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 2013  marzo 29 Venerdì calendario

PERCHÉ MIO PADRE ERA NAZISTA

Il nazismo? Lo sterminio di sei milioni di ebrei? In fondo, si tratta d’una vicenda familiare. Ma anche - e le cose sono strettamente legate - dell’invidia sociale e del rancore dei giovani, laureati o comunque diplomati, figli di piccola borghesia e che in una situazione di crisi non vedevano futuro. È questo il nocciolo delle tesi che Götz Aly storico tedesco di fama sostiene nel libro "Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?" in uscita con Einaudi. Il testo in Germania ha sollevato non solo colti dibattiti, ma anche imbarazzo tra gli addetti ai lavori. E questo perché Aly nella sua ricostruzione della catastrofe tira in ballo il passato nazista di suoi nonni, zii e di suo padre Ernst. «Classe 1912, aderì nel 1938 al partito nazista», racconta nel suo studio a Berlino, «è stato ufficiale sul fronte russo». Dove è stato soldato anche August, uno zio dello storico. Le sue lettere dal fronte, Aly le utilizza nel libro: «L’ho potuto scrivere solo dopo la morte dei miei genitori», precisa.
Mai un professore tedesco aveva intrecciato così strettamente genesi del nazismo e Shoah alle proprie vicende familiari. «Ho chiamato in causa la mia famiglia», incalza, «perché altrimenti non si riesce a capire perché i tedeschi hanno sostenuto fino all’ultimo il nazismo ed erano partecipi alla Shoah». Così, per 300 pagine, sfilano davanti al lettore 130 anni di "storie parallele". A partire dal 1802 (data dei primi editti prussiani sulla libertà di commercio agli ebrei) rivediamo la vita della comunità ebraica in Germania insieme, ad esempio, alle lettere che, nel 1915, l’ufficiale Wolfgang Aly scrive alla famiglia. Era un altro nonno dello storico, responsabile a Verdun di una batteria di cannoni. Oppure, si raccontano le peripezie che Ottilie e Friedrich Schneider (nonna e nonno di parte materna), vivono nella Repubblica di Weimar. La convinzione di Aly è che se non capiamo perché un ferroviere come suo nonno Friedrich, appunto, nel 1928 sia passato nelle file di Hitler, «la catastrofe tedesca resterà un oscuro capitolo astratto di "Olocaustologia"». E rincara la dose: «A forza di parlare solo delle Ss si finisce per esorcizzare il nazismo e tenere a distanza l’orrore. Alle conferenze», provoca, «mi diverto a chiedere ai colleghi: tuo padre e tuo nonno erano nazisti?». E nonno Fridrich? La sua vicenda è citata nel libro: «Il 1 aprile 1926 mi sono ritrovato disoccupato. Ero padre di tre bambine di sei, quattro e due anni e in gravi difficoltà. Così, in buona fede, mi sono affidato al programma del partito nazionalsocialista».
Ma cos’è che agli occhi d’un ferroviere e a quelli di milioni di altri tedeschi dell’epoca rendeva così attraente il programma di Hitler? La risposta, sconcertante nella sua semplicità, è che il Führer li stregava «soddisfacendo», dice Aly, «il rancore nutrito dai tedeschi nei confronti degli ebrei». Sì, l’invidia, per i veri e i presunti successi sociali, economici e culturali che in pochi decenni hanno avuto gli ebrei in Germania ha condotto i tedeschi nelle braccia di Hitler. «Il nazismo», sintetizza Aly indicando di fronte al suo studio il Luftwaffe Ministerium, il ministero dell’aviazione che fu di Hermann Göring, «è il più grande monumento mai innalzato all’invidia». Ma attenzione, quando Aly vede alla radice del nazismo «un gigantesco senso d’inferiorità e una massiccia dose di rancore nell’animo dei tedeschi», non fa un esercizio di psicologia. Il libro è pieno di dati statistici. «Nel giro di due generazioni», spiega Aly, «puntando sull’istruzione dei figli molte famiglie ebraiche hanno fatto in Germania una strepitosa ascesa sociale», mentre lentissimo è stato per la maggioranza dei tedeschi non ebrei il passaggio dalla società rurale a quella industriale. Nella Germania del 1907, il tre per cento dei cattolici faceva il medico, l’avvocato o il professore. Contro il 37 per cento di liberi professionisti ebrei. Un primato che non concerne solo le professioni: nei primi del Novecento, a Francoforte il gettito fiscale proveniente dagli appartenenti alla comunità ebraica era quattro volte superiore a quello dei protestanti e di otto volte a quello dei cattolici. A Berlino (dove gli ebrei erano il cinque per cento della popolazione) il loro gettito copriva il 30 per cento delle spese del municipio. E lo storico berlinese, Theodor Mommsen notava, nel 1894, come il virus antisemita fosse frutto «di invidia, anzi di odio selvaggio contro la cultura e il senso di libertà degli ebrei». I dati raccolti da Aly parlano per sé: intorno al 1900, il 56 per cento degli ebrei in Germania aveva un diploma di scuola media superiore, contro il 7 per cento dei tedeschi non ebrei. Nei primi due decenni del secolo gli ebrei, l’un per cento della popolazione, costituivano il 10 per cento degli universitari in Germania.
Tutto questo, ed ecco il secondo punto importante del libro, era causa di una profonda insicurezza personale. L’ambasciatore fascista a Berlino, Carlo Sforza annotava: «I tedeschi si chiedono in ogni momento cosa sia o non sia l’essere tedesco». Spiega Aly: «Il complesso d’inferiorità portò i giovani, specie studenti e laureati nelle braccia di Hitler». Il suo era, e voleva presentarsi come tale, il partito più "giovane" della Repubblica di Weimar. Hitler aveva 32 anni quando fu eletto presidente del partito. Alle elezioni del 1930 i 114 deputati nazisti in Parlamento avevano in media 38 anni. «A sostenere il partito erano giovani che, nonostante studi e diplomi, avevano paura di non trovare lavoro». "Ein Stück Papier": un pezzo di carta, così Joseph Goebbels, (laureato in filosofia prima di diventare ministro della propaganda nazista) chiamava il diploma. Nel 1929, due terzi degli iscritti alle università erano figli d’impiegati e di artigiani. È stata la loro frustrazione, ad aver portato nel 1930 il 35 per cento degli universitari a votare Hitler. «L’acceso antisemitismo dei nazisti», conclude Aly, «era una valvola di sfogo, tanto che nel 1930 Goebbels organizzò tre serate con Hitler, acclamato come una rockstar di oggi, allo Sportpalast di Berlino». Tutti e 12 mila i biglietti andarono a ruba. Il seguito è noto.