Riccardo Luna, la Repubblica 27/3/2013, 27 marzo 2013
I BABY INVENTORI
Nelle foto che girano sul web ha ancora i brufoli. Del resto Nick D’Aloisio ha 17 anni. Ed è milionario. Ha appena venduto la sua app a Yahoo!. Per trenta milioni di dollari più un posto di lavoro in quella che è stata una delle società simbolo del successo del web degli anni ‘90. Qualcuno ha notato che quando Jerry Jang e David Filo fondarono Yahoo!, il 1 marzo 1995, Nick non c’era ancora visto che è nato nel 1996, a Londra, dove è tornato per frequentare il King’s College dopo un periodo in Australia. Nella sua bio su Wikipedia, si dice che ha ricevuto il primo personal computer a nove anni, che ha scritto nella sua cameretta la prima app a 12 anni e che sempre lì a 15 anni ha sviluppato Trimit, una app che faceva automaticamente il riassunto di testi lunghi per visualizzarli sul telefonino. La cosa ebbe subito un certo successo, e Nick riuscì a farsi dare 300 mila dollari da un investitore. Sei mesi dopo la app era tutta nuova, anche nel nome: Summly, quella che Yahoo! ha comprato appena quattro mesi dopo che un gruppo di star come Yoko Ono, Ashton Kutcher e Stephen Fry ci avevano investito sopra un milione di dollari. In attesa di essere rilanciata tra i servizi della nuovissima Yahoo! Guidata dalla ex dirigente di Google Marissa Meyer, Summly è stata subito rimossa dallo store di Apple con questo bilancio: 90 milioni di riassunti creati e letti in pochissimi mesi.
Avete letto bene: 90 milioni. Il web e il mondo digitale ci hanno abituato a exploit simili, ma quello che stupisce in questa storia, il motivo per il quale ieri era nella homepage di Cnn e New York Times, è l’età di Nick D’Aloisio. Il primo multimilionario con i brufoli.
In realtà il creatore di Summly è il caso più clamoroso, ma non è il primo. Prima di lui c’erano stati Robert Nay che a 14 anni ha creato Bubble Ball, un giochino scaricato due milioni di volte in appena due settimane nel 2010; Thomas Suarez che a 12 anni a creato Bustin Jieber, un gioco per sfottere i fans del cantante Justin Bieber, nel 2011; e Dylan Viale, che ha 10 anni ha creato Quacky Quest, un videogame per giocare con la nonna cieca, nel 2012. Nelle foto Dylan ha ancora l’apparecchio ai denti e questo potrebbe far storcere il naso a qualcuno insospettito da questo esercito di giovani geni che sembra fatto apposta per il gran circo dei media. Ma non è così. Dietro questi fenomeni non c’è la fortuna: c’è la capacità di programmare che non vuol dire fare programmi, ma “scrivere codice”, il linguaggio in cui è fatto il web. Robert Nay l’ha imparato da solo, frequentando una libreria pubblica e in questo modo ha scritto personalmente le oltre quattromila linee di codice di cui è fatto Bubble Ball. Mentre il video in cui Thomas Suarez racconta come ha imparato da solo “Python, Java e C” (tre linguaggi di programmazione tra i più noti), ha collezionato oltre un milione di clic in pochi giorni. Il codice web è potere, è la nuova arma in mano a una generazione che spesso ha imparato da sola e pensa in questo modo di poter davvero conquistare tutto.
Qualche giorno fa l’associazione Code.org ha lanciato una campagna mondiale per chiedere ai governi di introdurre per tutti a scuola l’obbligo di studiare le basi della programmazione (come già accade in Estonia da settembre). I testimonial, nel video “quello che gran parte delle scuole non insegnano” subito diventato virale, sono il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg e quello di Microsoft Bill Gates. E il messaggio subliminale è che se sai programmare forse puoi davvero diventare come loro: ricco e famoso. «Imparare a programmare non vuol dire che poi diventerai un informatico », spiega Zuckerberg che sostiene di aver imparato da solo per un motivo semplicissimo: «Volevo fare qualcosa di divertente per me». E Bill Gates racconta: «Avevo 13 anni quando per la prima volta ho avuto un computer. E ho scritto un programma perché volevo fare un videogioco». Poi ha fondato Microsoft. Ma più interessante è quello che dice lo sviluppatore di videogiochi Gabe Newell: «I programmatori di domani saranno i maghi del futuro. Rispetto a tutti gli altri, sembrerà che loro siano dotati di poteri magici ». Del resto, già nel 1962, la Terza Legge dello scrittore di fantascienza Arthur Clarke avvertiva: «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata non è distinguibile dalla magia».
Ma il codice web non è magia: il codice è un’arte, ripete chi ne conosce i segreti. Lo scorso weekend alla terza università di Roma tremila ragazzi hanno affollato gli eventi di “Codemotion” un festival il cui slogan era più o meno: scriviamo righe di codice per cambiare il mondo. E anche se poi alcuni si limitano a fare giochini idioti il concetto non cambia: quei ragazzi stanno provando, rischiando, sperimentando. E magari dopo il giochino un giorno faranno una cosa seria come è accaduto qualche mese fa a Jack Andraka, lui sì un genio, che a 15 anni ha vinto una competizione mondiale con uno sticker che consente di individuare il tumore al pancreas con molta più efficacia e con molti meno costi di tutti gli altri strumenti in circolazione. Perché lo ha fatto? Perché lo zio è morto di tumore al pancreas e allora ha scoperto che è una delle forme di cancro più letali. Come ci è riuscito? Con la rete, grazie alla rete: ha cercato, ha provato, ha sperimentato. Poi ha bussato alla porta di 179 docenti in cerca di aiuto, e il 180esimo gli ha detto: è una buona idea, Jack, proviamoci. E così non solo Jack Andraka ha vinto l’I-SEF 2012 con un urlo degno di Tardelli alla finale dei Mondiali del 1982, ma abbiamo qualche speranza in più di battere un giorno la forma più temuta di cancro. Grazie ad un ragazzino di 15 anni che ha fatto tutto da solo. Perché, come ha detto recentemente il futurologo Ray Kurzweill, «oggi in Africa, un ragazzino con un telefonino, ha accesso a più informazioni di quelle che aveva il presidente degli Stati Uniti 15 anni fa». È il potere della rete, anzi, è la cultura della rete: una cultura che incoraggia l’apertura, la condivisione, la collaborazione e il rischio perché il vero fallimento è non averci provato. «Dobbiamo rendere il mondo un posto meno noioso», è lo slogan di Kid President, alias di Robbie Novak, nato a Henderson, nel Tennessee, che è diventato così famoso con i suoi video motivazionali su YouTube che lunedì sarà sul prato della Casa Bianca accanto a Barack Obama per l’annuale evento di Pasqua. Il presidente degli Stati Uniti d’America e il presidente bambino di YouTube, uno accanto all’altro per «rendere il mondo un posto meno noioso ». Come ha detto anche la figlia di un altro presidente americano, Chelsea Clinton, qualche giorno fa a New York, aprendo una sessione straordinaria delle conferenze TED, tutta dedicata agli adolescenti eccezionali: la generazione whY, cone la Y grande a ricordare la generazione Y di cui si parlava qualche anno fa, «perché nessuno è più curioso e più rivoluzionario di un adolescente in missione».
Molti si chiedono dove finiscono i giovani geni. Se poi magari impazziscono o si buttano ai Caraibi a spendersi i soldi guadagnati quando erano troppo giovani. È presto per dirlo, ma i primi segnali ci indicano che non è così che vanno a finire queste storie. Robert Nay nel frattempo ha aperto una società, la NayGames e lo stesso ha fatto Thomas Suarez, fondando la CarrotCorp. Di solito chi inizia a scrivere codice non lo fa solo per diventare ricco: di solito vuole davvero cambiare il mondo e quindi non si ferma più.