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 2013  marzo 30 Sabato calendario

GLI OPERAI MARATONETI DI AMAZON. DIECI KM AL GIORNO TRA GLI SCAFFALI —

Marco sgambetta, rallenta, alza gli occhi e sussurra qualcosa di matematico: «B189D, 114». Poi raccoglie dall’alto un pacco, pigia un bottone dello scanner e sorride. Fatto. Il pezzo è stato registrato e lui, magazziniere green badge (interinale), è in perfetta tabella di marcia, pronto a riprendere la corsa verso una nuova cella, un nuovo scaffale, un nuovo pacco. Li chiamano i maratoneti di Amazon, sono centinaia di magazzinieri che lavorano con le scarpe da tennis ai piedi e un contratto in tasca: 8 ore al giorno, cinque giorni a settimana, circa 1.050 euro al mese e quel certo numero di pacchi da spostare da una corsia all’altra, in un tempo prestabilito. Il che corrisponde, secondo il giovane magazziniere, ad almeno 10 chilometri al giorno. «Qui si fanno gambe e fiato», scherza ma fino a un certo punto.
Siamo nel Centro logistico di Amazon Italia, avveniristico capannone industriale grande come sei campi di calcio e alto come un palazzo di tre piani che spunta grigio e azzurro dalle campagne piacentine di Castel San Giovanni. All’orizzonte le dolci colline della Val Tidone, tutto intorno il reticolo di strade e autostrade che rende agevole ai tir di mezza Europa arrivare, scaricare e ripartire con i prodotti distribuiti dalla multinazionale americana del commercio online, capace di fatturare globalmente lo scorso anno 61,09 miliardi di dollari, in crescita del 27% rispetto al 2011. Sbarcata in Italia nell’ottobre 2011, Amazon conta di espandersi presto su altri 75 mila metri quadrati per arrivare a occupare oltre 1.000 addetti entro il 2016 (oggi sono circa 300 che lievitano a 500 nei periodi di punta come Natale). Tutti magazzinieri, di vario ordine e grado, tutti giovani, età media 30 anni. Dalla visura camerale del 2012 i dipendenti risultavano 107, gli altri erano interinali, stagionali: green badge. «Ma ora siamo all’80% di assunti», garantisce il general manager del Centro, Stefano Perego, agile e pratico quarantunenne lombardo al quale il grande capo del colosso americano dell’ecommerce, Jeff Bezos, ha affidato il timone dell’Italia, mercato che pare segua con molto interesse dal suo ufficio di Beacon Hill, Seattle. Dunque, mentre fuori la crisi morde Amazon va a tutto vapore. Cresce a ritmi cinesi adottando un modello industriale tipicamente americano, molto gerarchizzato, molto controllato, molto poco sindacalizzato. «Nessuna preclusione al sindacato in azienda, evidentemente i miei dipendenti non ne sentono l’esigenza», ci prova Perego. Alla Filcams di Piacenza la pensano diversamente: «La verità è un’altra: lì dentro le rappresentanze dei lavoratori non possono esistere perché molti sono precari». La produttività è sotto controllo. «Ogni magazziniere gira con uno scanner — spiega uno dei maratoneti —. I responsabili sanno quello che hai fatto e quanto ci hai messo. Se non rispetti i tempi previsti, sul display dello scanner arriva un messaggio: devi andare più veloce. Se sbagli collocazioni, dopo 5 errori vieni richiamato».
Da una parte Perego coccola i suoi uomini con cene, giochi, tornei di calcetto, di ping pong, coinvolge e partecipa e loro un po’ lo amano. Dall’altra, non perde mai di vista le curve di efficienza: «La nostra è una corsa contro il tempo e io ho l’ossessione del cliente». Ossessione per il cliente e per la sicurezza, considerato che tutti i lavoratori sono controllati al metal detector da guardie armate quando escono dal capannone: «Non si può rischiare, qui ci sono dati sensibili». Ma cosa significa tutto questo per i dipendenti italiani della multinazionale americana e per gli equilibri di un paese come Castel San Giovanni, 14 mila anime che vivevano soprattutto di un’industria legata all’agricoltura? «Semplice, ci ha risolto in buona parte il problema della disoccupazione giovanile, anche se molti sono stagionali», la risolve il sindaco Carlo Capelli, centrodestra. «Non vorrei che in un momento di crisi ci si dimenticasse però del valore della persona in nome dell’efficienza», sospira il parroco, don Lino Ferrari.
I lavoratori si dicono comunque soddisfatti. Andrea, 30 anni, faceva l’avvocato in uno studio della zona: «Non mi mantenevo più e così ho scelto Amazon. Ti assicuro che sto meglio. Ho il mio stipendio, i buoni pasto, la palestra, la piscina». Ci sono altri cinque laureati magazzinieri sotto il capannone. Paolo, invece, faceva l’idraulico a Perugia. È entrato in Amazon, si è fidanzato con una collega e ora aspettano un figlio: «Fuori era un deserto, Amazon mi ha cambiato la vita». Ma c’è anche chi ha deciso di andarsene sbattendo la porta e chi ha fatto causa alla multinazionale. Come Gianluca Barberis, ex manager: «Tempi di formazione insufficienti, finta propensione alla sicurezza, io l’ho fatto notare ed è finita». O come Edoardo Ghezzi, ex capo dei coordinatori: «Venivo dalla Feltrinelli, dove avevo seguito un percorso da dirigente. Si erano semplicemente scordati di dirmi che si trattava di un lavoro a turni, senza ufficio, e me ne sono andato».
Rimane sospeso un interrogativo: Amazon Italia paga le tasse in Lussemburgo, perché? «Mi spiace ma non è di mia competenza», allarga le braccia Perego. Comunque sia, i magazzinieri di Amazon sembrano felici e Marco ci crede davvero: «Se accelero un po’ il passo, l’anno prossimo faccio la maratona di New York».
Andrea Pasqualetto