Marco Damilano, L’Espresso 29/3/2013, 29 marzo 2013
QUIRINALE DELLE MIE BRAME
Votazioni drammatiche, franchi tiratori, trabocchetti, manine e manone per sabotare i candidati più forti. «Se non vengo eletto, sarà la fine della prima Repubblica», fece sapere Giulio Andreotti nel 1992, e così fu. Il conclave laico per scegliere il presidente della Repubblica è sempre stato una maledizione per chi aspira alla carica, quella del 15 aprile per il dodicesimo presidente sarà l’elezione più incerta della storia, dopo che la poltrona del Colle è finita ufficialmente nelle trattative per il nuovo governo. Grandi e piccole intese, presidenti di schieramento, le formule istituzionali si intrecciano a quelle governative. Lasciando spazio a una soluzione mai vista: la riconferma del presidente in carica. Il regista della crisi Giorgio Napolitano.
GRANDI INTESE voti 834
(centrosinistra-centrodestra-Scelta Civica)
«Un moderato al Quirinale», reclama Silvio Berlusconi nelle piazze. Ma la verità sul tormentone sul governo, Bersani sì-Bersani no, è che il Cavaliere vuole dire la sua nella scelta del presidente. Il preferito del Cavaliere, l’ex governatore di Banca d’Italia Mario Draghi, è impegnato come presidente della Banca centrale europea fino al 31 ottobre 2019: sarà per la prossima volta. In alternativa Berlusconi potrebbe lanciare l’ex compagno di studi di Draghi al liceo Massimo dei gesuiti Luca Cordero di Montezemolo o l’ex premier Lamberto Dini. Ma la vera opzione, scartato il solito Gianni Letta, è seguire l’imperativo del generale israeliano Moshe Dayan: la pace si fa con i nemici. Nessuno meglio di un ex comunista potrebbe firmare la pacificazione con Berlusconi (leggi: salvacondotto per i processi). Al vertice della lista l’adorato Massimo D’Alema, già votato dalla destra come presidente della Bicamerale e del Copasir (in tempi più recenti), accarezzato come candidato nel 2006 (un intempestivo colloquio di Piero Fassino con "Il Foglio" di Giuliano Ferrara fece saltare tutto). Oppure l’ex presidente della Camera Luciano Violante o il neo-presidente del Senato Piero Grasso, due ex toghe di vario colore. E naturalmente c’è Giuliano Amato che ha fatto capolino nella corsa al Quirinale con una lettera a "Repubblica" dove spiegava di percepire una pensione di 11 mila euro mensili e di girare il vitalizio a una comunità di accoglienza. Tra i fondatori del Pd ma senza tessera, i buoni rapporti con Berlusconi risalgono al primo decreto salva-Fininvest, quando Amato era sottosegretario di Craxi. Nel remoto 1984, 29 anni fa.
AVANTI CATTOLICI voti 834
(centrosinistra-centrodestra-Scelta Civica)
Rispunta una delle più ferree leggi dell’oligarchia primo-repubblicana, l’alternanza al Quirinale tra un laico e un cattolico. Dopo la stagione dei teo-con cari a papa Ratzinger, con papa Francesco sono tornati di moda i cattolici democratici, come si chiamavano quando c’era la Dc. Valerio Onida, 77 anni, ex presidente della Corte costituzionale. Sergio Mattarella, 72 anni, palermitano, fratello del presidente della regione Sicilia Piersanti ucciso dalla mafia, giudice costituzionale, agli occhi di Berlusconi ha la macchia di essersi dimesso da ministro nel 1990 per protestare contro la legge Mammì. Pierluigi Castagnetti, 68 anni, ex collaboratore di don Giuseppe Dossetti e ultimo segretario del Ppi, vanta una solida militanza anti-B., ma è stato stimato da tutti come vice-presidente della Camera e presidente della Giunta per le autorizzazioni. Franco Marini, ottant’anni il 9 aprile, ex presidente del Senato, piace a Berlusconi e a Letta ma sconta la mancata rielezione a Palazzo Madama. L’ex ministro Giuseppe Pisanu è un cattolico con lunghi trascorsi berlusconiani (ma pesa la rottura con il Pdl). Esterno ai partiti, ma amatissimo al Quirinale e tra i vescovi, il fondatore del Censis Giuseppe De Rita, 80 anni: il teorico del «sommerso», l’inventore della «mucillagine sociale», che scandaglia i fondali della società italiana.
PRESIDENTE TECNICO voti 566
(centrosinistra-Scelta Civica).
Nella partita della crisi di governo la lista di Mario Monti ha giocato un ruolo di mediazione tra Pd e Pdl, la cerniera della grande coalizione. Segno che, nonostante tutto, il premier senatore a vita non perde le speranze di arrivare al Quirinale. Dalla sua parte ci sono le cancellerie internazionali che lo vorrebbero garante del nuovo governo, contro l’ostilità del Pdl. «Il suo è un dire esoterico, senza cuore», lo ha bollato il capogruppo Renato Brunetta durante l’ultimo dibattito alla Camera. Gongolante per la pessima figura del governo sul caso dei marò rispediti in India.
PD BALLA DA SOLO voti 495
(centrosinistra)
C’è un solo candidato su cui pesa il veto esplicito di Berlusconi: Romano Prodi. «Voi non lo volete, vero?», ha chiesto il Cavaliere dal palco ai militanti del Pdl alla manifestazione di piazza del Popolo. Eppure l’ostilità berlusconiana potrebbe rafforzare indirettamente la candidatura del Professore, se il presidente fosse eletto con il solo appoggio del centrosinistra, come accadde nel 2006 con Napolitano. Dal quarto scrutinio in poi basta la maggioranza assoluta, 504 voti, per raggiungere il quorum ne mancano nove, ma tra montiani amici dell’ex presidente della Commissione europea come Lorenzo Dellai e Mario Marazziti e qualche dissidente grillino non sarebbe difficile trovarli. A patto che tutto il centrosinistra sia unito nel nome di Prodi, il che non è proprio scontato. In alternativa, nei giorni scorsi, circolava come candidato della coalizione progressista un altro emiliano: lo stesso Bersani.
QUIRINALE A CINQUE STELLE voti 659 (centrosinistra-5 Stelle)
Con i grillini in partita per il voto di fiducia al governo al Senato si può sperare di ripetere l’effetto Grasso (gruppo di 5 Stelle spaccato a Palazzo Madama) o Boldrini (deputati del Movimento in estasi mentre parlava la neo-presidente della Camera). Nichi Vendola, piazzato alla frontiera tra centrosinistra e M5S, spera di convincerli a votare un presidente fuori dai partiti. In testa il giurista Stefano Rodotà, ottant’anni il prossimo 30 maggio, una vita dentro le istituzioni (era candidato alla presidenza della Camera dopo Scalfaro, al suo posto fu eletto Napolitano) e fuori (nel 2011, per esempio, il referendum sull’acqua pubblica, caro anche al Movimento 5 Stelle). Oppure l’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, presidente onorario di Libertà e Giustizia.
COLLE IN ROSA voti 566
(centrosinistra-Scelta Civica)
Emma Bonino è candidata al Quirinale da almeno 15 anni. Anna Finocchiaro sperava di arrivare all’appuntamento da presidente del Senato. La vera first lady della politica, al governo e nelle istituzioni, è il prefetto Anna Maria Cancellieri, 69 anni, ministro dell’Interno del governo Monti, in testa ai sondaggi di popolarità: la sua orazione ai funerali del capo della Polizia Antonio Manganelli ha conquistato tutti.
RE GIORGIO FOREVER voti 1007
(centrosinistra-centrodestra-Scelta Civica-5 Stelle).
Se tutti gli schemi dovessero saltare c’è la carta di riserva, la più coperta e prestigiosa. «Sono rimasto colpito dalla sua saggezza e dalla sua energia fisica e morale. E mi sono chiesto come tanti altri italiani: perché mai dovremmo privarci di un capo dello Stato come Giorgio Napolitano?», ha scritto Giampaolo Pansa su "Libero". In realtà da mesi il presidente in scadenza, 88 anni il prossimo 29 giugno, risponde (o fa replicare) in modo sempre più piccato a chi invoca la sua rielezione. «Una regola di rispetto della persona e dell’istituzione consiglierebbe di considerare la questione chiusa», ha reagito due settimane fa il portavoce del Quirinale Pasquale Cascella dopo un editoriale del direttore del "Corriere" Ferruccio de Bortoli che chiedeva a Napolitano di restare. Intanto, però, la crisi si è ulteriormente avvitata ed è toccato al presidente cercare una fragile soluzione. «Per la sua successione vedo un solo candidato: lui», dice il deputato Pd Matteo Orfini. Nel Pdl Berlusconi è pronto a sostenerlo. La novità degli ultimi giorni è Beppe Grillo. «Mi è piaciuto, non lo chiameremo più Morfeo», ha ammesso l’ex comico intercettato da un microfono dopo l’incontro al Quirinale.
Se per miracolo fosse tutto il Parlamento in seduta comune a chiedergli di restare, Napolitano difficilmente potrebbe dire di no, accompagnando l’accettazione del mandato (sette anni) con il diritto a dimettersi dalla carica a emergenza conclusa. Un plebiscito, per un presidente a vita.