Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 29 Venerdì calendario

IL FRANCESE BOULET “COSÌ RACCONTO UNIVERSO E SCIENZA IN CHIAVE POP”

Boulet, classe ’75, vive a Parigi ed è uno dei migliori fumettisti francesi. È diventato famoso grazie a un blog,
bouletcorp.com, in cui un omino che gli assomiglia racconta a episodi la sua vita – il lavoro, la vita metropolitana, i ricordi d’infanzia, le donne. Ma non solo: in una buona metà delle storie, che vengono raccolte annualmente dall’editore Delcourt in volumi dal titolo
Notes, Boulet (pseudonimo di Gilles Roussel) racconta questioni scientifiche.
Ci sono gli universi paralleli e la teoria delle stringhe, e Boulet si moltiplica per far vedere la vita quotidiana in un mondo senza ossigeno, o dove abbiamo gli pseudopodi. Parlando di evoluzione, costringe le cellule a cambiare struttura chimica per adattarsi. Con madre natura, bella e discinta, discute della sua pancetta e della morte. Oppure va nel passato per ricostruire, come una versione grottesca della scuola delle Annales, la vita privata degli antichi e l’evoluzione dei costumi.
Lo stile dei suoi saggi a fumetti, pur comico, pop, è di fatto quello degli Essais di Montaigne. L’inventore del saggio moderno dettava i suoi pensieri senza saperli in anticipo, cercando di scoprirli per tentativi, appunto essais. Processi di conoscenza non dogmatici, aperti.
Montaigne era aiutato dai classici latini e greci. Qual è la sua ispirazione?
«La scienza. Da ragazzo volevo imparare disegno, ma al liceo dovetti scegliere tra materie umanistiche e scientifiche. È ingiusto dover scegliere. Da piccolo stavo sempre nel giardino di casa dei miei col telescopio a guardare le stelle. Nella scienza tutto è magico».
Quando ha iniziato a inserirla nei suoi fumetti?
«Un giorno ho scritto un fumetto comico sull’evoluzione. Molti scienziati mi hanno scritto per dirmi che era tutto sbagliato. Certo che lo era. Ne è nato un dibattito, in cui mi consigliavano anche libri da leggere. Da allora studio la scienza e frequento scienziati. Ora per esempio so molte cose di genetica… E non devi essere uno scienziato per affrontare certi temi. Spesso sono questioni filosofiche. Le teorie sul gene egoista per esempio. Il punto è il ruolo dell’uomo nella creazione, e di quello scrivo. Per un fumettista è una grande fonte di ispirazione. Brassens in Le Grand Pan canta della nostalgia di un tempo in cui non sapevamo niente, e c’erano solo i racconti, le storie. Io non sono per niente d’accordo. Da quando studio la scienza il mondo è mille volte più grande e interessante ».
Lei racconta la fantascienza in modo paradossale, la costringe a confrontarsi con la scienza vera. Perché?
«Bisogna riappropriarsi dell’immaginario collettivo. Ciò in cui non mi ritrovo, della fantascienza, è il tema del salvare la civiltà, il mondo, ammazzare il cattivo. Se vedo
Star Warsmi chiedo solo lì come vivono la vita di tutti i giorni… Mi interessa il punto di vista di chi non vale niente. Allora cerco di immaginarmi come sarei
io in un universo steampunk, o in un’ucronia, o nel futuro: cosa vorrei vedere, come sarebbe il mio appartamento?».
Ha letto i libri di Brian Greene sugli universi paralleli?
«Ce l’ho sul comodino. Da bambino lessi della teoria delle stringhe. Era considerata pura fantasia. Ora è molto seguita. Con gli universi paralleli è lo stesso, per ora non ci sono prove. Ma sempre più gente la prende sul serio».
E invece, le influenze letterarie?
«La fantascienza eterodossa di Terry Pratchett, Douglas Adams. Ma prima anche i più classici Bradbury e Asimov. Poi sono passato ai libri di scienza. Soprattutto astrofisica e genetica ».
Però sembra ci sia un altro elemento, più letterario, nella sua scrittura. È così?
«È la stand up comedy.
I grandi americani come Jerry Seinfeld, Louis CK, i loro monologhi. Mi hanno insegnato a strutturare un’idea. Hai poche pagine, devi stare di fronte ai lettori, come nella
stand up comedy, e affrontare un argomento, e c’è un processo che è sempre lo stesso, sia se parli di astronavi sia se parli della tua cucina».
Che è poi l’approccio degli essais.
Sta tutto nell’approccio libero, di indagine?
«È il processo. Il personaggio principale del libro è il processo, più che il mio avatar. Il processo con cui si esamina un argomento».