Nello Ajello, la Repubblica 27/3/2013, 27 marzo 2013
LILLI E FLAIANO VAGABONDO D´AMORE
Si chiamava Lilli. Era una ragazza norvegese alla quale Ennio Flaiano spedì fra il ´38 e il ´39 nove lettere d´amore, ciascuna delle quali fa oggi l´effetto di un piccolo capolavoro d´intimità e leggerezza. Apparso per la prima volta nel lontano 1986, oggi Rosellina Archinto ripubblica l´esile carteggio (Lettere a Lilli e altri segni), corredandolo di una serie di foto e disegni dell´autore e di una prefazione affettuosa di Giuliano Briganti. Non si tratta, nella sua snellezza, di un Flaiano minore. In simili gesti epistolari, affidati alle "regie poste", si ha la sensazione che del futuro romanziere e diarista abruzzese ci sia già molto.
All´epoca della corrispondenza, egli, fra i ventotto e i ventinove anni, vive già da tempo a Roma. Aveva cominciato a pubblicare articoli sui giornali meno conformisti del regime fascista, e frequentava pochi, unanimi amici intorno a tavolini di caffè e in lunghe passeggiate notturne. Luogo deputato di questi incontri era quell´esigua porzione della Capitale che va da via dei Greci, dove lo scrittore abita, fino al Pincio, a piazza del Popolo e a piazza di Spagna. Il cuore di una Roma tranquilla, sonnolenta e quasi paesana, nonostante i tempi che si preannunziano atroci. S´è conclusa l´impresa d´Africa, cui Flaiano ha partecipato. È in corso il conflitto di Spagna e in accelerata preparazione quello mondiale. «È il destino nostro, questo», si confida lo scrittore, «di riempire d´ozio l´intervallo fra una guerra e l´altra». E infatti, in questa speciale Roma flaianea «si parla sempre d´altro» e si gode con qualche struggimento «una vigilia» di drammi incombenti. E soprattutto ci si dedica ad amare e confutare quella città «immensamente bella», come d´altronde lo scrittore continuerà a fare per tutta la vita.
A un chilometro di distanza, o poco più, dalla finestra di Piazza Venezia, Flaiano coltiva quel suo giro di Arcadi, per i quali il fascismo era una realtà implicita. La gente di cui Flaiano parla è dedita più alla contemplazione dei paesaggi urbani che allo spettacolo "nazionale". Dei suoi amici, l´autore nomina alcuni: il pittore Orfeo Tamburi, lo scultore Francesco Barbieri, e un patrizio, Vannutelli, citato sempre come «il conte».
E Lilli? La giovane nordica, durante una sua permanenza romana, era stata ammessa nel giro e nei suoi riti. Doveva sentire, dopo la sua partenza dall´Italia, una punta di nostalgia. Ampiamente ricambiata. Il succo delle lettere è nel racconto di «quel che si fa» a Roma, secondo i ritmi di una vita «che passa senza farci male ma uccidendoci». All´amichetta lontana il mittente racconta qualcosa - o molto - di sé: «Io leggo, scrivo un po´ senza alcuna illusione, la sera passo al Caffè Greco. Lì ci guardiamo, parliamo, e tutto finisce come il giorno precedente». «Sono disperatamente allegro. Ho lavorato un mese intero intorno a certe stupidaggini sull´arte e adesso mi trovo con la prospettiva di non potere cavarci un soldo». Una sonnolenza, interrotta da molte scontentezze e da qualche flirt, di cui si dà conto nei messaggi destinati alla fanciulla di Oslo. Flaiano riferisce che Alfredo Mezio (un intelligentissimo siciliano del tipo freddo e ironico, che vent´anni più tardi sarà gran parte del Mondo di Pannunzio) «è molto innamorato, noi lo ascoltiamo e certe volte l´alba ci sorprende sulla scalinata». Amori altrui, ma anche fugaci infatuazioni personali, che l´abruzzese racconta all´amica di Norvegia, incurante di una gelosia intiepidita dalla lontananza: «Ho avuto anch´io una rapida fiamma per una ragazza dal corpo di Venere (Venere di Cirene, senza testa), e l´ho estinta chiudendomi in casa con lei per quindici giorni. Ormai "je le sais par coeur" ne siamo guariti, tutti si sono divertiti alla nostra avventura e la vita riprende normalmente».
Fra gli attori di questo teatrino, la remota Lilli continua idealmente a muoversi nel ricordo. Esso «è vivo e fresco», annota Flaiano. Le si rivolge con problematici nomignoli desunti dal suo nome: da Lilli ricava "Lido", «Sabbia», «Mare». E torna a ripetere le sue lodi: «la tua grazia, la tua bontà, «, «la tua amicizia», «il senso dell´umano». E la rimpiange: «Ho quasi dimenticato il sapore di una donna intelligente».
In una parola, Lilli - «amabile ragazza senza trucchi», - aveva lasciato un vuoto. Queste lettere d´amore - o «quasi d´amore», come le definiva Briganti nella sua introduzione - mostrano di Flaiano un volto non abituale per i suoi lettori: giovanile, sommessamente lirico, quasi crepuscolare.
Crepuscolare, ecco la parola. Quello provato per Lilli, ragazza del Mar Baltico, era, in fondo, il bene «di una volta». Lei, e la Roma che ha conosciuto, sono le protagoniste di questa cronaca-verità sui tardi anni Trenta e su uno speciale modo di viverli. Un documento dal disegno assai minuto, come le piccole tavole a penna, opera del mittente, che illustrano le lettere o le loro buste accanto al francobollo: libri posati su un tavolo di lavoro tra fogli per appunti, qualche pianta fiorita, piazze, colonne, cattedrali stilizzate. A un certo punto, Flaiano ironizza sulle sue attitudini di illustratore postale. «Forse farò un quadro e te lo manderò, ma prima bisogna che impari a dipingere». Tanti modi di mostrarci il lato in ombra di uno scrittore del quale credevamo di sapere tutto.