Andrea Garibaldi, Corriere della Sera 27/03/2013, 27 marzo 2013
LA CAUTELA DELL’AMMIRAGLIO DI PAOLA E IL DISAGIO NEGLI AMBIENTI MILITARI —
Cinquanta uomini nelle loro divise, nere, blu, marroni, azzurre, grigie. Carabinieri, Marina, Esercito, Aeronautica, Finanza. Banchi riservati al pubblico, aula di Montecitorio. Cinquanta rappresentanti dei Cocer, gli organismi sindacali delle Forze Armate: non è facile vederli tutti assieme, soprattutto non capita che assistano a una seduta parlamentare.
Rappresentano trecentomila soldati e graduati d’Italia. Che con qualche sfumatura si riconoscono in quel motto sul sito della Marina militare: «Non lasceremo soli i nostri fucilieri!», «No Man left behind», nessun uomo sarà lasciato indietro. Accanto, il fiocchetto giallo, di chi non dimentica i propri cari al fronte, il fiocchetto giallo che stava nelle case americane per gli ostaggi nell’ambasciata a Teheran (1981).
Sono militari, disciplina e obbedienza: «Non vogliamo entrare nella polemica politica — dice Saverio Cotticelli, generale di Corpo d’Armata dei carabinieri, presidente del Cocer interforze —. Ora dobbiamo solo riportare a casa Massimiliano e Salvatore». Aggiunge Cotticelli che nelle caserme e nelle basi «non c’è tintinnio di sciabole». Però disagio sì, e preoccupazione. Agitazione? «No, ma perché ci siamo noi a tranquillizzare, a ripetere: non abbiate paura, seguiamo ogni cosa, passo passo. Certo questa storia, i marò che restano, i marò che ripartono, non è una bella pagina».
Sono militari, mordono il freno. Domenica, Cotticelli ha detto: «Terzi non è il nostro ministro». Adesso un po’ di più? «Terzi oggi ha fatto un gesto importante. Ha detto cose che non sapevamo». E l’amiraglio Di Paola? «Un vecchio militare, non si dimette mai. Ha sempre difeso i suoi uomini, non abbiamo dubbi». Qualche dubbio ce l’ha Antonello Ciavarelli, maresciallo della Marina e segretario del Cocer interforze, che dichiara: «A titolo personale, essendo un militare, mi ha fatto piacere sapere che nel consiglio dei ministri almeno uno era contrario al rientro in India dei due marò». E quell’«uno» è Terzi, quindi non Di Paola, ministro della Difesa e marinaio, come lui. In tutti i giorni scorsi, molti militari erano stati colpiti dal «silenzio» dell’ammiraglio Di Paola, che tuttavia, tacendo, è stato prima militare e poi politico.
Disagio, delusione, proteste sottotraccia. Per evitare che tutto questo venga allo scoperto, l’altro ieri il Capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi è andato a Brindisi, alla brigata San Marco di «Capo Latorre» e «Capo Girone», come li ha chiamati. «La Marina — spiega Cotticelli — è la forza più esposta. Si sono sentiti soli in certi passaggi... Il Capo di stato maggiore è andato a dire: ci sono io con voi. E il Cocer è con lui. Per una volta "padrone" e sindacato insieme».
Si è parlato di Caporetto, si è parlato dell’8 settembre, in questi giorni, come dire abissi di umiliazione per le Forze Armate italiane. Arrivano notizie di calma però dalle «missioni di pace», Afghanistan, Libano, Libia, Kosovo. Laggiù, per qualsiasi ipotesi di reato, è competente la Procura militare di Roma. I timori veri esistono fra i militari (50 circa) in missione anti pirati nell’Oceano indiano. Timore di finire in un disastro come quello di Girone e Latorre. Il mito, per i militari italiani, sono gli Stati Uniti: «Gli americani non consentono a nessun Paese di giudicare i loro soldati: prendete la storia dell’aereo che si abbattè sulla funivia del Cermis». Venti morti, ci furono. E c’è un precedente più simile a questo di cui parliamo: estate scorsa, acque di Dubai, da una nave militare americana aprono il fuoco contro un peschereccio indiano, scambiato per nave pirata. Un pescatore ucciso, tre feriti. Gli americani hanno fatto mille scuse, ma gli sparatori non partecipano all’inchiesta a Dubai.
Oggi i cinquanta uomini in divisa tornano a Montecitorio. Ad ascoltare il presidente del Consiglio Monti. «Ascolteremo in religioso silenzio — dice il generale Cotticelli —. Continueremo a cercare di capire chi sia responsabile di questa pagina brutta».
Andrea Garibaldi