Paolo Biondani e Luca Piana, L’Espresso 29/3/2013, 29 marzo 2013
TANGENTOPOLI TOSSICA
Altro che banda del 5 per cento. Una serie di inchieste giudiziarie che attraversa l’Italia da Milano a Palermo sta portando alla luce una colossale cricca dei titoli tossici che ha contribuito a minare l’economia del Paese. Ci sono politici e burocrati che hanno incassato tangenti milionarie per acquistare prodotti finanziari disastrosi. E, si legge nelle carte delle tante inchieste, «centinaia di dirigenti» bancari che si sono spartiti ricchissime creste ai danni dei loro stessi istituti (articolo a pagina 34).
"L’Espresso" presenta le conclusioni di un dossier che analizza i risultati delle indagini condotte dalla Guardia di Finanza. Dietro le operazioni ad alto rischio intraprese da molte regioni e città non c’era semplice imperizia o la furberia di aggiustare i bilanci per scaricare le perdite sulle amministrazioni future. C’era un sistema che ha garantito ad alcune banche guadagni stratosferici, con enormi «costi occulti» per gli enti pubblici. E che ha alimentato un flusso di pagamenti offshore che spesso è servito a nascondere mazzette milionarie. Con il risultato che ancora oggi la Banca d’Italia stima perdite future per almeno 1.200 milioni di euro, su una montagna di debiti finanziari da oltre 11 miliardi che zavorra i conti di 214 amministrazioni locali. Un livello record, nonostante la crisi e le stesse inchieste abbiano portato negli ultimi anni a chiudere con pesanti passivi più di metà dei derivati.
CALABRIA. Per capire come è nata l’emergenza dei titoli tossici si può partire dalla figura di Massimiliano Napolitano, indagato prima a Milano e poi a Catanzaro, dove la procura è pronta a chiedere una serie di rinvii a giudizio. Nato a Roma nel 1967, Napolitano una decina d’anni fa si afferma in Calabria, dove vanta rapporti eccellenti. Fa parte dello staff di un politico locale. E soprattutto è amico di un alto dirigente della Regione, Mauro Pantaleo, capo del settore Bilancio, di cui è stato addirittura socio. Come consulente privato, Napolitano contribuisce a vendere i primi derivati a vari enti locali calabresi. Poi fa il botto. La Deutsche Bank lo ingaggia nel 2005, quando fa acquistare a una società regionale i crediti dei fornitori verso la sanità calabrese. Gli affari più grossi, però, il consulente rampante li fa con la banca giapponese Nomura. La Calabria ha un pacchetto di 325 milioni di debiti: semplici mutui a tasso fisso che scadranno nel 2020. Pantaleo viene incaricato di negoziare con Nomura un cosiddetto swap: una specie di scommessa sull’andamento dei tassi, che la Regione accetta sperando di pagare meno. Quel contratto prevede però clausole che i magistrati considerano illecite. In primo luogo la banca è così sicura di guadagnarci da mettere subito a bilancio dei mega-profitti: 34,3 milioni, con le rinegoziazioni dello swap. Ma c’è di peggio. Con quegli utili, Nomura è costretta a pagare provvigioni per 5,6 milioni a una rete di società offshore. Tre milioni finiscono a Napolitano, che in teoria doveva assistere la Regione. E ora è indagato con Pantaleo per corruzione e truffa aggravata. Tra gli altri beneficiati, nessuno dei quali risulta aver svolto alcun lavoro, 200 mila euro finiscono a due protagonisti di un altro scandalo dei titoli tossici: i siciliani Marcello Massinelli e Fulvio Reina.
SICILIA. «Ricambio gli auguri di buon anno, sperando d’iniziarlo con un bello swap...». È un messaggio inviato da Andrea Giordani, banchiere di Nomura, a Massinelli e Reina. Il primo, in teoria, è consulente della Regione. Ma l’augurio del banchiere è profetico. Tra il 2004 e il 2006 Nomura realizza a Palermo profitti che la Guardia di Finanza calcola in 104 milioni. Come in Calabria, però, la banca paga provvigioni altissime: 16,3 milioni, in gran parte versati sul conto londinese di una società controllata da Massinelli e Reina. Uomini vicinissimi all’allora governatore Salvatore Cuffaro: sono i tesorieri delle sue campagne elettorali. Gli investigatori seguono le tracce dei bonifici esteri. E scoprono che 800 mila euro sono finiti su un conto in Lussemburgo intestato a Armando Vallini, banchiere di Nomura e «interlocutore principale di Massinelli e Reina». C’è una cresta, insomma. Ma c’è anche un fiume di soldi per gli amici di Cuffaro: da Londra una fetta del tesoro passa a Lugano, dove 5,8 milioni vengono prelevati in contanti da due spalloni, che li consegnano in Italia a Massinelli e Reina. In attesa delle prime verità giudiziarie, tutti vanno considerati innocenti. Certo è che quei derivati hanno lasciato un conto salato per i cittadini. La Sicilia, stando agli ultimi dati, è ancora esposta per 303 milioni di euro con Nomura. Che resta oggi il maggior creditore della Regione.
LIGURIA . Tra il 2004 (centrodestra) e il 2006 (centrosinistra) anche questa Regione approva tre prestiti obbligazionari con Nomura: per coprire i deficit precedenti, la Liguria s’indebita fino al 2034 per 320 milioni. Per garantire il rimborso, versa ogni anno una rata, che la banca investe in titoli pubblici. La Procura di Milano scopre che Nomura ha comprato obbligazioni ad alto rischio (ad esempio titoli greci) e chiede le carte di quel derivato, che però la Regione non consegna. Nel 2010 il pm Alfredo Robledo sequestra il contratto. Analizzando le clausole, gli specialisti della Guardia di Finanza svelano che Nomura ha scaricato tutti i rischi sulla Regione: se i titoli producono utili, incassa la banca; se invece vanno in perdita o in bancarotta, la Liguria deve risarcire l’istituto «in contanti». E per il derivato più sospetto del 2006, due ex funzionari di Nomura testimoniano che la banca considerava già acquisito «un profitto immediato di circa 20 milioni»: il 10 per cento di quel prestito. Di qui l’accusa di truffa per la squadra di funzionari capeggiata da Giordani: gli stessi indagati della Calabria.
In Liguria finora non sono emerse tangenti. Ma un rivolo di pagamenti sospetti c’è anche qui. Nel 2004, infatti, la banca americana Merrill Lynch ha versato 80 mila euro a una società off-shore controllata da altri due superconsulenti, Gianpaolo e Maurizio Pavesi, giustificandoli come «provvigione per l’affare dell’11 novembre 2004». Proprio quel giorno la Regione Liguria aveva siglato un bel derivato da 80 milioni di euro con Merrill Lynch e Dexia.
LOMBARDIA. I fratelli Pavesi vivono a Napoli ma hanno agganci in tutta Italia. Nell’ottobre 2002, ad esempio, la giunta Formigoni s’indebita con un maxiprestito strutturato da Merrill Lynch e Ubs: un miliardo di dollari da restituire nel 2032. La Procura, forte di una perizia, accusa le banche di aver incamerato subito, contro ogni regola, un«profitto illecito di 95 milioni di euro». Anche qui il rimborso finale è garantito da acquisti annuali di obbligazioni. E l’anomalia, come sempre, è che la Regione ci mette i soldi, le banche estere scelgono cosa comprare, ma il rischio di ritrovarsi pieni di titoli-spazzatura è a carico dell’ente pubblico. E intanto la Guardia di Finanza scopre che Merrill Lynch ha versato 959 mila dollari, nel giorno del "Pirellone bond", alla società irlandese Achernar dei fratelli Pavesi, la stessa del caso ligure.
Ma in cambio della provvigione all’estero, che lavoro hanno fatto i due consulenti italiani? Gli inquirenti setacciano tutti gli archivi, ma non trovano «nessun documento»: solo «riferimenti generici a consulenze imprecisate». In compenso i Pavesi sfoggiano «rapporti confidenziali» con i burocrati regionali che decidono sui derivati. Un giro di email documenta perfino una saga di conflitti d’interessi: nel 2009, quando la giunta lombarda deve rispondere alle critiche dell’opposizione sulla «convenienza» dei derivati, i funzionari pubblici girano i quesiti all’Ubs, cioè alla teorica controparte privata. La banca svizzera chiede i dati alla Fincon, cioè ai famosi superconsulenti: «Come rispondiamo?». Ma la società dei Pavesi non sa che dire e si fa mandare la risposta, «come sempre», dai banchieri di Merrill Lynch. A quel punto la procura ha indagato per truffa anche i rappresentanti delle banche. Sono due italiani: Daniele Borrega per Merrill, Gaetano Bassolino, figlio dell’ex sindaco di Napoli, per Ubs Londra. La giunta Formigoni ha criticato l’inchiesta, ma poi ne ha approfittato per ricontrattare il derivato: la transazione però è rimasta segreta. Di fronte a un reato del 2002, la procura alla fine ha dovuto archiviare per «intervenuta prescrizione». Ma ha denunciato tutto alla Corte dei Conti: il caso resta aperto.
DA MILANO A POZZUOLI. Proprio Bassolino junior è uno dei nove banchieri condannati in primo grado nel primo processo-pilota sui derivati-truffa del Comune di Milano. Il tribunale ha punito anche le banche: Jp Morgan, Deutsche Bank, Depfa e Ubs si sono viste confiscare «profitti illeciti» per 90 milioni. I contratti, approvati dal centrodestra (con i sindaci Albertini e Moratti), sono stati chiusi dalla giunta Pisapia: il Comune ha risparmiato 455 milioni di euro.
Le inchieste hanno svelato che i fratelli Pavesi, dal lontano 1986 fino alle perquisizioni del 2009, erano diventati «gli specialisti» nella vendita di derivati a «decine di comuni, province e regioni». In Italia, con la società Fincon, hanno incassato 4,2 milioni da Merrill Lynch e altri 1,4 da Ubs, sempre per «consulenze non documentate con enti pubblici non precisati». Ma i sospetti più gravi riguardano le parcelle incassate su conti esteri non dichiarati: altri 5,4 milioni ricevuti per «procacciare affari» alle banche, tra il 2001 e il 2005, con le Regioni Abruzzo, Umbria, Toscana, Puglia e Lazio, la Provincia di Milano e i Comuni di Firenze e Venezia. Nei computer sequestrati, però, è spuntata la traccia di una massiccia distruzione di documenti sui rapporti con politici e burocrati: temendo le perquisizioni, una dipendente di Fincon informava già nel 2007 di aver «controllato tutta la posta eliminando soprattutto i messaggi da cui si evince che incontravamo l’ente da soli». E nella stessa email invitava i fratelli Pavesi a completare la cancellazione dei messaggi più compromettenti che riguardano «i comuni di Padova, Roma, Venezia, Torino, Napoli, Verona» e poi «Lombardia, Sicilia, Campania, Lazio Marche, Veneto, provincia di Trento, Acegas, Finlombarda, Fondazione Banco di Sicilia».
Nella trappola dei titoli tossici sono rimasti imprigionati perfino piccoli centri come Scalea, 10 mila abitanti, o Filadelfia, con solo 5 mila anime. E per vendere derivati al Comune di Pozzuoli, Nomura nel 2007 ha versato 450 mila euro a una misteriosa "Fadal". La solita stecca, il sigillo dell’ultima tangentopoli che peserà per decenni sulle tasche degli italiani.