Sandro Modeo, Corriere della Sera 30/03/2013, 30 marzo 2013
IL PRESSING DEL GENOMA SULLA VITA
«Quello che c’è di più terrificante nell’universo — dice Stanley Kubrick in una famosa intervista — non è la sua ostilità, ma la sua indifferenza». Poche formule esprimono con la stessa efficacia, concentrando una visione estesa da Lucrezio a Pascal e Leopardi, la solitudine non solo del Sapiens, ma della vita tutta, in senso fisico-biologico, in un contesto tiranneggiato dal secondo principio della termodinamica, e in quanto tale tendente al disordine, alla dissipazione di energia e alla «morte termica».
In tutti i suoi libri — in particolare in quelli degli ultimi anni — il fisico e genetista Edoardo Boncinelli ha costeggiato o avvicinato più volte questa solitudine cosmica della Terra e dei suoi abitanti: ma ora raccoglie e riformula tutte quelle sequenze nel montaggio serrato di un libretto, Vita (Bollati Boringhieri), che va molto oltre la semplice introduzione didattica. Intanto, a monte, Boncinelli chiarisce proprio come ogni organismo, dai batteri all’uomo (inteso come «una determinata quantità di materia organizzata, limitata nel tempo e nello spazio, capace di metabolizzare, riprodursi ed evolvere») non sia una violazione o una deroga rispetto alle leggi fisiche (a partire dallo stesso secondo principio), ma semmai un «recinto» o una temporanea «terra franca» che conferma, di quelle leggi, il carattere inesorabile: ognuno di noi è un atollo di ordine il cui consumo di energia non fa che aumentare il disordine nel freddo oceano di materia circostante.
Per illuminare questo apparente paradosso, il libro segue due percorsi simultanei e armonizzati. Il primo — in una sorta di narrazione lineare — ricostruisce nei dettagli i passaggi-chiave congiungenti la Terra delle origini (quattro miliardi e mezzo di anni fa) col momento in cui, attraverso la nostra consapevolezza, la materia vivente riflette su se stessa: il formarsi di condizioni ambientali (temperatura, acqua, luce, atmosfera) favorevoli a un brulichio biochimico che organizza per prove ed errori i primi costituenti molecolari: l’azione delle piante e dei miliardi di miliardi di organismi fotosintetici (produttori dell’ossigeno che respiriamo); l’aggregarsi di informazione biologica (rna e dna) e il conseguente dominio dell’evoluzione e della selezione naturale. Il secondo percorso — focalizzato sugli snodi concettuali — parte dall’idea controintuitiva che il vivente non si pone verso l’ambiente in maniera passiva e difensiva, ma attiva e costruttiva.
Quando Boncinelli usa per la vita certi verbi («affiorare» o «affacciarsi»), ci ricorda proprio questa tensione esplorativa, che vediamo già negli eventi e nei processi biochimici in interazione con le radiazioni solari, e poi — a livello di organismi — nelle variazioni (mutazioni) del genoma o nell’allerta sensoriale e cognitiva del cervello che non aspetta gli stimoli, ma li cerca, in un pressing incessante. Le forme viventi, in sostanza, non producono risposte all’ambiente, ma vi immettono un ventaglio di proposte, selezionate in base alla loro efficacia adattativa (in una scrematura di cui vediamo l’esito solo a posteriori) e poi trasmesse, via genoma, alla discendenza.
Intrecciando i due percorsi della vita (la sua storia e i suoi «schemi» operativi) è più facile afferrarne altri caratteri peculiari e altri apparenti paradossi. Per un verso, incidono di nuovo vincoli fisico-matematici: ogni organismo vivente — posto oltre la soglia della dimensione subatomica, cioè in quella molecolare — non deve essere «né troppo piccolo né troppo grande», in una scala che va dai batteri alle balene (per tacere dei dinosauri). Per un altro, incide invece l’azione del genoma: se non ci fossero i (radi) errori di replicazione (cioè le variazioni-mutazioni), l’evoluzione e la dialettica selettiva tra organismi e ambiente si arresterebbero.
In quanto «equilibrio dinamico» — ordine temporaneo — che armonizza materia, energia e informazione, la vita procede tra continuità e variabilità, persistenza e cambiamento, in un’omogeneità — fisica e genetica, fisica prima che genetica — che non prevede slanci finalistici, scopi, progressi o significati. Fuori da ogni ottica antropocentrica, «le cose accadono e basta». Eppure, ricorda giustamente Boncinelli, è proprio quell’ottica (da cui non possiamo emanciparci del tutto) ad aver dato alla materia la possibilità di «rispecchiare se stessa e cogliersi in un orizzonte di senso».
Se la vita nel cosmo — allo stato attuale delle nostre conoscenze — è più un’eccezione che la regola, ancora di più lo è la coscienza della vita espressa dalle nostre connessioni neurali e dal nostro linguaggio. Per quanto non sia scritto da nessuna parte che una simile, sottilissima fenditura nell’opacità della materia possa durare nel tempo, forse è il solo accidente in grado di turbare — almeno in queste periferie remote, disposte, peraltro, lungo uno spazio in cui tutto è periferia — l’«indifferenza dell’universo».
Sandro Modeo