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 2013  marzo 27 Mercoledì calendario

COSÌ MUORE L’EURO

La crisi cipriota sarà pure una tempesta in un bicchier d’acqua, ma offre insegnamenti importanti per vascelli di ben altre dimensioni, tra cui la zona euro nel suo insieme. Alcuni di questi insegnamenti sono incoraggianti, altri inquietanti. Eurolandia resta impantanata in un brutto pasticcio, anche se l’ultimo piano per Cipro è più vicino alle caratteristiche che la soluzione ordinata di una crisi bancaria dovrebbe avere.
La crisi cipriota sarà pure una tempesta in un bicchier d’acqua, ma offre insegnamenti importanti per vascelli di ben altre dimensioni, tra cui la zona euro nel suo insieme. Alcuni di questi insegnamenti sono incoraggianti, altri inquietanti. Eurolandia resta impantanata in un brutto pasticcio, anche se l’ultimo piano per Cipro è più vicino alle caratteristiche che la soluzione ordinata di una crisi bancaria dovrebbe avere. Che indicazioni trarne? Io ne suggerisco almeno quattro. La prima è che l’Eurozona alla fine riesce effettivamente a trovare la forza per fare la cosa giusta, anche se solo dopo aver esaurito tutte le alternative. Quando dico che questo piano è "la cosa giusta" non voglio dire che sia impossibile immaginare alternative migliori: ma tutte queste alternative presuppongono un livello di solidarietà fra gli Stati membri e i popoli europei che al momento (e nel futuro preventivabile) non è dato vedere. In secondo luogo, un euro non ha lo stesso valore ovunque. Le banconote sono le stesse, ma di fatto quasi tutti gli euro sono passività delle banche. Quello che è successo a Cipro mostra chiaramente che il valore di un euro di passività bancarie dipende dalla solvibilità della banca stessa e dalla solvibilità del Governo che sta dietro a quella banca. Se tanto la banca quanto lo Stato sono insolventi, i prestatori hanno buone probabilità non solo di perdere una grossa fetta dei loro soldi, ma anche di scoprire che il resto è congelato sotto la cappa dei controlli di capitale, introdotti per impedire il collasso del sistema bancario di un Paese. Come fa notare Guntram Wolff del Bruegel, un’unione monetaria con controlli valutari interni è una contraddizione in termini. La terza indicazione che viene da Cipro è che la relazione fra banche, Stati sovrani e zona euro è più complicata di quanto apparisse un tempo. La conclusione ideale che si dovrebbe trarre dal pasticcio cipriota è che tutte le banche dell’Eurozona dovrebbero avere più capitale. Anzi, considerando la limitata capacità finanziaria di uno Stato che fa parte di un’unione monetaria, le loro banche dovrebbero essere meglio capitalizzate di quelle di altri Paesi. Ma la conclusione che si trarrà probabilmente è diversa, ed è che le banche più solide saranno quelle che si trovano nei Paesi con conti pubblici più solidi. L’alternativa a un esito di questo tipo sarebbe una vera unione bancaria. Ma per giungere a questo ci vorrebbe o un’unione di bilancio o la disponibilità ad applicare lo stesso severo regime di risoluzione a tutte le banche: e nessuna delle due cose è probabile. Un ultimo insegnamento di questa crisi è che quello che ho definito il "cattivo matrimonio" che tiene insieme i membri dell’euro, da cattivo che era è diventato pessimo. Cipro conta poco per la zona euro nel suo complesso. Ma questa crisi è un’altra occasione per far affiorare la rabbia dei cittadini. I vecchi timori che l’euro avrebbe finito per minare l’unità dell’Europa, invece di rafforzarla, sembrano più plausibili. E così l’Europa avanza zoppicando, crisi dopo crisi. Può andare avanti all’infinito? Non lo so. Sono quasi certo che la strategia dell’austerità competitiva non è in grado di restituire la salute economica alla zona euro: è garanzia di economia e debito fragili, crisi bancarie e occupazionali nelle economie più deboli a tempo indefinito. Al contempo va detto che c’è una volontà fortissima di non infrangere l’euro. Siamo quindi di fronte a uno scontro tra una forza irresistibile e un oggetto irremovibile. La crisi cipriota è un episodio piccolo, e per certi versi poco rappresentativo, di una storia lunga e dolorosa, il cui ultimo capitolo è ancora lontano dall’essere scritto.