Enrico Franceschini; Gianni Mura, la Repubblica 27/3/2013, 27 marzo 2013
ADDIO VECCHIA “QWERTY” LA TASTIERA CAMBIA FACCIA ORA SCRIVEREMO CON LA VOCE
[due pezzi]
È una parola che abbiamo sempre sotto gli occhi, eppure la maggior parte di noi non la conosce. “Qwerty”, in effetti, non vuol dire niente, è solo una sequenza di lettere prive di senso: ma essendo le prime sei in alto a sinistra nella prima fila di ogni tastiera hanno lo stesso un significato particolare. Sono in quel punto della nostra scrittura meccanizzata fin da quando esistono la prima macchina per scrivere, il primo computer, il primo smart phone. Sono stati l’abc della dattilografa. Sono la metafora del linguaggio digitale. Ma sono anche vecchie e forse vicine a diventare obsolete. Una serie di innovazioni e ricerche si preparano a fare scomparire questa espressione che sembra uno scioglilingua o un errore di stampa, per sostituirla con qualcos’altro.
Anche per la tastiera, insomma, è venuto il momento di cambiare faccia. In fondo finora era stata soltanto rimpicciolita, ma nella sostanza era rimasta sempre la stessa. A decretarne la fine, o perlomeno l’inizio della fine, è stato l’avvento del touch, lo schermo (di un telefonino, di un tablet, presto di qualsiasi cosa) che si può amministrare toccandolo con le dita, senza bisogno di passare dal tradizionale schieramento di lettere, numeri e punteggiatura. Google e Apple, per esempio, hanno già allo studio delle tastiere in grado non solo di correggere un errore di battitura ma di prevederlo e prevenirlo in anticipo: esaminando il modo di scrivere di chi usa un cellulare Android o iPhone, un sistema di software capisce che, se un dito pigia il tasto K in una determinata situazione, intendeva probabilmente digitare il tasto L.
Ma questo è ancora niente, in fondo si tratta solo di un’evoluzione dei sistemi di scrittura veloce, per cui se cominci una parola, diciamo “cappuccino”, la completano quando sei ancora a metà.
Il passo successivo è Snapkeys, una società ad alta tecnologia israeliana che ha ridotto la tastiera a quattro tasti, ciascuno composto di tre lettere. In pratica prende le più usate e nasconde tutte le altre, facendole apparire solo quando servono: sembra complicato ma nei test è risultato che si scrive in maniera tre volte più veloce che con la tastiera tradizionale modello Qwerty. «E’ assurdo occupare tutto lo schermo con la tastiera - spiega Benjamin Ghassabian, fondatore e presidente dell’azienda - non c’è bisogno di fare scomparire immagini, video, dati, solo perché stai interagendo con qualcuno».
Tra ridurre la tastiera ed eliminarla del tutto la distanza è breve e del resto sta già avvenendo: molti telefonini hanno una applicazione di “riconoscimento vocale” che consente di dettare un testo anziché digitarlo. Finora si è trattato di modelli piuttosto rudimentali, usati in genere per scrivere messaggini o comunque testi brevi e suscettibili di errori, perché il telefonino può fraintendere quello che gli dice chi lo impugna.
Ma in un futuro sempre più prossimo il «voice recognition» sarà in grado di interpretare e capire tutto, confrontando la voce con precedenti dettature ed elaborando la soluzione più probabile, se c’è un dubbio. E dopo? E più avanti?
Quando infileremo i computer negli occhi, come già si può fare con gli occhialoni Google, gli esperti prevedono che “scriveremo” guardando un determinato punto dello schermo o muovendo le dita nell’aria. I nostri figli e nipoti non sapranno nemmeno cos’era Qwerty. Per non parlare di biro, stilografiche e matite.
Enrico Franceschini
SE LA VOCE SOSTITUISCE LA VECCHIA CARA TASTIERA–
NON tocchiamo questo tasto? Magari fosse possibile. Il tasto e la tastiera. Lo schema Qwerty (con Qzerty come variante nostrana) ha retto quasi 150 anni, attraversando secoli senza che qualcuno lo mettesse in discussione. Andava bene a tutti.
ERAVAMO di bocca buona, la tecnologia non era così sviluppata, si fabbricava qualcosa (da un giradischi a un rasoio, da un’auto a un paio di scarpe) perché durasse tanto. E durava.
Dacché guardo con astioso, cinghialesco sospetto ogni novità nel campo della comunicazione, nella mia tana contemplo amorosamente le tastiere di quattro Olivetti portatili (3 lettera 32 e una lettera 22) più una pesante Remington e una Everest K2 pure da scrivania. Le mie no, ma tastiere del genere hanno scandito la storia del giornalismo. La storia siamo noi, se permettete. Se poi è il touch a spedire in pensione le tastiere, io ne prendo atto e lui si prenda le sue responsabilità. Avremo strumenti sempre più intelligenti e dipenderemo sempre più da loro mentre sarebbe auspicabile il contrario.
Rendere sempre più veloce la scrittura non sempre semplifica il lavoro, e prima o poi qualcuno dovrà spiegarci a che serve guadagnare qualche minuto di connessione quando quasi tutto il tempo libero prevede che si sia connessi a qualcosa.
Parto da un esempio che porta Enrico Franceschini nell’articolo qui a fianco: sto digitando “capp” e parte automaticamente “uccino”. Ma io volevo scrivere capperi, o cappone, o cappasanta, o cappella, o cappio. In ogni caso, non cappuccino. Quindi cancello e perdo il tempo che avevo guadagnato.
Viene in mente Sisifo ma anche Ned Ludd, ammesso che siano esistiti.
Le tastiere arriveranno a prevedere un errore di battitura. Troppa grazia. Ancora un po’ e scriveranno per conto loro. Tra una lettera d’amore e un sms continuo a pensare che ci sia una certa differenza, come tra una lettera d’amore scritta a macchina e una scritta a mano. Scusate, rientro nella tana.
Gianni Mura