Massimo Cecchini, La Gazzetta dello Sport 28/3/2013, 28 marzo 2013
INTERVISTA A FRANCESCO TOTTI
La leggenda aurea racconta come il giorno precedente avesse giocato il primo tempo con la Primavera contro l’Ascoli segnando due gol. Poi doccia rapida e partenza per Brescia, da aggregato alla prima squadra. D’altronde, a 16 anni, difficile pretendere di più. Invece il 28 marzo 1993, grazie a un esordio imprevisto, la storia di Francesco Totti cambiò all’improvviso. E così quella del calcio italiano.
Totti, sono passati in fretta questi 20 anni?
«Sono volati, perché ho fatto tutto con passione. Quel sabato andò proprio così e la domenica non pensavo di entrare. Tant’è vero che quando Boskov si voltò per chiamarmi, pensavo parlasse a Muzzi. Fu lui a dirmi: "Guarda che vuole te"».
Se avesse giocato sempre centravanti, quanti gol avrebbe già segnato?
«Almeno 300: avrei già superato Piola. Adesso spero di non avere problemi fisici e continuare così. Anche se fra un anno mi scade il contratto».
Lei vuole giocare fino a 40 anni. Il rinnovo, intanto annuale o biennale, sarà una formalità.
«Lo spero, la prossima settimana arriverà il presidente Pallotta a Roma e ne parleremo direttamente. Comunque mi fa piacere che la società mi stia mostrando fiducia».
Rivera, Maldini, Riva, Mazzola, Antognoni, Del Piero. Spesso da noi a fine carriera le bandiere vengono messe da parte.
«Rimangono solo le aste... Scherzi a parte, non è giusto che gente che ha dato tanto venga accantonata. Spero di essere l’eccezione alla regola».
Quale italiano del calcio che ha visto, ritiene più forte di lei in una graduatoria immaginaria?
«Nessuno, perché i numeri parlano chiaro».
Quale giocatore le ha mai fatto pensare: «Non riuscirò mai a fare quello che fa lui»? E quali sono invece i più forti che ha avuto da avversario e da compagno di squadra?
«Nel primo caso, solo uno: Messi. Il più forte avversario dico Ronaldo. Come compagni scelgo Batistuta e, come feeling in campo, Cassano».
Buffon ha scelto Conte come migliore allenatore che ha avuto, lei su chi punta?
«Lippi. Il carisma che trasmetteva lui nessuno lo aveva. Anche Capello però è stato un grande, così come Spalletti. Ancora ci sentiamo. Peccato che ancora mi dica che sono stato io a mandarlo via dalla Roma, invece era lui che voleva lo Zenit...».
Con quale allenatore le piacerebbe lavorare?
«Mourinho».
Intanto a Trigoria avete allevato ottimi tecnici: da Montella e Stramaccioni. Le piacerebbe riaverli qui, magari quando farà il dirigente?
«Può darsi che faccia in tempo ad averli anche come giocatore. Nel calcio tutto è possibile. Con loro ho un rapporto ottimo. Vincenzo, poi, lo frequento perché le nostre mogli sono amiche».
Aurelio Andreazzoli però sta facendo bene: obiettivo Champions possibile?
«Non dipende da noi. Ci proviamo, ma bisogna essere realisti: il traguardo è l’Europa League. Una squadra come la Roma, comunque, non può stare lontano dall’Europa. Con Andreazzoli le cose stanno andando bene. È uno che conosce Trigoria dalla A alla Z. E se arrivano vittorie su vittorie, ha ragione su tutti i fronti. Il prossimo anno, però, dobbiamo lottare per i primi due-tre posti».
Alcuni suoi compagni hanno accolto l’addio di Zeman come una liberazione: può essere che non riuscisse a farsi capire?
«Pregi e difetti ce l’hanno tutti, e alla fine quando le cose non vanno, si sa che paga l’allenatore. Ma se ognuno di noi avesse dato il 100% le cose sarebbero andate diversamente».
Come se lei nel 1997 fosse stato ceduto alla Sampdoria, come voleva Carlos Bianchi.
«Sì, lui non sopportava i romani. Andando a Genova non sarei più tornato e adesso sarei lontano. Anche anni dopo, prima del penultimo rinnovo, avevo deciso di andare al Real Madrid. Poi il contratto e questioni di vita privata mi hanno spinto a restare qui. E non mi sono mai pentito».
Quando avrebbe meritato il Pallone d’oro?
«Nel 2000: se avessimo vinto l’Europeo avrei dovuto ottenerlo, anche perché avevo iniziato la stagione dello scudetto».
Pensa ancora che in quella manifestazione lei non giocò da titolare la semifinale contro l’Olanda per pressione di qualche sponsor?
«Così dicono tutti. Fino a quel momento avevo disputato un grande Europeo e avevo fatto gol importanti: non c’era motivo per cui stessi fuori».
Abete ha fatto l’Italia ideale della sua gestione. Ci dica se resta fuori qualche intoccabile: Buffon; Bergomi, Scirea, Cannavaro, Maldini; Conti, Pirlo, Tardelli; Totti; Rossi, Del Piero.
«Io sto dentro e mi piace così. Con questa squadra avremmo vinto due Mondiali».
A proposito, prima di smettere preferirebbe vincere un altro scudetto o un altro Mondiale?
«Tutti e due no? Intanto dico scudetto, poi ho un mese prima del Mondiale, così ci posso pensare».
Scherzi a parte, i suoi dubbi azzurri sono legati a come risponderà dopo il suo fisico, all’accoglienza del gruppo o al fatto che, se le cose andassero male, lei farebbe da capro espiatorio?
«L’ultima cosa che ha detto. So che un Mondiale è il massimo, soprattutto in Brasile dove il calcio è tutto. Ma se le cose invece andassero male, saprebbero con chi prendersela. Direbbero: "Hanno portato un vecchio, uno che ha rovinato il gruppo". Vorrei sentire tutte queste persone che sono salite sul carro, quando sbaglierò qualche gara il prossimo anno. Ricominceranno a dire: "Basta, non si sopporta più". Ora sono tutti bravi a parlare»
Che farà l’Italia al Mondiale senza di lei?
«Quello che ha fatto all’Europeo. Anzi, speriamo che vinca. Con me invece perde... Meglio, sarebbe un punto interrogativo. Ma il gruppo è valido e Prandelli è bravissimo, li mette bene in campo».
Balotelli è un già un fenomeno?
«Diciamo che può diventare un fenomeno, ma dipende dalla testa che avrà, dai comportamenti. Ciò che fai esternamente lo trasmetti in campo».
Eppure certi accanimenti dei media su Mario ci ricordano quelli su di lei quando era giovane.
«Certo, a me dicevano che ero romano, coatto, che non volevo allenarmi, ma lui se le cerca, io no. Sono stato sempre un tipo tranquillo».
Nel 2001 vinse lo scudetto, avrebbe mai immaginato che 12 anni dopo sarebbe rimasto l’unico finora?
«No, avevamo uno squadrone, un bel gruppo e un grande allenatore. Ne avremmo potuti vincere almeno 2-3. Assomigliavamo all’Inter che ne ha vinti 4 di fila. Un paio li abbiamo buttati, ma penso che anche Calciopoli abbia avuto il suo peso».
Sul piano dei risultati, si aspettava di più dalla Roma americana? Forse avere un presidente lontano è un problema.
«Non credo. Se i risultati non sono arrivati non dipende dalla società, ma dai giocatori. Loro hanno fatto una grande squadra».
Ha trovato un Baldini diverso rispetto al 2005?
«Sì, è pigro».
Che cosa ha pensato della vicenda sceicco?
«Solo a Roma poteva succedere un fatto del genere»
Si aspettava De Rossi così criticato dai tifosi?
«Sì, è successo anche a me. I tifosi dai romani pretendono sempre di più rispetto agli altri. Spero che resti, però nel calcio può succedere di tutto».
Esclusi Messi e Cristiano Ronaldo, quale giocatore vorrebbe alla Roma?
«Xavi»
Arriva il derby: quale laziale ha più patito e più goduto a battere?
«Nesta, perché era forte e un amico. Ma sportivamente parlando, tutti i laziali mi sono antipatici».
Le devo chiedere il pronostico.
«Non posso farlo, perché non è più come una volta, purtroppo, anche perché appena parli, se la prendono subito come se fosse chissà che. Forse qualcuno non capisce le battute».
Voltiamo pagina: è più forte il ricordo dell’emozione del primo gol in Serie A o del primo bacio?
«Al primo bacio sei giovane. Lo dai perché vedi gli altri che baciano, non è che trasmetti passione o amore. Non sei manco capace a darlo. Il gol invece lo hai sempre sognato, io preferisco il gol. E poi il bacio avevo 12, no, 10 anni. A quell’età non capisci niente».
A dieci anni il primo bacio?
«Be’, a 12 ho fatto l’amore per la prima volta. A Tropea, con una ragazza romana che aveva 17 anni».
Restiamo sul sesso, in passato lei raccontò che le era capitato di «andare a mignotte». Visto che questo pare succeda anche alle star hollywoodiane, ci si chiede perché. Potreste avere quasi chiunque. È un modo per circoscrivere l’evento e non rischiare conseguenze?
«Rischi se ne corrono sempre. Fosse per me, riaprirei anche le case chiuse, almeno ci sarebbe la certezza dell’igiene».
Allora chi ha ragione: Prandelli che dice che siete pronti all’outing dei giocatori gay oppure Di Natale, ad esempio, che risponde di no?
«Guardi, io gay qui non ne ho mai conosciuti, ma credo che non sia pronto né il calcio e neppure l’Italia in generale. È triste forse, ma è così».
Meglio passare alla politica: ha visto Grillo?
«Sì, ma io di queste cose non mi interesso. Non sono neppure andato a votare».
Almeno ci dira se Malagò, nuovo presidente del Coni, le sembra il Grillo dello sport.
«Quello sì. È nuovo, è bravo, farà benissimo».
Occhio che lo sport significa anche calcio scommesse. Doni poi ha raccontato che, a fine stagione, sono tante le gare con risultati noti.
«Non confondiamo le due cose. Un conto è vendere le partite, un’altra è darsi una mano. Sono cose che non devono succedere, occorre cambiare, ma in Italia non è facile».
Pentito di aver fatto da testimonial del poker on line, visto che tanti si rovinano giocando?
«C’è chi lo fa con la droga, chi con la birra. Quella è solo gente debole».
Lei ha fama di appassionato di carte e di giochi in generale: sposa la linea di Buffon che, restando nel lecito, ognuno fa quello che vuole?
«Certo, ci mancherebbe. Coi soldi miei faccio quello che voglio».
La salutiamo con un pensiero sui figli. Sarebbe contento se Chanel sposasse un calciatore?
«Perché no? L’importante è che nessuno le manchi mai di rispetto».
Cristian invece gioca già a calcio. Possibile pensare a una dinastia in stile Mazzola o Maldini?
«Se si dimostrerà bravo sarò contento, ma spero di no. Avere il cognome Totti sarà un’ossessione. Mi auguro faccia il tennista, così quando smetterò di giocare userò il tempo facendogli da manager».