Giampaolo Visetti, la Repubblica 30/3/2013, 30 marzo 2013
LA MINACCIA DI KIM, DITTATORE-BAMBINO CHE SPAVENTA IL MONDO CON L’ATOMICA
PECHINO — Il “dittatore-bambino” torna a puntare contro il mondo il suo incubo atomico, ma “l’apice dello splendore”, soprannome con cui lo chiama la propaganda ufficiale, riluce sempre meno. Dopo l’escalation di minacce, razzi- test e video-shock, Kim Jongun orienta i missili di Pyongyang contro Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, facendo scattare l’allarme bellico nel Pacifico.
Retorica di regime, ma l’esasperazione internazionale questa volta è oltre il livello di guardia e le immagini diffuse dalla Corea del Nord, oltre a far suonare l’allarme negli Usa, sfidano la crescente irritazione di Cina e Russia. Pechino e Mosca temono l’imprevedibilità dell’autoproclamato “giovane leader” e il presidente cinese Xi Jinping comincia a diffidare del «genio dei geni militari», che con la sua corsa atomica giustifica il riorientamento americano verso l’Asia e rischia di isolare la seconda economia mondiale nel momento in cui vede il sorpasso sugli Usa. Il regime è dunque più fragile ma in queste ore nella comunità internazionale prevalgono i timori per quello che molti chiamano «il despota più pericoloso del presente ».
Ad autorizzarlo, il mistero che al di là del 38° parallelo circonda l’unica dinastia comunista ereditaria della storia. Di Kim Jong-un, come del padre Kim Jong-il e del nonno Kim Il-sung, si sa ciò che la propaganda lascia filtrare. Il
“bambino-atomico”, accreditato tra i 28 e i 30 anni, è salito al potere nel dicembre 2011 dopo che il padre è morto, ufficialmente per infarto, a bordo del treno a cinque stelle che usava quale unico mezzo di trasporto. Figlio una ballerina giapponese, terza moglie del padre, per assicurarsi la successione si è dovuto sbarazzare di due fratelli e di una sorella, alleandosi con l’ala della famiglia più vicina ai generali che sostenevano il “Caro leader”. Assicura che il potere gli deriva dal sole, mito dell’Oriente, ma la sua è una formazione da
rampollo dell’alta borghesia occidentale. Prima di mettere le mani sulla “ valigetta rossa” di Pyongyang, ha frequentato sotto falso nome il più esclusivo college di Berna e in Svizzera, oltre a imparare l’inglese, ha tessuto amicizie con gli eredi delle più famose famiglie dell’aristocrazia europea. Un anno fa si è proclamato “maresciallo in capo”, la propaganda lo accredita di una tesi universitaria in “strategia bellica” scritta a 16 anni e di una “patente per carrarmato” conseguita addirittura a tre, ma la sua formazione “capitalista” conferma le passioni di un adolescente viziato: belle donne, auto di lusso, superalcolici e champagne, le aragoste adorate dal padre e il basket americano.
In questi mesi ha esibito divise scure da ufficiale rivoluzionario, guanti in pelle nera e un’acconciatura a cresta mutuata dai calciatori più famosi, di cui si dice non perda un goal. Le immagini tivù del regime-eremita documentano però che ha sposato un’anonima ragazza coreana, forse una stella del pop nazionale, e che non riesce a fare a meno dei suoi hobby: collezionare personaggi della Walt Disney, andare al luna-park e ascoltare concerti del rock made in Usa. A fine febbraio, dopo aver ricevuto i vertici di Google, ha accettato la visita di alcune ex stelle della NBA, guidate dalla pensionata star degli Harlem Globetrotters, Dennis Rodman. Proprio Rodman ha detto che «Kim recentemente è divenuto padre di una figlia» e che «questo evento lo ha profondamente cambiato». Non la pensa così l’ambasciatore britannico a Seul, il solo diplomatico occidentale ad averlo incontrato, che si è visto ricevere per pochi minuti a bordo di una mini-vettura lanciata sulle montagne russe.
La propaganda di Seul, sostenuta dai servizi segreti di Tokyo e Washington, gioca la sua partita, ma è l’alleato storico di Pechino a confermare che l’irruzione del “Giovane leader” sulla scena internazionale spinge “la corsa atomica” del Nord verso «l’impossibilità di prevederne gli sviluppi». La scorsa settimana le spie sudcoreane hanno rivelato che Kim Jong-un sarebbe «sfuggito all’ennesimo attentato», Seul assicura che l’attuale «strategia della tensione esterna» serva a coprire «un’instabilità interna pronta ad esplodere», mentre i satelliti Usa mostrano che Pyongyang è impegnata ad ingrandire i gulag che
ospitano oltre 5 mila prigionieri politici. Amnesty International ha denunciato che i “campi” del Nord continuano ad aumentare, annullando la distinzione tra detenuti politici e popolazione dei villaggi, e ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta Onu sulla violazione dei diritti umani.
Verità difficile fino a quando resisterà la frontiera militarizzata, relitto della Guerra Fredda, ma la rivelazione cinese sul tesoro miliardario di Kim, depositato in dozzine di conti bancari a Shanghai, lascia intuire che la stabilità del Nord, nonostante la comparsa di minigonne e tacchi a spillo, manifesta sinistri scricchiolii. La “Primavera” a Pyongyang non è ancora arrivata: e non è detto che, nonostante lo spettro dei missili atomici, tocchi al “Grande successore” cogliere i fiori di un cambiamento ormai inevitabile.