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 2013  marzo 29 Venerdì calendario

PERCHÉ L’ITALIANO SI VOLTA A GUARDARE LE BELLE RAGAZZE


Quando la guerra fu finita, sul muro di una triste baracca, che aveva ospitato soldati di ogni paese, vennero trovate delle scritte curiose. Esprimevano gli ideali dei prigionieri. L’ultimo, il tedesco, conservava, anche nella disgrazia, la sua fede nella «Germania soprattutto»; l’inglese aveva scarabocchiato il rituale «Dio salvi il Re»; il francese, naturalmente, inneggiava alla «Francia eterna»; un ignoto italiano, dando prova, forse, di scarso patriottismo, ma di una certa spontaneità, si era limitato a scrivere: «Viva l’amore».
Longanesi disse che, sulla nostra bandiera, dovrebbe essere stampato il motto: «Ho famiglia». È la frase, molto usata, che giustifica tante piccole miserie, e spiega anche tanti piccoli eroismi, ma se si potesse tenere una assurda contabilità, sarebbe facile dimostrare che le parole più adoperate dal cittadino sono due: « Donna » e « Amore ».
E’ la donna che fa sognare i siciliani nei romanzi di Brancati, che montano la guardia alle fermate dei tram per intuire un ginocchio femminile: è l’amore che spinge tante ragazze a chiedere conforto e istruzioni alle rubriche di corrispondenza. « Su cento lettere che ricevo — dice don Paolo Liggeri, un sacerdote che risponde alle lettrici di una diffusa rivista —, ottanta espongono problemi sentimentali ».
L’amore è l’inesauribile tema di infinite conversazioni, suggerisce chiacchiere; però, secondo un illustre e spiritoso fisiologo, il professor Enzo Boeri, per l’uomo italiano «metà del piacere non sta nell’impresa amorosa, ma nel raccontarla l’indomani stesso agli amici ». E’ logico supporre che molti connazionali sarebbero contenti se potessero portare, magari sul pigiama, speciali decorazioni a testimonianza della loro intraprendenza, perché — mi affido sempre all’opinione degli scienziati e al citato medico — « è pur vero che maschi ve ne sono ovunque, ma il nostro vuole essere il maschio maschio, il maschio per eccellenza, il supermaschio ».
E’, infatti, nel nome dell’amore che si affrontano incredibili imprese, o si escogitano furbeschi espedienti. Invaghitosi di una piacente giovanetta negra, un minatore bergamasco emigrato a Johannesburg, sfidando leggi, minacce, e pregiudizi razziali, si travestì da watusso, si tinse ignobilmente la faccia e tutto il corpo, fu amato, e affrontò, poi, soddisfatto, sei mesi di carcere e l’inevitabile espulsione.
Per potersi scambiare un bacio, i fidanzati poveri inventati da Achille Campanile andavano regolarmente alle partenze dei treni simulando dolorosi distacchi. E si trova anche la forza per affrontare il dramma: c’è stata una donna che, dopo l’8 settembre, partì da sola verso la Jugoslavia, per andare a cercare il marito disperso. Lo trovò senza le gambe, se lo riportò a casa, un po’ di strada ogni giorno, caricandolo sulle spalle, come un grande bambino.
Ma perché, in Italia, si parla tanto d’amore? «Per noia — dice Ennio Flaiano —, l’amore è spesso un miraggio di evasione dalla noia. Ma in genere si parla di sesso credendo di parlare d’amore. E’ un equivoco sul quale comincia a prosperare tutta un’industria ».
«E perché se ne dovrebbe parlare di meno? — osserva Luigi Bartolini. — E’ il motore dell’universo ».
Al motore dell’universo noi diamo dunque — per generale ammissione — una considerevole spinta. Con le parole e, anche, con i fatti. « L’ideale dell’uomo moderno — insiste con qualche pessimismo il professor Boeri — non è d’essere un Galileo, o un Raffaello, o un Cavour; l’ideale è essere un Casanova sempre pronto alla tenzone». In materia di casanovismo, godiamo, anche all’estero, un notevole prestigio, incrementato da recenti e tumultuose vicende a sfondo passionale. Alcune tra le più belle e considerate donne del mondo, da Ingrid Bergman alla principessa Soraya, a Belinda Lee, hanno vissuto, sotto il sole di Roma, incancellabili pagine di narratissimi romanzi.
Calma: non è il caso di inorgoglirsi troppo. La nostra spettacolare aggressività, stando al prof. Carlo Petrò, psicologo e psichiatra, è comune a tutti gli europei del Sud: ed è dovuta all’accentuata estroversione. «L’italiano tende a manifestare esteriormente i suoi stati di animo, i suoi impulsi, i suoi pensieri — spiega questo indagatore della psiche umana —, sia con la parola, sia col gesto. E poiché l’amore ha molta importanza, l’italiano, che esteriorizza tutto, esteriorizza anche questo sentimento parlandone, e voltandosi».
L’italiano, come tutti sanno, infatti, si volta. Passa una donna giovane o matura, coniugata o nubile, sola o accompagnata, e l’italiano, garzoncello o vecchio, scapolo o sposato, solo o in compagnia, tac, si gira. Umberto Giordano, l’autore dell’Andrea Chénier, aveva più di ottantanni quando fu sorpreso da un amico, sotto la Galleria di Milano, intento a seguire con sguardo compiaciuto il passaggio di una cospicua fanciulla. « Ma Umberto — fece l’amico, fingendo di scandalizzarsi — alla tua età».
« Questo — rispose il celebre musicista — è un vizio che non finisce mai».
Del resto è noto a un ristretto gruppo di letterati, che le ultime parole di Gabriele d’Annunzio furono scritte e indirizzate non ai manipoli del Carnaro, o alla decantata pianista veneta, ma a una disinvolta ragazza della riviera gardesana. Il Poeta, pur grave per gli acciacchi, divagava, in quell’inedito messaggio, su alcune sottili questioni amorose. Nessuno ha mai potuto recuperare il prezioso manoscritto che documenta della vitalità della nostra gente: la ragazza, che ora vive a Parigi, ed esercita una professione liberissima, ha incorniciato quelle parole, e non vuole assolutamente disfarsene. Le considera un autorevole attestato.
Il fatto che gli italiani si voltino non va considerato, a parere di alcuni studiosi del fenomeno, come un indice di bassa volgarità, l’evidente espressione di inconfessabili desideri. « Quando ho inventato questo slogan, come tema di un breve film di quattrocento metri — chiarisce il regista Alberto Lattuada —, avevo in mente solo l’immagine consueta degli italiani che si voltano a guardare la donna, e il primo a voltarsi ero io, naturalmente. Poi ho riflettuto sulle ragioni di questo gesto. Ce ne sono molte, ma forse le più importanti sono due: o ci si volta con la speranza che anche la donna si volterà, concludendosi così, nel semplice scambio di sguardi, la più rapida e pura storia d’amore, o ci si volta per verificare quale tesoro si è perduto nell’incontro fuggevole e con l’ansia di scoprire quale aspetto negativo, quale particolare sgradevole possa placare il senso di una cosa irrimediabilmente perduta».
Una usanza, come si vede, che ha anche i suoi lati gentili. Del resto, non tutti sono d’accordo nel riconoscere agli italiani la qualifica di « grandi amatori », di professionisti dell’avventura sentimentale. Secondo Don Liggeri — che fa parte di una Commissione internazionale di consulenza coniugale — « gli italiani sono incendiari, ma gli incendi durano assai meno dei fuochi bene alimentati. Perdono il sonno, perdono l’appetito, ma non è questo il vero segreto del grande amore, se per grande amore si deve intendere quello che costruisce, quello che si alimenta e si rafforza giorno per giorno ».
Sconfortante è anche il parere di Flaiano: «Sono dei grandi e talvolta geniali illustratori della loro disponibilità amatoria». Giudizi severi, che potrebbero distruggere una reputazione ormai mitica. Ma — come sempre — due stimati scrittori ci offrono argomenti per sostenere, eventualmente, la tesi contraria. «Sì — risponde Luigi Bartolini — gli italiani sono grandi amatori; di stile destro e sinistro, tra il Petrarca e l’Aretino».
« Si direbbe che l’amatore italiano — ci conforta Carlo Emilio Gadda — riesca più di qualche altro ad incantare la donna. L’amatore italiano, mi hanno garantito alcune donne, è un repertorio di moine, di sussurri, di espedienti, di giuramenti, di tradimenti, con occhioni profondi, cupi, o allegri e fidenti nel successo, cioè in un migliore domani. Altri sostengono che sia un tiranno, un pignolo. Vattel’a pesca. Io sospetto che qualche buona carta ce la debba avere, nel suo gioco. Le ciance, da sole, non basterebbero ». Concludendo: forse anche gli spagnoli, o i francesi, meritano una certa considerazione, ma non si impegnano come noi, non ci mettono abbastanza orgoglio. Questo è il Paese dove tutte le parole — come dice una canzone, che potrebbe essere anche un inno — dolci o amare che siano, sono sempre parole d’amore.

Enzo Biagi