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 2013  marzo 29 Venerdì calendario

EMIL NACLERIO [L’«ITALIAN DOCTOR» CHE SALVÒ LUTHER KING DALLO STARNUTO FINALE]


NEW YORK. «Se quel giorno del 1958 Martin Luther King jr avesse starnutito, forse oggi Obama non sarebbe presidente». Ron Naclerio all’epoca aveva solo un anno, oggi ne ha 56 e allena la squadra di basket del Cardozo, uno dei licei pubblici più prestigiosi di New York. La foto di suo padre Emil insieme al leader del Movimento per i diritti civili è la prima cosa che si nota entrando in ufficio, nonostante il caos delle decine di articoli appesi alle pareti che raccontano le vittorie sportive dei suoi ragazzi.
Emil Anthony Naclerio, figlio di immigrati campani e siciliani, fu infatti il medico che operò d’urgenza Martin Luther King, vittima di un attentato nello storico quartiere afroamericano di Harlem. Se non gli avesse salvato la vita, il futuro premio Nobel non sarebbe diventato l’icona mondiale che conosciamo. Naclerio gli regalò altri dieci anni di vita. Il decennio decisivo, quello in cui furono raggiunti i traguardi più importanti nella lotta contro la segregazione razziale negli Stati Uniti.
Quando arrivò in ospedale, le condizioni di King erano gravissime: aveva un tagliacarte di 18 centimetri conficcato nel petto. Sarebbe bastato un colpo di tosse a cambiare il corso della storia. «O uno starnuto, come dissero i medici. Ogni secondo era prezioso, la lama avrebbe potuto lacerare l’aorta» racconta il coach, mentre si sistema la polo azzurra con scritto sopra il suo nome. «Mio padre corse in ospedale con lo smoking perché quel pomeriggio era a un matrimonio. Non sapeva ancora chi fosse la persona ferita, lo capì solo quando riconobbe il giovane sulla barella. In sala operatoria percepì il nervosismo dei colleghi e decise di prendere in mano la situazione. Fu un lungo e delicatissimo intervento».
Il 20 settembre del ’58, Martin Luther King, allora ventinovenne, si trovava a New York per presentare il suo primo libro da Blumstein. Aveva scelto il grande magazzino sulla 125esima strada per il suo valore simbolico. Negli anni Trenta, infatti, il boicottaggio Non comprare dove non puoi lavorare costrinse il proprietario ad assumere i primi commessi neri.
King stava autografando le copie del libro Stride Toward Freedom (Marcia verso la libertà), quando fu avvicinato da Izola Ware Curry, un’afroamericana con disturbi psichici. La donna lo accoltellò, ferendolo quasi mortalmente. Ancora oggi le motivazioni del gesto restano poco chiare. «King la perdonò e si batté in seguito per la sua impunità. Era un uomo straordinario. Mio padre lo stimava molto». Anche il reverendo conservò nel cuore il medico italoamericano a cui doveva la vita.
Ron cerca tra le carte della sua scrivania la lettera autografa: «Caro dottor Naclerio, vorrei esprimerle tutta la mia gratitudine per aver preservato la mia vita. La prego, sappia che io ricorderò la sua gentilezza per sempre. Spero che abbia ricevuto il nostro dono (un portafogli). È solo un modo di ringraziarla per tutto quello che ha fatto, per avere alleggerito il peso di un periodo difficile della nostra vita. A lei e ai suoi cari, i migliori auguri di un 1959 felice e pieno di salute. Sinceramente suo, Martin Luther King».
Al biglietto seguì una fraterna amicizia. «Si vedevano ogni volta che ne avevano la possibilità. Anche io l’ho incontrato da bambino, la sua figura ha segnato profondamente la nostra famiglia».
Erano anni di grande tensione sociale. «Mio padre divenne un eroe per la comunità afroamericana dopo l’operazione, ma i razzisti iniziarono a disprezzarlo».
Il dottore comunque non ebbe mai paura di lavorare ad Harlem. «Quando ero piccolo mi portava spesso con sé in ospedale per farmi conoscere i suoi pazienti. Voleva insegnarmi la cultura della diversità. Un’eredità che cerco di trasmettere ogni giorno ai miei ragazzi».
Di Emil Naclerio il figlio ricorda soprattutto l’integrità e la grande determinazione. «Era nato nel 1915 in una famiglia umile di immigrati che si era stabilita a Bushwick, all’epoca un quartiere difficile di Brooklyn. Considerava l’istruzione come l’unico modo per riscattarsi. Fu uno dei pionieri del pacemaker, specializzandosi nelle tecniche più innovative di applicazione».
Ron lo considera un modello, anche se non ha voluto seguirne le orme. La sua vita è sempre stata lo sport, la squadra una famiglia allargata. Per molti è una leggenda del basket giovanile newyorkese. Alcuni dei suoi giocatori oggi militano tra i professionisti della NBA.
Del padre conserva la personalità: energica e socievole. «Quando morì, nel 1985, tutto l’Harlem Hospital si strinse a mia madre. Tra i primi a darle le condoglianze, la vedova di King, Ceretta Scott».
Anche Emil Naclerio era stato al funerale di Martin Luther King. Era il 1968. Per il reverendo la morte arrivò giovedì 4 aprile sul terrazzo del Lorraine Motel di Memphis, in Tennessee. Aveva il volto di James Earl Ray, il giovane bianco che fu ufficialmente incriminato dell’omicidio. «Mio padre soffrì molto. Il suo timore era che il percorso iniziato da King si interrompesse. In tanti temevano che il mondo non sarebbe stato più come lo avevano sognato grazie a lui». E infatti Harlem non ha dimenticato. È il quartiere che più di tutti custodisce la memoria e l’eredità di King. A lui ha dedicato la sua strada principale, la 125 che dal 1968 è il Martin Luther King Boulevard. L’Harlem Hospital gli ha intitolato un’intera ala, mentre nella hall una targa di bronzo ricorda la straordinarietà di quei giorni. Momenti che lo stesso King non scordò mai. «Sono contento di non aver starnutito» disse nel suo ultimo discorso, ventiquattro ore prima di morire. «Se lo avessi fatto (...) non avrei avuto l’occasione di cercare di raccontare all’America il mio sogno (...) Non so cosa accadrà d’ora in poi; ci aspettano giornate difficili. Ma per me non ha importanza, perché sono stato in cima alla montagna (...) Ho guardato più in di là e ho visto la terra promessa. Forse non ci arriverò insieme a voi. Ma stasera voglio che sappiate che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa».
Quello starnuto mancato permise alla storia di fare il suo corso. Nel 1963 King pronunciò durante la marcia di Washington il celeberrimo I have a dream. Cinquant’anni dopo, al suo secondo mandato, il primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti ha giurato su una Bibbia di pelle nera, con le pagine sgualcite dall’uso e ingiallite dal tempo. Era quella che Martin Luther King portava con sé durante i suoi viaggi e che teneva tra le mani anche quel tiepido sabato pomeriggio di settembre, ad Harlem.