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 2013  marzo 29 Venerdì calendario

IL SALVATAGGIO DI CIPRO SE I NODI VENGONO AL PETTINE

Mi riesce difficile comprendere l’attuale crisi del sistema bancario di Cipro, prossimo alla bancarotta. Se non vado errato, più fonti riportano che le banche dell’isola «traboccano» di liquidità proveniente dalla Federazione Russa. Qualche anno fa ho potuto verificare personalmente che molte banche a Nicosia e Limassol proponevano la loro documentazione anche in russo al fine di attirare i ricchi clienti di quel Paese. Tale liquidità dovrebbe essere più che sufficiente per permettere alle banche di svolgere il loro ruolo istituzionale, ossia di concedere credito alle industrie e al florido settore turistico dell’isola. O forse vi sono certi aspetti della situazione che mi sfuggono o che vengono passati sotto silenzio?
Franco Cosulich
fiamex05@alice.it
Caro Cosulich, le banche cipriote hanno nei loro caveau quattro miliardi di bond greci e il sistema bancario dell’isola ha dimensioni assurde, pari grosso modo a cinque volte l’economia cipriota. Le ragioni del fenomeno sono note e hanno avuto una influenza decisiva sull’animo e sui metodi con cui i Paesi dell’eurozona hanno affrontato la crisi.
Dalla fine della guerra fredda la Repubblica greca dell’isola (esiste dal 1974 una zona separata, abitata dalla comunità turca) è stata una sorta di paradiso fiscale per gli uomini di Milosevic durante le guerre civili jugoslave, per gli oligarchi moscoviti, per chiunque volesse approfittare delle ottime condizioni riservate dalle banche ai loro clienti e dal generoso regime impositivo offerto dallo Stato ai residenti stranieri. La crisi del 2008 non ha risparmiato l’isola e una bolla immobiliare, simile per molti aspetti a quella spagnola, ha contribuito a rendere il quadro ancora più drammatico. Quando ha dovuto confessare che il suo sistema bancario era sull’orlo del fallimento, il governo di Nicosia ha creduto di potere contare sull’aiuto finanziario del governo russo e ha bussato alla sua porta. Ma ha scoperto che anche a Mosca non tutti erano disposti a salvare dalla bancarotta i propri evasori fiscali. L’Ue e il Fondo monetario internazionale hanno offerto dieci miliardi di euro, ma a una condizione: che Cipro assicuri al pacchetto, dal canto suo, quasi 6 miliardi di euro.
Dopo l’accordo della notte fra il 24 e il 25 marzo sappiamo che questa somma verrà da una imposta straordinaria sui depositi superiori ai centomila euro e colpirà in particolare i correntisti russi. La misura punisce le banche e rischia d’incrinare la fiducia dei risparmiatori anche in altri Paesi. Ma non sarebbe stata presa se Cipro, durante gli ultimi anni, non avesse irritato i suoi partner europei anche in altre occasioni. Dieci anni fa l’Onu ha approvato un piano per la riunificazione dell’isola, ma i greci di Nicosia l’hanno respinto e sono riusciti a impedire, con l’aiuto della Grecia, che la zona turca entrasse nell’Ue. Ironia della storia: mentre la Cipro greca si dibatte nella crisi e chiede sacrifici ai propri cittadini, la Cipro turca, trainata dalla fiorente economia dei cugini di Ankara, registra qualche promettente segnale di crescita.
Sergio Romano