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 2013  marzo 27 Mercoledì calendario

AL VERTICE COME AL GRANDE FRATELLO. SE LA TRASPARENZA UCCIDE LA TRATTATIVA

Il nuovo feticcio della mitologia politica odierna: lo streaming. Il simbolo della trasparenza assoluta. Lo strumento magico che distrugge ogni opacità. Ora questo prodigio della tecnica che trascina discorsi estatici sulla nuova democrazia web, entra nella rete polverosa delle consultazioni per la formazione del nuovo governo. Lo porteranno quelli del Movimento 5 Stelle nel colloquio con Bersani. Ci sarà la recita. Sarà pura fiction. Ma quanto ci si sentirà confortati dalle meraviglie della democrazia integrale, del mondo interamente trasparente, senza segreti, senza ombre, tutto solare, tutto illuminato, tutto in diretta?
Un’illusione. Ma illudersi un pò può sempre massaggiare l’anima. L’unica volta che davvero avremmo tanto voluto seguire in streaming una riunione grillina è stata quando i neo-senatori dovevano decidere se votare Pietro Grasso alla presidenza oppure no. Lì però, niente trasparenza: solo oscurità, urlacci percepiti nei corridoi, divisioni nascoste alla grande platea democratica. Ma che senso ha lo streaming sulle consultazioni di governo? È ovvio che lì non si diranno le cose vere. Si eserciterà l’arte dell’autocontrollo, oppure si diranno cose molto pesanti, spettacolarmente molto pesanti, perché tutto il mondo sappia che si sono dette le cose molto pesanti. Perché se la trasparenza, la pubblicità totale di colloqui che richiedono un ineliminabile margine di ragionevole riservatezza provocherà un nuovo livello ancora più segreto. E che si fa, lo streaming su ogni conversazione privata. Dovremmo avere lo streaming di ogni telefonata tra Bersani e Renzi? Non può esserci nessun margine di riserbo per trattative normali, ma che non possono essere rappresentate in diretta tv o web pena la loro totale nullità o irrilevanza.
Un bene? Un male? Ma nella storia i momenti più delicati, che hanno prodotto anche i migliori risultati, non sono stati trafitti dalle luci abbaglianti dello streaming. Quando Clinton chiamò Arafat e Rabin per far parlare tra di loro due nemici irriducibili, non c’era uno streaming che avrebbe reso le trattative preparatorie a quello storico incontro semplicemente impossibili. Ci sono riunioni che non devono essere necessariamente pubbliche. Se i nostri Padri costituenti avessero discusso in streaming sulla Costituzione che stavano preparando, probabilmente non avrebbero discusso in totale libertà. La trasparenza è un valore quando non ci devono essere ombre sui bilanci pubblici, quando i rappresentanti discutono di problemi che sono strettamente legati alla vita dei cittadini. È bene che in Parlamento tutto sia limpido, e nelle assemblee locali. Ma la vita delle istituzioni, come quelle di tutti noi, non è una sequenza del Truman Show, non è un provino del Grande Fratello per fare qualunque cosa sotto l’occhio indagatore del pubblico pagante. La trasparenza non è un invito al voyeurismo. E la riservatezza non è necessariamente un disvalore. Non perché, come recita la vulgata neo-roussoiana della democrazia diretta e senza nemmeno l’ombra di una mediazione, ci sia necessariamente qualcosa di losco o di poco raccomandabile «da nascondere», ma perché la trasparenza totale e senza residui contiene paradossalmente un’idea autoritaria della vita e della politica. Il massimo della democrazia diretta, come insegna la degenerazione giacobina della Rivoluzione francese, può trasformarsi nel massimo della coercizione. L’idea che ogni frammento dell’esistenza sia sottoposta al costante scrutinio dell’opinione pubblica è anche alla base del Panopticon descritto da Jeremy Bentham, in cui da un’unica autorità installata al centro si può controllare ogni singolo fiato emesso dai cittadini. Winston Smith, il protagonista di «1984» di Orwell si nascondeva persino dentro casa non perché avesse qualcosa di osceno da «nascondere», ma perché si sentiva soffocare da un’autorità che controllava ovunque ogni suo singolo movimento. Se avessero già inventato lo streaming a quel tempo, l’immaginazione anti-totalitaria di Orwell ne avrebbe tratto spunto come strumento di controllo e di oppressione.
Sono solo «consultazioni», certo. Ma è altrettanto certo che Bersani e i grillini in diretta streaming non si diranno la verità, ma reciteranno una fiction in cui si racconta di due soggetti che fanno finta di dire la verità. Per poi parlarsi di nascosto, sperando che il Truman Show non arrivi anche lì. Senza il mito della democrazia diretta potranno anche essere sinceri. E dialogare sul serio. Ma i cantori della trasparenza assoluta ogni dialogo lo chiamano «inciucio».
Pierluigi Battista