Giuseppe Marcenaro, il Venerdì 15/3/2013, 15 marzo 2013
EDGAR ALLAN POE CHE TERRIBILI RECENSIONI! SONO UN VERO CAPOLAVORO
Il 28 aprile 1846, scrivendo a Evert A. Duyckinck direttore, assieme a Cornelius Mathews, della rivista Arcturus e più tardi del Literary Worid Edgar Allan Poe chiedeva, come d’uso, un po’ di dollari per articoli e racconti ancora da scrivere. E aggiungeva: «Voi o Mathews potreste procurarmi gli autografi delle seguenti persone?». Elencava quarantacinque nomi. La curiosa richiesta e il numero degli implicati si spiega quando si venga a sapere che Poe, in quei mesi, stava scrivendo i profili dei letterati di New York, pubblicati da maggio a ottobre 1846 sul Godey’s, un’assai lussuosa rivista femminile. Godey’s Lady’s Book era quel tipo di ebdomadario per il quale Poe nutriva il più vivace disgusto. Per i suoi figurini sulla moda. Per le raffinate incisioni. Per i racconti e le poesie sentimentali che pubblicava e di cui Louis Antoine Godey, l’editore, si inorgogliva. Ogni numero recava un modello con le misure per un abito da cucire in casa, uno spartito per pianoforte con le novità in fatto di valzer, polka o galop... Era il periodico di maggior successo e pagava assai bene i collaboratori. Tra questi molte donne. L’harem di Godey, secondo malevole voci.
Godey’s Lady’s Book usciva a Filadelfia. Per quarant’anni, dal 1837 a 1877, fu diretto da Sarah Josepha Hale, [’autrice di Mary Had a Little Lamb. Una tipa tosta che per tutta la sua lunga vita morì a novantuno anni si dedicò a sostenere l’indipendenza economica femminile. Alcuni numeri del Godey’s Lady’s Book uscirono scritti totalmente da donne. Il volitivo direttore, madame Hale, aveva qual modello di femminilità, moralità e intelletto, la regina Vittoria. Non esitò a volere una corrispondente fissa da Londra, Lydia H. Sigourney, affinchè «relazionasse» clima e avvenimenti della corte inglese. Ma non trascurò quelli che, già allora, erano eminenti letterati del New England. Invitando a scrivere sulla sua rivista personaggi come Emerson, Longtellow, Hawthorne...
Edgar Allan Poe sul Godey’s Lady’s Book aveva pubblicato uno dei suoi primi racconti, L’appuntamento; e altri destinati ad essere celebrati: Una storia delle Ragged mountains, La maschera della morte rossa...
Dopo varie peregrinazioni da una città all’altra degli States, inseguito dall’etema povertà, Poe, con la madre e la moglie Virginia Clemm, si era stabilito in un cottage nel Bronx, a Fordham, allora aperta campagna. «Il cottage nella rievocazione di un amico di Poe aveva un’aria di gusto e gentilezza... cosi pulito, cosi povero, cosi vuoto, eppure una affascinante dimora mai vista...». Ed è in quella «nostra cara casetta» che aveva nella veranda gabbiette con uccelli canori che, vagheggiando per iperbolici, visionari e spaventanti universi, Poe, con il gatto sulla spalla, — scriveva: «L’orrore e la fatalità regnarono in tutti i tempi».
Con alle spalle capolavori come Berenice, Il pozzo e il pendolo. La lettera rubata, Gli assassina della rue Morgue, nel 1845, pubblicando Il corvo, il suo più celebre poema, Poe affermò la propria autorevolezza letteraria. Chi meglio di lui poteva allora determinare i profili dei soi-disant letterati di New York? Per Louis Antoine Godey, ravveduto editore del Lady’s Book, si sarebbe creato un po’ di «curioso rumore» attorno alla rivista. Cosi, dal maggio all’ottobre 1846, in sei puntate, firmata da Poe, uscì la rubrica I letterati di New York City, con una eloquente introduzione che giustificava «Alcune opinioni oneste e a caso, nel rispetto dei loro meriti d’autore, con occasionali note sulle diverse personalità». Poe, che s’era preoccupato di farne un avventizio censimento, chiedendo in giro nomi di letterati a lui sconosciuti, mise insieme un bei panorama di velleitari che, a onor del vero, più che letterati erano emblemi della bella società borghese di New York City. Basta vedere le loro immagini tramandate nel traslucido dei dagherrotipi, una novità tecnica di gran moda a quel tempo. Prima che letterati erano medici, teologi, generali ... anche giornalisti. Gente che attraverso la scrittura aspirava ad accrescere il proprio censo. E Poe fu impietoso. Negli individuali profili, sbrigati i cenni sulle «prove letterarie» di cotanti autori, s’effuse in giudizi sconfinanti nel sarcasmo. «Autentico spirito poetico... nel plagio», «Si spinge all’adulazione estrema...», «Condannato a rimanere una nullità», «Si è cimentato nella critica letteraria con esiti farseschi», «Curatore d’antologie piene di luoghi comuni...», «È bravo ma non finirà mai il poema...», «Ha fatto sensazione perché pubblica con pseudonimi...», «Gode favore letterario perché è un generale... comunque fa bella figura a cavallo». Con un tic finale, comune a tutti. Se i talentuosi fossero sposati oppure no. Il matrimonio o lo stato di scapolo (o ver nubile per le donne letterato), per Poe doveva essere wqqun segnale connesso alla creatività scrittoria. Però, nel mucchio degli ammessi all’attenzione sua, qualcuno salva. Casualmente. In genere i direttori delle riviste sulle quali pubblica i propri racconti. Veniale debolezza dovuta alle perniciose necessità economiche. Ha tuttavia attenzione per alcune femmine letterato. Una, figlia del più eminente clinico di New York. Altra, attenta lettrice e «capace di efficaci recensioni». Non si sa mai. Una terza «ha i difetti di un talento effervescente, meno male che ha occhi blu e lucenti e capelli biondi estremamente rigogliosi». Dei trent’otto censiti da Poe, il fiore letterario di New York City del suo tempo, non si hanno più notizie. Sempre non siano noti, con acribia microscopica, a specialisti in filologie entomologiche. Una bella squadra di letterati, inabissatisi ancor prima di emergere. Tra questi Poe infila anche un italiano. Il povero esule Piero Maroncelli cui riserva una compassionevole attenzione: arranca per New York con una gamba sola.
Qualcuno si risentì. Specie tal Thomas Dumi English. Passato alla storia non per i suoi versi, piuttosto per l’indignata reazione nei confronti di Poe, che di lui diceva: «Il peccato imperdonabile del signor English dovrebbe invece essere l’imitazione: non fosse che quest’ultimo è un termine troppo morbido. Per lui si deve parlare di plagio... Non vi può essere spettacolo più commiserevole di quello di un uomo privo della più ordinaria scolarizzazione, che si affanna con la poesia a tenere celata l’ignoranza».
Edgar Allan Poe fu profeta. Almeno per quanto molto da vicino riguarda il tempo nostro. Scriveva nella sua giustificazione anteposta al superbo excursus: «Gli scrittori più “popolari”, quelli di maggior “successo” (almeno per breve periodo) sono, in novantanove casi su cento, persone di mera destrezza, perseveranza, sfacciataggine: in una parola intriganti, adulatori, ciarlatani. Questa gente riesce con facilità a prendere per noia i giornalisti e far loro pubblicare recensioni scritte o fatte scrivere da parti interessate; o quanto meno a far pubblicare una recensione quale che sia, laddove in circostanze ordinarie non se ne sarebbe pubblicata alcuna».
I literati di New York City, sublime capolavoro di «critica letteraria», viene pubblicato adesso, in Italia, dall’editore Bompiani, a cura e con una prefazione di Giovanni Puglisi, cui è aggiunta una corposa appendice fuori testo: Edgar Allan Poe illustrato, a cura e con un testo di Gabriele Miccichè. Questa seconda parte inventaria le immagini suscitate alla lettura delle opere di Poe negli artisti: da Manet, Dorè, Redon, Kubin... fino ai nostri giorni. E così vediamo raffigurate e palesate in pittura, grafica, disegno, le immagini mentali che ognuno per sé si è fatto, suscitate dall’affascinante e rapinosa lettura dei racconti di Poe. The Literati of New York City, ora in italiano, come viene sottolineato in prefazione, «rappresenta un primum per il nostro sistema editoriale». Con qualche smottamento nella traduzione e vaghi esoterici slalom di troppo nei testi di corredo. Comunque, Poe è Poe. Tanto valeva.