di proporsi come un’alternativa efficace e vincente a Berlusconi.

Il partito solido. Il Pd nostalgicamente raccontato da Bersani, dal 2009 in poi, diventa quello «strutturato e radicato nel territorio». Un altro riflesso condizionato da dirigente del partito emiliano e segno premonitore del crepuscolo. «Che gli elettori vogliano un partito liquido è una stupidaggine. I nostri elettori ci chiedono di essere meglio organizzati e un po’ più solidi. La gente non vuole venire ogni quattro anni nei gazebo». Un partito organizzato in cui ci sono regole precise a cui tutti devono sottostare. Come nella famosa bocciofila, in cui «decide il circolo se devi giocare a punta oppure a goccia e non certo il giocatore». Un partito di sezioni e assemblee, teatro di estenuanti incontri in cui raccontarsi gli eventi dall’interno, tra di noi. Perdendo di vista come gira il mondo fuori. Una autoreferenzialità cercata e difesa fino all’ultimo. Con una scia infinita di «Analisi del post-voto», «Agorà sulla difficile situazione del Paese», incontri su «Quale governo per l’Italia» e «Tutti per Bersani», mentre tutto stava andando a rotoli.

C’è da chiedersi se il Pd ce la farà a dare una lettura della realtà all’altezza dello spirito dei tempi. Anche se Napolitano facesse fare un tentativo in Parlamento a Bersani, andremmo incontro a un governo traballante, incapace di affrontare con determinazione i problemi mastodontici di un paese in caduta libera. Qualsiasi cosa succeda oggi, difficile pensare che l’operazione nostalgia possa essere ancora spesa di fronte agli elettori. C’è da chiedersi se la nuova generazione dei dirigenti democratici riuscirà a smarcarsi dal catalogo delle ossessioni e a praticare davvero il modello di partito nuovo e aperto, evocato quando il Pd fu fondato. Se ci sarà un’occasione vera per nuovi leader che sappiano dare senso a una storia del tutto nuova.