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 2013  marzo 08 Venerdì calendario

L’INVIDIA SOCIALE NON AIUTA A GOVERNARE

C’è chi non si spiega come abbia fatto il Partito Democratico a “non vincere” le elezioni di fine febbraio. Suggerisco di partire da uno dei giganti della sinistra europea: il socialdemocratico svedese Olof Palme. Negli anni Ottanta, ogni volta che sentiva aria di revanscismo sociale proveniente dalla sua parte politica, Palme diceva una cosa semplice semplice: «Non dobbiamo combattere la ricchezza, dobbiamo combattere la povertà». Qualche decennio prima, la sinistra liberal americana – appunto liberale e non socialista – aveva impostato la politica sociale sulla «guerra alla povertà» (Lyndon B. Johnson, 1964) e senza mai porsi il problema di punire la ricchezza. Ehi, i Dems sono di sinistra, ma prima di tutto sono americani.
Walter Veltroni fece sua l’idea di Palme quando fondò il Pd e lo portò a superare il 33% Un risultato immenso, soprattutto paragonato alle elezioni appena concluse. D’accordo, Veltroni fu sconfitto da un Berlusconi allora imbattibile, non da quello a pezzi di questo giro, ma è facile continuare a perdere se non si capisce che il partito guidato da Pierluigi Bersani è nato proprio intorno a quel principio apparentemente banale enunciato da Palme. Un principio rivoluzionario nel contesto politico e sociale comunista e cattolico del nostro Paese.
Mentre Veltroni riallineava, con qualche ritardo, la sinistra italiana a quella riformista occidentale, il claim dei partiti comunisti, rifondati e no, continuava a essere quello di far piangere i ricchi. Veltroni perse le elezioni 2008, ma sembrò vincere la battaglia ideologica interna, anche perché grazie alla famigerata «vocazione maggioritaria» lasciò i comunisti fuori dal Parlamento, costruendo così le prime mura di una nuova casa per la sinistra moderna e riformatrice. Matteo Renzi è il prodotto di quella nuova era.
A questo giro, è stato fatto un passo indietro: Olof Palme è stato dimenticato.
Tutto è cominciato durante le primarie tra Bersani e Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze è stato accusato di essere una quinta colonna della destra berlusconiana, proprio perché voleva rimuovere dal suo partito le incrostazioni ideologiche del passato. Il colpo del ko gli è arrivato quando è andato a cena con un gruppo di finanzieri milanesi, il più noto dei quali era Davide Serra. La cena delle Cayman. «Chi ha base alle Cayman non dia consigli», disse Bersani. «Certa finanza non è trasparente, sono banditi tra virgolette». In quella cena non era successo nulla, ovviamente. E i finanzieri non sono criminali ipso facto, a meno che non si pensi sia criminale far circolare e far fruttare il capitale (a Siena, invece, pare si possa).
Blame the rich, prendersela con i ricchi, è diventato il mantra della campagna elettorale del centrosinistra. Un po’ per rincorrere il populismo degli antipolitici, un po’ per riflesso condizionato dei leader ex Pci, un po’ perché la base è sempre stata mobilitata con queste parole d’ordine. L’ipotesi di patrimoniale e le liste con Nichi Vendola, l’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani e l’ideologo dell’operaismo italiano Mario Tronti, sono state un altro esempio, anche se poi nelle liste c’erano candidati d’altro tipo. Ci sono stati tre episodi a confermare il ritorno al passato e a dare ragione a Mario Monti quando ha detto che il Pd in realtà è nato nel 1921, ed è diretta espressione del Partito comunista, non del nuovo partito riformista immaginato al Lingotto nel 2007 e da Renzi nel 2012.
C’è stato il caso Giulia Ichino, apprezzata editor della Mondadori e figlia del politico e giuslavorista Pietro Ichino che ha lasciato il Pd proprio per il ritorno al passato sui temi del lavoro (Ichino senior ora sta con Monti). Durante un’assemblea del Pd, una militante di partito, autodefinitasi precaria, ha accusato Giulia Ichino di essere una raccomandata del padre, perché altrimenti sarebbe inspiegabile per una ragazza giovane la conquista di un posto fisso così prestigioso. Alla fine dell’intervento, Bersani ha abbracciato la precaria. A nessuno è venuto in mente che Giulia Ichino ha studiato, lavorato e meritato quel posto. No, niente, nemmeno quando molti scrittori hanno espresso sgomento e solidarietà alla loro editor. L’idea che i vertici del Pd hanno lasciato passare è che se ce l’hai fatta, c’è qualcosa sotto. Se non ce l’hai fatta, la colpa è di chi ti ha fregato il posto. Un grande esempio.
Poi c’è stata la questione delle multe per divieto di sosta. Bersani ha detto che gli piacerebbe far pagare le multe in base al reddito. Punire i ricchi. Lo fanno anche all’estero, dice. Sì, all’estero fanno anche l’infibulazione, c’è la pena di morte e in Arabia Saudita non fanno nemmeno guidare le donne. Non è un argomento, l’estero. L’argomento è la nostalgia per la lotta di classe.
Tra i tanti a disposizione, Bersani se l’è presa con Beppe Grillo nel modo più surreale: «Son figlio di un meccanico, non sono un miliardario come lui». Siamo oltre le insinuazioni sul padre di Giulia Ichino. Bersani non ha detto che Grillo è figlio di un miliardario, ovvero un privilegiato rispetto al figlio di un meccanico. No, lo ha accusato di essere miliardario. Guadagnare tanto è riprovevole, con tanti saluti a Olof Palme. Difficile convincere un Paese con l’invidia sociale. Difficile governarlo agitando la clava della giustizia sociale. Molto difficile.