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 2013  marzo 28 Giovedì calendario

LA LUNGA "GUERRA FREDDA" FRA IL DIPLOMATICO E IL PROFESSORE

Forse, parafrasando Giambattista Vico, si potrebbe dire che la natura del pessimo rapporto tra i due sta nel cominciamento. Quando Giorgio Napolitano e Mario Monti devono comporre il governo tecnico, alla casella «Farnesina» c’è il nome di Giuliano Amato. Gianni Letta ha fatto di propria volontà un passo indietro, e il nome di Amato non è stato fatto dal Pd. Ma squilla un telefono, è Angelino Alfano che dice di sentire il Pdl «sottorappresentato». Fa il nome di Giulio Terzi di Sant’Agata. È l’ambasciatore italiano a Washington, come dire il numero uno delle feluche nel mondo. E Alfano viene accontentato, del resto il dossier Europa è caldissimo, Monti intende seguirlo personalmente: meglio un ambasciatore elevato al rango di ministro, che un uomo politico del calibro di Amato.

Ma quel rapporto Monti-Terzi che parte in discesa si svilupperà tutto in salita. Fin nei dettagli: il ministro vive quasi come un vulnus alla propria visibilità che Monti proibisca a lui - come a tutto il governo - di imbarcare gratis i giornalisti al seguito (e si rifarà con gli imprenditori). Il ministro, si dice alla Farnesina, vive anche male che i suoi vice - Staffan De Mistura e Marta Dassù che ha un radicato rapporto con Giorgio Napolitano - diano interviste, fosse anche solo radiofoniche. Il primo guaio è il traccheggiamento burocratico tutto in difesa di Mario Vattani, il console nazi-rock in Giappone, figlio di quell’Umberto del quale Terzi è stato collaboratore, giovanissimo, nel suo primo importante incarico. Una vicenda gestita malissimo, e subìta da Monti che quando va in visita ufficiale a Tokyo cancella la tradizionale puntata a Osaka proprio perché lì dovrebbe essere ricevuto da Vattani jr, che ha inneggiato al fascismo cantando a Casa Pound.

Quando scoppia il caso marò l’incidente tra i due diventa clamoroso e inevitabile. «Terzi non si è consultato né con palazzo Chigi né col Quirinale» raccontò all’epoca un’alta fonte diplomatica, rimproverando al ministro di non aver portato subito il caso in Europa, lasciando l’Italia a gestireda sola - isolata - la spinosa faccenda. Il caso marò si produce, è bene ricordarlo, perché durante il governo Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa s’impunta contro il collega della Farnesina, Franco Frattini, che sconsigliava vivamente di imbarcare militari nelle missioni anti-pirateria, con l’ottimo argomento (come poi si è purtroppo visto) che se fosse accaduto qualcosa sarebbe stato coinvolto tutto lo Stato italiano.

Monti e poi anche Napolitano avocano il caso, lo supervisionano. Ma la supervisione non basta. Mentre i rapporti con Monti si deteriorano grazie anche allo scontro inedito e inaudito che dilaga sui giornali tra il ministro e il suo segretario generale, Gianni Massolo (che verrà sostituito, ma con un nome sgradito a Terzi) la «carenza informativa» da parte del ministro verso il titolare di indirizzo dell’azione di governo, e il garante e rappresentante dell’unità nazionale anche in politica estera - ovvero Monti e Napolitano cresce clamorosamente sul caso della posizione italiana nel voto all’Onu per il riconoscimento della Palestina come entità statuale. Il ministro tenta lo sgambetto, cercando di allineare l’Italia sul «no» e isolandola in Europa - dribblando Palazzo Chigi, Quirinale e Parlamento. Monti acciuffa la questione all’ultimo minuto, e riallinea l’Italia con l’Europa. Terzi viene attaccato duramente dalla sua stessa parte politica, il Pdl e An, ai quali aveva dato differenti garanzie: da ambasciatore, aveva costruito il viaggio dello sdoganamento di Fini in Israele. Il disastro sul caso marò, e il vergognoso voltafaccia in Parlamento rispetto al governo di cui è stato ministro degli Esteri, indebolendolo fortemente, è storia di questi ultimi giorni. E basterà ricordare che la decisione di tenere i marò in Italia è stata presa dal governo sulla base di «carenze informative», per non dir di peggio, da parte dello stesso ministro.