Armando Torno, Corriere della Sera 29/03/2013, 29 marzo 2013
LE POESIE PER LA NONNA E «OTELLO» A MEMORIA. LE LETTURE DI FRANCESCO
Leggendo Papa Francesco, il libro nato nel 2010 dalle conversazioni del cardinale Bergoglio con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, si ritrovano tracce culturali del nuovo pontefice. Le letture che si ricordano in una conversazione non accademica, gli autori che per una ragione o per l’altra restano nel cuore. Certo, non tutti, ma indicazioni non mancano. Si impara a conoscere meglio questo «discendente d’immigrati italiani» che parla «svariate lingue», prima studente di chimica e poi laureatosi in filosofia e teologia, in armonia con il forte percorso formativo della Compagnia di Gesù. Che cosa ama meditare l’ex insegnante che faceva leggere ai suoi alunni i libri di Jorge Luis Borges?
Difficile rispondere, ma come ogni gesuita non ha un solo interesse. Se la Sacra Scrittura resta costantemente il suo orizzonte di riferimento, nelle risposte ricorda, tra l’altro, come «grande maestro della nostalgia» il poeta tedesco Friedrich Hölderlin. Scrisse versi toccanti, che cita, per un compleanno della nonna: «Vivesti tante cose... Oh grande madre... vivesti tante cose». Un volo nel tempo che plana con parole ferme: «Che l’adulto non rimangi quello che da bimbo ti aveva promesso». Ma non dimentica il riferimento di ogni nostalgia: l’Odissea. Prima di parlare del «desiderio di tornare in un posto» analizza l’origine greca della parola: nostos algos. Bergoglio non è mai dispersivo e ricordando le sue origini recita versi del poeta dialettale Nino Costa, traducendoli. Sottolinea inoltre: «Ci sono riflessioni molto interessanti sulla nostalgia degli emigranti nel libro di Luigi Orsenigo Il grande esodo».
La vita cristiana è, secondo il Papa, «dare testimonianza di fede con allegria». Fonda tale affermazione su una gemma spirituale lasciata da Teresa d’Avila: «Un santo triste è un triste santo». Di più: tra le sue citazioni vi è la Teologia del fallimento di John Navone (pubblicato dalla Gregoriana nel 1988): in essa si richiama il fatto che la fede cristiana non promette l’esenzione dall’insuccesso, ma offre il modo di superarlo vantaggiosamente. D’altra parte, cercando tra le esperienze di questo mondo, il fallimento è più comune della speranza; e la storia di Dio con l’uomo, se si volesse leggerla attraverso il rifiuto del Cristo che i più praticano, altro non sembra che un fallimento.
Bergoglio ripete a memoria un passo di Otello, quando affronta l’ozio si avverte una meditata conoscenza di Seneca («assieme a una cultura del lavoro è bene avere una cultura dell’ozio come gratificazione»); ha letto attentamente il romanziere francese Joseph Malègue (1876-1940), autore ripreso da La Civiltà Cattolica dell’agosto 2010 in un articolo di Giandomenico Mucci. Il pontefice rammenta un dialogo ricostruito da questo scrittore — paragonato dalla critica francese del tempo anche a Proust — tra un credente e un agnostico. Quest’ultimo si domandava «cosa fosse successo se Cristo non fosse stato Dio, mentre per il credente il problema era l’opposto, ovvero cosa sarebbe successo se Dio non si fosse fatto Cristo e non fosse sceso in Terra a mostrarci il cammino». Commentò: «Il concetto chiave è quello della croce come seme della resurrezione. Qualunque tentativo di sopportare il dolore sarà solo parziale se non si basa sulla trascendenza».
Infine, accanto al mito di Faust dagli infiniti riflessi, ai consigli di leggere il Cid (dati a un alunno che preferiva Machado), a illuminanti considerazioni su Don Chisciotte, Bergoglio sceglie un’opera d’arte. Utilizziamo le sue parole: «La crocifissione bianca di Chagall, un ebreo credente, non è crudele, ma è piena di speranza. Mostra un dolore pieno di serenità. Per me è una delle cose più belle che Chagall abbia realizzato». Ne parla dopo una riflessione sulla sofferenza. Vi giunge attraverso le icone orientali, in particolare quelle russe, dove Gesù sembra non avvertirla; si sofferma sul barocco spagnolo e sulla scuola di Cuzco per ricordare il «Cristo straziato». Il termine del percorso è, appunto, Chagall. Con i suoi voli. Con i suoi colori presi in prestito all’assoluto.
Armando Torno