Maurizio Molinari, La Stampa 29/3/2013, 29 marzo 2013
CONFERENZA STAMPA HA CENTO ANNI (E LI DIMOSTRA)
A cento anni dall’atto di nascita decretato da Woodrow Wilson, la conferenza stampa presidenziale è sulla via del tramonto a causa di Barack Obama, che grazie al ricorso ai social network si rivolge direttamente ai cittadini scavalcando i giornalisti.
La «presidential press conference» alla Casa Bianca è l’evento che, per regole e significato, più esprime il confronto diretto fra il potere esecutivo e quello dei media. Il presidente da solo, circondato da un parterre di reporter, deve rispondere in diretta tv a domande incalzanti sui temi di attualità, rischiando politicamente su ogni parola.
E’ un rito creato da Wilson ma resta off the record fino a Dwight Eisenhower, con John F. Kennedy diventa un’arma politica a tutto campo, mentre Richard Nixon e Ronald Reagan lo trasformano in palcoscenico del pathos collettivo, fino a George H. W. Bush che lo inaugura in versione «congiunta» con gli stranieri, e a Bill Clinton mattatore sui temi a luce rossa del sexgate. Sopravvive come format sempre più avvincente e insidioso fino a George W. Bush, perché poi è Barack Obama ad assestargli un temibile colpo: inaugura il dialogo con gli americani via web, adopera Facebook, Twitter e gli hang out di Google, indebolendo il ruolo dei reporter.
Fino al 1913 i «comandanti in capo» avevano comunicato con gli elettori facendo comizi, interventi radio o rilasciando singole dichiarazioni o interviste a questo o quel giornale. Era un metodo che consentiva di filtrare molto il proprio messaggio, ripetendo quanto avveniva nelle maggiori capitali europee dell’epoca, Londra, Parigi e Berlino. Ma dopo l’Inauguration Day del 4 marzo di quell’anno Woodrow Wilson, su suggerimento del fidato consigliere Joseph Tumulty, introdusse una significativa novità: avrebbe incontrato di persona più giornalisti, tutti assieme, nei suoi uffici nella West Wing, chiedendo però il rispetto dell’ off the record, ovvero le sue parole non potevano essere citate.
La prima conferenza stampa presidenziale dell’era contemporanea ha luogo il 22 marzo nella East Room della Casa Bianca e Wilson, tenace sostenitore delle libertà individuali, spiega di persona ai reporter quali sono le regole per questo tipo di incontri. Primo: possono venire tutti i reporter e non solo quelli scelti dallo staff della Casa Bianca. Secondo: le conferenze stampa sono off the record per consentire al presidente di «parlare a mente aperta» al fine di spiegare cosa intende fare. Terzo: il botta e risposta viene trascritto perché diventa comunque parte integrante della storia della presidenza. Quando nel 1921 lascia Pennsylvania Avenue, Wilson ha alle spalle 132 «press conferences» di questo tipo, divenute oramai un pilastro del rapporto con i mezzi di informazione.
I presidenti che gli succedono mantengono pressoché intatto il format con l’unica variante, introdotta da Warren Harding e Herbert Hoover, di chiedere ai giornalisti di presentare domande scritte prima dell’inizio, tradendo così il timore di essere presi alla sprovvista. Franklin Delano Roosevelt abolisce tale obbligo, consentendo invece a singoli giornalisti di chiedere l’autorizzazione a pubblicare frasi specifiche, che vengono dichiarate a posteriori «on the record» dal fidato addetto stampa Stephen Early. Ciò consente alle citazioni del presidente di dilagare. Nel complesso Roosevelt tuttavia conserva ed esalta il modello Wilson, fino al punto di sottoporre i giornalisti a prolungate spiegazioni sulla politica economica che lo portano, il 4 gennaio 1936, ad autodefinirsi come «il professore» davanti a una «classe».
Il timore di essere citati impropriamente arriva fino a Harry Truman, che il 30 marzo 1950 definisce di slancio il senatore anticomunista Joe McCarthy come «il miglior regalo all’Urss» e poi obbliga i reporter che lo hanno ascoltato a cambiare versione, evitando ogni riferimento diretto al repubblicano del Wisconsin. La vera innovazione arriva con Eisenhower, e c’è ancora di mezzo McCarthy perché sono i suoi incessanti rimproveri alla Casa Bianca di «cedimenti al comunismo» a spingere il presidente a rendere pubblica la registrazione dell’intera conferenza stampa del 16 gennaio 1953. È la fine dell’ off the record . Due anni dopo Eisenhower compie un altro passo avanti, consentendo alle tv di riprendere l’evento e ai giornali la pubblicazione integrale del testo.
È invece Kennedy che nel 1961 trasforma le conferenze stampa in un’arma politica - e in uno show personale - spostandole nell’auditorium del Dipartimento di Stato, dove discute di ogni possibile tema, di politica interna o estera. Da quel momento in avanti, anche grazie al dilagare della tv, diventano momenti che catalizzano le emozioni pubbliche - dal Watergate di Richard Nixon alla sfida all’Urss di Ronald Reagan mentre l’innovazione seguente arriva per merito di George H. W. Bush che, forte dell’esperienza maturata da capo della Cia, comprende l’importanza di questi eventi nella proiezione dell’immagine dell’America nel mondo e inaugura le «conferenze stampa congiunte» con i leader stranieri ospiti alla Casa Bianca. Dove anche i reporter stranieri possono fare domande. È un modo per rivolgersi alle opinioni pubbliche di altre nazioni.
Con Bill Clinton gli eventi stampa assieme ai leader stranieri balzano al 67 per cento del totale e con George W. Bush arrivano, complici l’11 Settembre e le guerre in Afghanistan e Iraq, addirittura all’81 per cento, mentre con Barack Obama scendono al 54 per cento, a dimostrazione che l’attenzione torna a essere soprattutto per i temi domestici. Obama viene criticato per essere restio alle conferenze stampa - ne ha fatte finora 79 rispetto alle totali 133 di Clinton e 89 di George W. Bush - ma è lui a inaugurare quelle digitali, consentendo a qualsiasi cittadino di rivolgergli domande attraverso i social network, scavalcando i media tradizionali in quello che assomiglia a un dialogo diretto con gli americani. È interessante notare come il passaggio della stagione dell’ off the record all’ on the record coincide con una brusca diminuzione delle conferenze stampa: Coolidge e Roosevelt ne facevano una media di quasi 90 l’anno mentre durante «Camelot» con Kennedy si scende a 23 e il burbero Nixon precipita ad appena 7.