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 2013  marzo 29 Venerdì calendario

MALATI DI CARCERE

Antonio respira a fatica, si trascina zoppicando appoggiandosi al muro. I suoi passi lenti dalla cella all’infermeria sono un calvario quotidiano che percorre quasi nell’oscurità. Il diabete gli ha portato via la vista e il piede sinistro è ormai consumato dalla cancrena. Michele, invece, quando è entrato a Rebibbia pesava più di novanta chili. Oggi, divorato dall’anoressia, non arriva a trentotto. Nei penitenziari italiani Antonio e Michele non sono eccezioni. L’elenco di reclusi con patologie gravi è sterminato: ci sono persone colpite dall’Alzheimer e dal cancro, leucemici ed epilettici come ha raccontato "l’Espresso" un mese fa. Dati ufficiali non esistono ma secondo le stime di alcune associazioni - tra cui Antigone e Ristretti Orizzonti - il 47 per cento dei detenuti ha bisogno di assistenza per seri problemi medici o psicologici: quasi 31 mila persone tra le 66 mila e 685 rinchiuse negli istituti di pena. Adesso il caso di Angelo Rizzoli ha permesso di aprire uno squarcio su questi drammi: i legali hanno denunciato la situazione dell’editore settantenne arrestato per bancarotta, provocando interrogazioni parlamentari e l’intervento del Guardasigilli. Rizzoli soffre di sclerosi multipla ma nella sezione detenuti dell’ospedale Pertini di Roma non c’è la possibilità di fisioterapia e quindi il morbo stava avanzando. Il Tribunale del Riesame gli aveva negato la possibilità di andare ai domiciliari ma adesso il gip lo ha autorizzato: potrà curarsi in un centro adeguato.
Più a Nord, nel carcere di Busto Arsizio esiste un reparto di fisioterapia completamente attrezzato: non è stato mai aperto. Uno spreco e un paradosso rispetto al panorama disastroso delle prigioni italiane: ci sono istituti clinici solo in tredici penitenziari su 207. La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata perentoria: «Le disfunzioni strutturali del sistema penitenziario non dispensano lo Stato dai suoi obblighi verso i detenuti malati». Chi non assicura terapie adeguate viola la Convenzione europea e all’Italia sono già state inflitte diverse condanne. L’ultima lo scorso gennaio: un detenuto di Foggia, parzialmente paralizzato e costretto a scontare la pena in una cella di pochi metri quadrati, verrà risarcito per il danno morale. Una sentenza poco più che simbolica: lo Stato dovrà pagargli 10 mila euro.
Spesso però il danno più grave viene dalla burocrazia, che impedisce di fatto le cure specifiche. L’acquisto dei farmaci deve essere autorizzato dal direttore, mentre i ricoveri e persino le visite urgenti passano attraverso procedure lente e complesse, con effetti disumani. Certo, bisogna impedire le fughe e i contatti con l’esterno: il trasferimento in centri clinici è uno strumento utilizzato soprattutto dagli uomini di mafia per evadere o mantenere i rapporti con i clan. Ma, a causa della carenza di mezzi e organici, troppe volte diventa impossibile organizzare il trasporto in ospedale, che prevede la sorveglianza costante da parte degli agenti. Così soltanto a Roma nelle ultime settimane quattro persone sono morte nei penitenziari.
Anche i disabili faticano a ricevere assistenza adeguata. Nelle carceri italiane sono quasi mille. Come Cataldo C., 65 anni, detenuto a Parma per reati di droga. Nel 1981 è stato colpito da un proiettile e il trauma midollare lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Da allora deve sottoporsi a una particolare terapia riabilitativa, la idrokinesiterapia, con iniezioni al midollo spinale, per alleviare il dolore e permettergli un parziale recupero. I medici hanno più volte dichiarato la sua totale incompatibilità con il carcere, che fra l’altro non ha ambienti idonei per chi si muove sulla sedia a rotelle. Le istanze presentate dal difensore Francesco Savastano sono state bocciate e oggi l’uomo non può più neppure sottoporsi alle iniezioni: Cataldo C. ha perso anche quel poco di mobilità che era riuscito a recuperare grazie alle cure.
Dietro le sbarre moltissimi detenuti si ammalano di anoressia. Arrivano a perdere più della metà del peso e si riducono a larve umane, esposte a traumi e infezioni. Alessio M., 48 anni, dal 2011 è recluso ad Avellino, in attesa di giudizio per usura. A raccontare la sua storia attraverso l’associazione "Detenuto Ignoto" è la moglie Lucia: «Soffre di una forma di idrocefalo che gli provoca mal di testa lancinanti, parzialmente curati con un drenaggio alla testa di cui è tuttora portatore». È riuscito a ottenere i domiciliari solo per pochi mesi. Poi, con il ritorno in cella, è cominciata anche l’anoressia. Inevitabile che la detenzione provochi o amplifichi disturbi mentali. Spiega l’associazione Antigone, tra le più attive nel denunciare l’abisso dei penitenziari: «Molto spesso arrivano sani, o magari con una lieve tendenza alla depressione, e nel giro di qualche mese la loro mente precipita nel buio». È il caso di Osvaldo G., 57 anni, detenuto a Reggio Calabria. Invalido e affetto da dieci gravi diverse patologie allo stomaco, al pancreas, al fegato e ai reni, è in carcere da più di un anno per aver danneggiato la porta dell’ufficio di un uomo con il quale aveva litigato. In cella deve condividere il wc alla turca con altri quattro reclusi. Durante il giorno ha violenti conati di vomito e fitte di dolore che lo costringono a letto. Ha diritto a quattro ore d’aria, ma non riesce a uscire: vive sempre in una cella gelida d’inverno e torrida d’estate. L’affollamento rende praticamente impossibile la pulizia personale, che nelle sue condizioni dovrebbe essere ancora più accurata.
Nella débâcle del nostro sistema carcerario anche assistere i diabetici è difficile: secondo l’Associazione medici dell’amministrazione penitenziaria italiana sono circa il 5 per cento dei reclusi. Oltre tremila persone che devono fare i conti con un duplice ostacolo. Le dosi di insulina che devono farsi iniettare quotidianamente e più volte al giorno a volte sono irreperibili. La mensa interna non è in grado di garantire i pasti totalmente privi di zuccheri e scarsi di amidi, gli unici compatibili con la loro condizione. Secondo il regolamento, il detenuto diabetico avrebbe diritto all’insulina 3-4 volte al giorno e a una dieta personalizzata. La realtà però è molto diversa. L’associazione Ristretti Orizzonti si è occupata attraverso l’avvocato Davide Mosso del caso di un detenuto algerino di 36 anni, Redouane M., trovato senza vita nel reparto psichiatria del carcere di Monza. L’uomo - diabetico, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline - il giorno prima della morte si era rifiutato di prendere l’insulina e i medici del carcere non gli avevano fatto la somministrazione forzata. Ancora più penalizzati gli anziani. Soli e malati, spesso restano dietro le sbarre anche dopo i 70 anni, il limite di età previsto dal nostro codice penale. Nel carcere di Cagliari è rinchiuso ad esempio Carlo F., 75 anni. Soffre di cardiopatia ischemica dovuta a tre infarti al miocardio, claustrofobia e morbo di Parkinson. Ad aggravare la situazione fisica c’è la depressione che, insieme all’ansia, gli provoca un’accentuazione del tremore al punto da fargli cadere gli oggetti dalle mani. Le sue istanze per ottenere i domiciliari sono rimaste inascoltate. E solo di recente gli è stata concessa una cella con un wc normale, e non quello alla turca, inagibile per un anziano.
A nto nio respira a fatica, si trascina zoppicando appoggiandosi al muro. I suoi passi lenti dalla cella all’infermeria sono un calvario quotidiano che percorre quasi nell’oscurità. Il diabete gli ha portato via la vista e il piede sinistro è ormai consumato dalla cancrena. Michele, invece, quando è entrato a Rebibbia pesava più di novanta chili. Oggi, divorato dall’anoressia, non arriva a trentotto. Nei penitenziari italiani Antonio e Michele non sono eccezioni. L’elenco di reclusi con patologie gravi è sterminato: ci sono persone colpite dall’Alzheimer e dal cancro, leucemici ed epilettici come ha raccontato "l’Espresso" un mese fa. Dati ufficiali non esistono ma secondo le stime di alcune associazioni - tra cui Antigone e Ristretti Orizzonti - il 47 per cento dei detenuti ha bisogno di assistenza per seri problemi medici o psicologici: quasi 31 mila persone tra le 66 mila e 685 rinchiuse negli istituti di pena. Adesso il caso di Angelo Rizzoli ha permesso di aprire uno squarcio su questi drammi: i legali hanno denunciato la situazione dell’editore settantenne arrestato per bancarotta, provocando interrogazioni parlamentari e l’intervento del Guardasigilli. Rizzoli soffre di sclerosi multipla ma nella sezione detenuti dell’ospedale Pertini di Roma non c’è la possibilità di fisioterapia e quindi il morbo stava avanzando. Il Tribunale del Riesame gli aveva negato la possibilità di andare ai domiciliari ma adesso il gip lo ha autorizzato: potrà curarsi in un centro adeguato.
Più a Nord, nel carcere di Busto Arsizio esiste un reparto di fisioterapia completamente attrezzato: non è stato mai aperto. Uno spreco e un paradosso rispetto al panorama disastroso delle prigioni italiane: ci sono istituti clinici solo in tredici penitenziari su 207. La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata perentoria: «Le disfunzioni strutturali del sistema penitenziario non dispensano lo Stato dai suoi obblighi verso i detenuti malati». Chi non assicura terapie adeguate viola la Convenzione europea e all’Italia sono già state inflitte diverse condanne. L’ultima lo scorso gennaio: un detenuto di Foggia, parzialmente paralizzato e costretto a scontare la pena in una cella di pochi metri quadrati, verrà risarcito per il danno morale. Una sentenza poco più che simbolica: lo Stato dovrà pagargli 10 mila euro.
Spesso però il danno più grave viene dalla burocrazia, che impedisce di fatto le cure specifiche. L’acquisto dei farmaci deve essere autorizzato dal direttore, mentre i ricoveri e persino le visite urgenti passano attraverso procedure lente e complesse, con effetti disumani. Certo, bisogna impedire le fughe e i contatti con l’esterno: il trasferimento in centri clinici è uno strumento utilizzato soprattutto dagli uomini di mafia per evadere o mantenere i rapporti con i clan. Ma, a causa della carenza di mezzi e organici, troppe volte diventa impossibile organizzare il trasporto in ospedale, che prevede la sorveglianza costante da parte degli agenti. Così soltanto a Roma nelle ultime settimane quattro persone sono morte nei penitenziari.
Anche i disabili faticano a ricevere assistenza adeguata. Nelle carceri italiane sono quasi mille. Come Cataldo C., 65 anni, detenuto a Parma per reati di droga. Nel 1981 è stato colpito da un proiettile e il trauma midollare lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Da allora deve sottoporsi a una particolare terapia riabilitativa, la idrokinesiterapia, con iniezioni al midollo spinale, per alleviare il dolore e permettergli un parziale recupero. I medici hanno più volte dichiarato la sua totale incompatibilità con il carcere, che fra l’altro non ha ambienti idonei per chi si muove sulla sedia a rotelle. Le istanze presentate dal difensore Francesco Savastano sono state bocciate e oggi l’uomo non può più neppure sottoporsi alle iniezioni: Cataldo C. ha perso anche quel poco di mobilità che era riuscito a recuperare grazie alle cure.
Dietro le sbarre moltissimi detenuti si ammalano di anoressia. Arrivano a perdere più della metà del peso e si riducono a larve umane, esposte a traumi e infezioni. Alessio M., 48 anni, dal 2011 è recluso ad Avellino, in attesa di giudizio per usura. A raccontare la sua storia attraverso l’associazione "Detenuto Ignoto" è la moglie Lucia: «Soffre di una forma di idrocefalo che gli provoca mal di testa lancinanti, parzialmente curati con un drenaggio alla testa di cui è tuttora portatore». È riuscito a ottenere i domiciliari solo per pochi mesi. Poi, con il ritorno in cella, è cominciata anche l’anoressia. Inevitabile che la detenzione provochi o amplifichi disturbi mentali. Spiega l’associazione Antigone, tra le più attive nel denunciare l’abisso dei penitenziari: «Molto spesso arrivano sani, o magari con una lieve tendenza alla depressione, e nel giro di qualche mese la loro mente precipita nel buio». È il caso di Osvaldo G., 57 anni, detenuto a Reggio Calabria. Invalido e affetto da dieci gravi diverse patologie allo stomaco, al pancreas, al fegato e ai reni, è in carcere da più di un anno per aver danneggiato la porta dell’ufficio di un uomo con il quale aveva litigato. In cella deve condividere il wc alla turca con altri quattro reclusi. Durante il giorno ha violenti conati di vomito e fitte di dolore che lo costringono a letto. Ha diritto a quattro ore d’aria, ma non riesce a uscire: vive sempre in una cella gelida d’inverno e torrida d’estate. L’affollamento rende praticamente impossibile la pulizia personale, che nelle sue condizioni dovrebbe essere ancora più accurata.
Nella débâcle del nostro sistema carcerario anche assistere i diabetici è difficile: secondo l’Associazione medici dell’amministrazione penitenziaria italiana sono circa il 5 per cento dei reclusi. Oltre tremila persone che devono fare i conti con un duplice ostacolo. Le dosi di insulina che devono farsi iniettare quotidianamente e più volte al giorno a volte sono irreperibili. La mensa interna non è in grado di garantire i pasti totalmente privi di zuccheri e scarsi di amidi, gli unici compatibili con la loro condizione. Secondo il regolamento, il detenuto diabetico avrebbe diritto all’insulina 3-4 volte al giorno e a una dieta personalizzata. La realtà però è molto diversa. L’associazione Ristretti Orizzonti si è occupata attraverso l’avvocato Davide Mosso del caso di un detenuto algerino di 36 anni, Redouane M., trovato senza vita nel reparto psichiatria del carcere di Monza. L’uomo - diabetico, epilettico e con diagnosi di disturbo borderline - il giorno prima della morte si era rifiutato di prendere l’insulina e i medici del carcere non gli avevano fatto la somministrazione forzata. Ancora più penalizzati gli anziani. Soli e malati, spesso restano dietro le sbarre anche dopo i 70 anni, il limite di età previsto dal nostro codice penale. Nel carcere di Cagliari è rinchiuso ad esempio Carlo F., 75 anni. Soffre di cardiopatia ischemica dovuta a tre infarti al miocardio, claustrofobia e morbo di Parkinson. Ad aggravare la situazione fisica c’è la depressione che, insieme all’ansia, gli provoca un’accentuazione del tremore al punto da fargli cadere gli oggetti dalle mani. Le sue istanze per ottenere i domiciliari sono rimaste inascoltate. E solo di recente gli è stata concessa una cella con un wc normale, e non quello alla turca, inagibile per un anziano.