Elena Tebano, Corriere della Sera 29/03/2013, 29 marzo 2013
LE NUOVE (MEZZE) STAGIONI DELLA VITA
La vita che si allunga cambia la vita, la arricchisce di stagioni, apre nuovi orizzonti e modifica anche il linguaggio: i sessantenni, un tempo considerati senza mezzi termini «anziani», sono diventati «tardo adulti». A certificarlo è la demografia, che ha aumentato le fasi di età da cinque a nove: oltre alla scoperta di una fase successiva della maturità, l’età «tardo adulta» appunto (tra i 55 e i 64), si distingue infatti anche tra «giovani» (fino a 25 anni) e «giovani adulti» (fino ai 34). Non solo: se negli Anni 50 la vecchiaia iniziava semplicemente con i 60, quando la maggior parte delle persone era in condizioni di salute precaria, all’inizio del terzo millennio «è diventata un’età "lunga", con periodi specifici», spiega la sociologa Chiara Saraceno. I «giovani anziani», così, non sono più un ossimoro, ma la fascia di chi ha tra i 65 e i 75 anni. E si diventa vecchi oltre i 75, per scivolare nella «grande vecchiaia» (quella della non autosufficienza) oltre gli 85.
«Ogni generazione aggiunge 7-8 anni all’aspettativa di vita — dice il demografo dell’Università Cattolica di Milano Alessandro Rosina —. Significa che quello che mio nonno faceva a 60 anni, io lo farò a 75». Una tendenza destinata ad aumentare sempre più il numero di over 60 sul totale della popolazione, che dal 1951 a oggi sono triplicati a 11,8 milioni, ed entro il 2051 saranno quintuplicati. Ma anche a mettere continuamente in discussione le soglie anagrafiche e ad aumentare le mezze stagioni della vita. «Una volta i confini tra le età erano netti, ora sono più mescolati e vengono definiti in modo nuovo, anche da chi li vive — dice Saraceno —. C’è un prolungamento infinito della giovinezza: comincia molto presto, soprattutto per le bambine, e non finisce mai», aggiunge.
«Sono cambiate anche le traiettorie esistenziali: una volta assomigliavano al percorso di un treno, in cui tutti percorrevano lo stesso binario e si fermavano alle stesse stazioni», chiarisce Rosina. Fino agli Anni 50-60 il passaggio alla vita adulta era concentrato in un periodo breve: si trovava lavoro, ci si sposava, si usciva dalla casa dei genitori, si facevano dei figli. «Ora questo percorso è più flessibile, elastico e reversibile — spiega il demografo —. La vita ha acquistato complessità, ma anche incertezza: per questo si posticipano le scelte e si vuole poter tornare indietro». O ricominciare: «Un sessantenne ha ancora un quarto di secolo da vivere e di conseguenza molte cose da fare», dice Rosina.
Sono sempre di più gli over 60 che inaugurano il «terzo atto» della loro esistenza, come l’ha definito il Financial Times in un articolo che fotografa il fenomeno. Non più la vecchiaia, ma una nuova vita adulta, in cui si rimane attivi: «Per molti lavoratori, l’età della pensione è solo l’inizio di una nuova fase della carriera», spiega il quotidiano britannico, che sulla scorta del libro di Marc Freedman, The Big Shift: Navigating the New Stage Beyond Midlife («Il grande cambiamento: affrontare la nuova fase oltre la mezza età»), immagina un futuro in cui milioni di sessanta e settantenni rimarranno al lavoro e manterranno i «veri» anziani ultraottantenni.
La nostra società, però, non ha ancora recepito del tutto il cambiamento: «Bisognerebbe prevedere uscite sfasate dal lavoro: invece di piombare nell’inattività con la pensione, si potrebbe pensare a uno scivolo che passi dal part-time», suggerisce Saraceno. «Dobbiamo capire che ogni età ha potenzialità da valorizzare — conferma Rosina —. Anche se non si lavora più come a 40, a 60-70 anni si ha più esperienza. L’importante è avere la capacità di rimettersi in gioco».
Magari con una maggiore serenità: «Io ho superato i 60 e mi piace molto continuare a lavorare — dice Michele Sforza, psichiatra e psicoanalista nel Comasco —. Magari ora scrivo e insegno di più, anche perché ho costruito la mia professionalità. Ma soprattutto sto meglio: ho superato i tormenti della gioventù e della vita adulta (fare carriera, crescere i figli) e mi posso godere i frutti del mio lavoro».
Elena Tebano