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 2013  marzo 15 Venerdì calendario

GLI OTTANT’ANNI DI AZEGLIO VICINI, IL GENTILUOMO DEL PALLONE


Sono anni che il morbo infuria su quello che era il campionato più affascinante del mondo, Così, oggi, parli di calcio, e vengono in mente arbitri comprati, Moggi & soci in azione, partite vendute, etica ammainata, indegne scommesse di giocatori, aule di tribunali, colpevoli dissennatezze di presidenti, tifoserie violente, razzismo. Il senso del gioco si perde. A un passo dal disamore e dal disgusto, gli appassionati possono cercare conforto in pochi nomi, poche facce e poche storie. Una si trova a Brescia, Ottavo piano di un grattacielo. Salotto lindo e semplice come la persona che lo abita.
Buongiorno Azeglio Vicini, e buon compleanno. Il 20 marzo saranno ottant’anni. Diciassette vissuti come mediano dai piedi buoni, mai espulso, soltanto quattro cartellini gialli in carriera; allenatore per ventotto, ventitré dei quali in nazionale, vice di Valcareggi, Bernardini e Bearzot, da Messico ’70 a Messico ’86, poi alla guida della squadra nelle notti magiche di Italia ’90: sei vittorie e un pareggio, solo terzi alla fine, eliminati da un’uscita a vuoto di Zenga e dai rigori sbagliati di Donadoni e Serena nella semifinale con l’Argentina, dopo aver mostrato il miglior calcio italiano degli ultimi trent’anni, Infine, presidente degli allenatori e presidente del settore tecnico federale.
«Adesso mi riposo» dice. «Sono un po’ stagionato, sa. Qui dicono che tutto è cambiato in meglio. In molti casi è vero. Anche nel calcio: è migliorata la qualità media dei giocatori e delle squadre, sono migliorati i campi. Ma le belle giocate sono diminuite e i grandi campioni di una volta rimangono di gran lunga i migliori. Lo stesso succede fuori dal calcio, mi sembra. Alcuni elementi fondamentali per la nostra vita, come l’acqua e l’aria, non credo siano meglio di una volta, Lei che dice?».
Figlio di mezzadri romagnoli, benché la madre lo volesse maestro, l’Azeglio fantasticava sull’Africa, leggeva Salgari e sognava di fare l’esploratore. Ha avuto due grandi amori nello sport. Fausto Coppi e il Grande Torino. È appassionato di Garibaldi e di lirica. Ha reso l’inglese obbligatorio nei corsi per allenatori. Ha stile, ironia, buon senso e onestà intellettuale, Per questo, dopo gli ultimi mesi e anni, è a lui che si può chiedere: perché non cambia mai niente nel calcio?
«Noto che l’opinione pubblica rimane sconcertata, ma il calcio è così radicato che resiste persino agli scandali. Un tempo, però, erano azioni singole, erano delle mele marce a sbagliare, adesso pare una questione di sistema. La gente si dice disgustata, ma poi vede le partite. A forza di darci, però, il giocattolo si rovina».
Le responsabilità sono in alto. «È strano si siano consentite le scommesse sulle partite. Non è giusto. Se si pensa sempre a fare cassa e si punta solo sui soldi, e lo fanno tutti, presidenti, Federazione, Coni, e non solo in Italia, la cosa diventa inevitabile, il gioco si distrugge. Ma è tutta la società a essere cambiata». Prende a esempio il razzismo e si suoi ultimi fenomeni negli stadi: «Sono vergognosi i cori e gli insulti. E non sono nemmeno quattro gatti a urlarli. Ma chi si ricorda che gli italiani all’estero, nemmeno troppo tempo fa, eravamo trattati così? Questo è un problema di tutta la nostra società. Non si può chiedere al calcio di essere diverso dalla società che lo esprime».
Così come è oggi, il calcio va bene per il business, non per la passione. «Mi pare una situazione irreversibile. Chi ha la forza di rivedere certe regole o i calendari, per renderli più praticabili? I grandi club, la Federazione, i tifosi e i veri appassionati hanno obiettivi diversi. Gli interessi in campo sono devastanti. Negli ultimi anni la televisione è diventata padrona del calcio. Sembra non si possa più fame a meno: si deve soggiacere alle sue regole e ai suoi capricci. Ma anche la televisione, senza calcio, perderebbe parecchio». Per dire la sua idea di sport, cita Nereo Rocco, il paron del buon vecchio calcio che fu: «Se fuori casa vuoi uscire fra gli applausi, devi perdere». Traduzione: il risultato è fondamentale, dire che prima viene il gioco è una scappatoia, una balordaggine. Il calcio si gioca per vincere oggi come ieri. Ma bisogna vincere onestamente. Altrimenti è una sconfitta. «La nazionale è la testimonianza che sono importanti i valori. Bisogna fare in modo che non si disperda il patrimonio fondamentale di tifo e di passione». Senza tifo e passione, il calcio svanisce. Fatica a resistere come gioco. Rimane solo un affare. Un brutto affare.