Adele Cambria, il Venerdì 29/3/2013, 29 marzo 2013
COME MI VERGOGNAI RIVEDENDOMI DUE ANNI DOPO IN QUEL FILM
Una confessione tardiva: Comizi d’amore uscì nel 1964, ma io lo vidi integralmente solo un paio d’anni dopo, nel cinema-pidocchietto di Campo de’ Fiori, oggi diventato l’orgoglio del quartiere. La verità era che mi vergognavo.
Ero stata intervistata da Pier Paolo insieme a Camilla Cederna, la mia maestra di giornalismo, e a una pugnace Oriana Fallaci. Eravamo sull’assolata terrazza del Des Bains, al Lido di Venezia; ed escludendo la gentile saggezza di Camilla, Oriana per un verso ed io per un altro, le avevamo sparate grosse. Io dichiarai che «il proletariato» era già «molto libero», ma non conoscevo operai e operaie in carne e ossa.
Le prime che incontrai furono, nel 1973, quelle dell’Alfa Romeo che rivendicavano cinque minuti in più nello spogliatoio per le loro compagne incinte; per i sindacalisti (maschi) si trattava di «una richiesta corporativa». Ma per fortuna ardeva il femminismo e io dirigevo Effe.
Nell’estate del 1963, sul terrazzo del Des Bains, mi resi subito conto che dovevo attingere qualche risposta sensata da ciò che conoscevo bene: la Calabria. La Calabria in cui una famiglia contadina con quattro figlie femmine faceva la fame perché lavorava, come bracciante o «colono», solo il padre, e le figlie stavano a casa per non rischiare il disonore. Ragionavo sull’unico possesso, l’unica proprietà, del bracciante calabrese: le sue donne. Intanto Oriana si era lanciata a esaltare il matriarcato, inteso come realtà di fatto piuttosto che come mito. «Nella società in cui viviamo» declamava, «vince il matriarcato. In America le donne sono sessualmente libere, e potenti nelle carriere e nella finanza. E a Milano» concludeva trionfale, «le operaie sono liberissime!».
«A Milano, Fallaci, a Milano...», le replicava soave Pier Paolo.
Solo la cortese e illuminata sapienza di Camilla ci riabilitava. Soltanto lei aveva fatto osservare all’intervistatore che certe sue domande a un gruppetto di giovanissime operaie milanesi pagate a cottimo (50 o 52 lire alla settimana, secondo le ore lavorate) erano davvero provocatorie. Pasolini aveva chiesto: «Perché vi accontentate di così poco, mentre altre ragazze come voi, andando con gli uomini, guadagnano in un giorno il doppio o il triplo di quanto voi guadagnate in un mese?». E loro: «Meglio un lavoro onesto che disonesto», e anche «io direi che non è giusto fare quell’altro lavoro».
Dopo aver visionato, nei cosiddetti «giornalieri», la nostra esibizione, decisi di non andare all’anteprima di Comizi d’amore, nonostante la mia amicizia e il mio affetto per Pier Paolo. Non ce l’avevo con lui, ce l’avevo con me.
Dopo un paio d’anni lo proiettavano al Farnese, ed entrai; la platea era piena di coatti, versione aggiornata dei ragazzi di vita pasoliniani, che sottolineavano i passaggi più ardui con ululati e sghignazzi. Anche i vecchietti, quelli che giocavano a scopa la mattina, davanti al pidocchietto chiuso, ci mettevano del loro: nel solco, diciamo, del Belli o di Trilussa...
Uscii quatta quatta dal cinema, pensando «meno male che nessuno mi ha riconosciuta...», il fazzolettone che portavo sui capelli sulla terrazza del Des Bains mi aveva salvato. Non potevo negare che gli sghignazzi e gli ululati arrivassero all’acme ogni volta che apparivamo noi tre, qualcuno persino articolò: «’N’vedi le Tre Grazzie!». A me Comizi d’amore era piaciuto per i frammenti poetici che erano stati sparsi dall’autore lungo lo straordinario percorso del suo viaggio, per esempio le domande rivolte ai monelli palermitani, per la strada. Tu sai come nascono i bambini?, chiedeva Pier Paolo. E loro: «Li porta la levatrice, nella borsa. Dentro c’è un fiore...». Oppure: «Li porta la cicogna!». Ma chi glieli da alla cicogna? «Gesù», «Dio». Un altro: «Io l’ho visto, il cestello della cicogna, sul letto di mia mamma, ma lei l’aveva già preso in braccio, il nuovo bambino». Era tutta contenta!».
Pier Paolo aveva invece tagliato la risposta di mio figlio, di quattro anni. «Tu sai come nascono i bambini? Sotto i cavoli, tra i fiori...». «Magari...» esclamava Emilio con uno sguardo languido, sotto il cappellone alla texana, «invece nascono in clinica». Figlio di «genitori democratici», che gli avevano spiegato quasi tutto, in occasione della nascita di un fratellino.
Per una curiosa coincidenza, quando il Venerdì mi ha chiesto questa testimonianza tornavo dalla Calabria dove, invitata dalle donne del primo collettivo femminista di Crotone, intitolato ad Angelina Mauro (la bracciante uccisa a Melissa, nella occupazione delle terre), ho parlato di Pier Paolo Pasolini agli studenti del liceo scientifico Filolao. Nei mesi precedenti, le ragazze di allora – Linda Monte, Anna Corsini Berlingieri, e anche quelle arrivate dopo – avevano ripercorso gli itinerari pasoliniani in Calabria. Nell’estate del 1959 lo scrittore aveva fatto il suo esordio giornalistico raccontando la Calabria per il rotocalco Successo, diretto da Arturo Tofanelli. (Mi ero un po’ offesa anch’io, leggendo che le donne calabresi avevano tutte il sedere basso e gli occhi neri come le olive della loro terra). «Appena partito da Reggio – città estremamente drammatica e originale, di una angosciosa povertà, dove sui camion che passano per le lunghe vie parallele al mare si vedono scritte due parole, Dio aiutaci – mi stupiva la dolcezza, la mitezza, il nitore dei paesi sulla costa. Così circa fino a Melito Porto Salvo. Poi si entra in un mondo che non è più riconoscibile» scriveva l’esordiente Pasolini giornalista. «Lo «Ionio non è mare nostro: spaventa... Vado verso Cotrone, per la zona di Cutro. Illuminati dal sole sul ciglio della strada, due uomini mi fanno segno di fermarmi. Mi fermo, li faccio salire. Mi dicono: questa è zona pericolosa, meglio non passarci di notte. Due anni fa qui, in questo punto, hanno ammazzato un ricco signore che veniva in macchina da Roma... ».
Le mie amiche di Crotone mi hanno raccontato di essere state a Cutro per un incontro su Pasolini, e di aver proiettato, in una saletta da cento posti, affollatissima, Comizi d’amore: Alcuni degli abitanti intervistati si sono riconosciuti, ma non si era placato il rancore suscitato dalle parole dello scrittore: «Cutro è veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano dal loro atroce lavoro, c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia...». Il sindaco di Cutro, Mancuso, fece subito un esposto contro Pasolini al Procuratore della Repubblica di Milano (dove la redazione di Successo aveva sede). Pasolini si difese con due lunghe lettere aperte a Paese Sera. «Fin da bambino ho sempre tenuto per i banditi e non per i poliziotti. Ammetto tutto, ma non che mi venga gettata addosso l’accusa di non sentire la grandezza della Magna Grecia... È una popolazione nei cui caratteri sociali si mescolano una dolorosa arretratezza e uno spirito di rivolta. E appunto per questo non si può non amarla...».
Questo amore ferito fiammeggerà nelle sue scelte di cineasta: tornerà a Cutro e a Crotone per le interviste ai ragazzi e alle ragazze calabresi da inserire in Comizi d’amore. Nel 1963 registra un impercettibile cambiamento tra i giovanissimi: ecco un quindicenne che si vanta di «avere tante ragazze». E parli a tutte d’amore? sorride Pier Paolo. «Ma non gli parlo, le guardo...» confessa il ragazzo, forse arrossendo (ma il documentario è in bianco e nero). Spavalda invece una adolescente con la trecciolina, sulla spiaggia di Crotone: Pasolini le chiede se sarebbe favorevole al divorzio, lei risponde: «Si, se i genitori non vanno più d’accordo, è meglio il divorzio, ma in Italia non c’è».
Una volta conquistato dalla Calabria, il regista vi ritorna ancora per Il Vangelo secondo Matteo e fa camminare Gesù sulle acque di Isola Capo Rizzuto.
Qualche tempo dopo, Ninetto Davoli, calabrese, sarebbe approdato a Roma. Me lo ricordo a cena, invitato insieme a sua madre, a casa di Pier Paolo, all’Eur. Una sorta di presentazione di Ninetto agli amici – Carlo Levi, Elsa Morante, Alberto Moravia ed io – ma anche alla famiglia del regista: innanzitutto l’eterea Susanna, madre dello scrittore, che è la Madonna Addolorata del Vangelo secondo Matteo: la Madonna giovane – l’ho appena saputo – era Margherita Caruso, una ragazza di Crotone, nata dunque proprio sulla riva di quel mare di cui Pier Paolo aveva diffidato... «Ho usato tre aggettivi » precisava nelle sue lettere a Paese Sera: «Mare nemico, straniero, e seducente...». E chiariva: «Ammetto che i tre aggettivi non erano gran cosa... Era il primo materiale linguistico che mi era capitato sotto mano per esprimermi nella per me insolita maniera giornalistica...».
Dopo sarebbero venuti Medea e gli Appunti per un’Orestea africana. Quasi a saldare, in un’unica sfaccettata visione, l’innamoramento del poeta per tutti i Sud del mondo.