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 2013  marzo 27 Mercoledì calendario

DAL REGGISENO AL COLTELLO QUELLE PROVE INCERTE CHE DIVIDONO I GIUDICI


Un gancetto di reggiseno, un coltello, una traccia di Dna, e un movente «erotico, sessuale, violento» che finisce in tragedia. Una notte, quella tra il primo e il 2 novembre 2007, quando nell’atmosfera cupamente festosa che segue la festa di Halloween Meredith Kercher viene assassinata nell’appartamento che divide con l’amica Amanda Knox. Pochissimi testimoni. Un giovane uomo in carcere, Rudy Guede, che si professa innocente. In mezzo, cinque anni e mezzo di indagini, due processi, le prove della Polizia scientifica che portano alla condanna, e poi una superperizia della Corte d’appello che respinge quelle prove. E ribalta la sentenza, a 360 gradi, assolvendo per non aver ucciso Meredith, Amanda e Raffaele Sollecito, che erano, allora, fidanzati.
È da qui, da questo puzzle di indizi che non si incastrano, da questa nebulosa di prove e controprove, da pochi reperti che sembrano oggi inutilizzabili, da un movente del tutto oscuro se non si pensa al gioco erotico finito male, che ripartirà il processo d’appello per l’assassinio di Meredith Kercher. Che aveva soltanto 22 anni, un sorriso sereno, e amava la cultura e la storia italiana. Sthephanie, la sorella, e Lyle, il fratello, lo avevano detto, con gli occhi pieni di lacrime, la sera del 4 ottobre 2011, mentre i supporter americani di Amanda applaudivano in aula il verdetto di assoluzione della Corte d’assise di Perugia: «Andremo in Cassazione, cercheremo fino in fondo la verità su chi ha ucciso Meredith».
La verità. È allora dai dati e dalle prove del processo di primo grado che bisogna ricominciare. E prima di tutto da un coltello, considerato l’arma del delitto, che la Scientifica ritrova e sequestra in casa di Raffaele Sollecito il 15 novembre del 2007, a due settimane dall’omicidio di Meredith. Sulla lama del coltello viene identificato il Dna della studentessa inglese, mentre sull’impugnatura c’è il Dna di Amanda. Dunque per l’accusa è quella l’arma con cui la Knox avrebbe assassinato Meredith, sferrandole un colpo mortale alla gola, al termine di una delle tante notti “brave” degli studenti stranieri a Perugia, alcol, droga, spaccio che hanno trasformato il capoluogo umbro in un nuovo crocevia del narcotraffico nel Centronord.
È invece proprio la prova con la traccia di Dna che i due esperti nominati dai giudici d’appello, Stefano Conti e Carla Vecchiotti, smontano in secondo grado, seppellendo così un elemento fondamentale dell’accusa. Dopo aver constatato l’impossibilità di ripetere l’esame sul coltello per «l’esiguità del materiale biologico», avevano comunque affermato (contestando l’indagine della Scientifica) «che il Dna sul manico era quello di Amanda, ma quello sulla lama non era di Meredith ». Dunque non era quella l’arma del delitto? Dopo la sentenza della Cassazione è invece probabile che proprio dalle conclusioni della Polizia scientifica ripartano i giudici della Corte d’appello di Firenze, dove si terrà il nuovo processo per l’assassinio di Meredith Kercher.
Quindi il secondo reperto: un gancetto del reggiseno della giovane studentessa inglese sul quale sarebbe stato ritrovato (dalla Scientifica) insieme al Dna di Meredith anche quello di Raffaele Sollecito. A giustificare quel quadro iniziale dell’accusa secondo cui Sollecito avrebbe tenuto ferma Meredith mentre Amanda la uccideva. Quel gancetto, però, avevano affermato invece i periti d’appello Conti e Vecchiotti, era stato ritrovato ben 46 giorni dopo il delitto, e pieno di tracce impure e dunque inutilizzabile...
Fin qui i reperti. Oggetto di una vera e propria guerra di perizie. Pro e contro la Polizia scientifica. Ma è il movente che resta forse l’aspetto più oscuro e che di certo il nuovo processo dovrà aiutare a chiarire. Perché Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudy Guede avrebbero dovuto uccidere la loro amica? Crudeltà, follia, errore, assurda sventatezza giovanile? La tesi dei giudici di primo grado (ribaltata dalla sentenza di assoluzione) è quella di un crescendo, di un “parossismo” erotico che finisce in tragedia. Questa la scena: Rudy Guede, un ragazzo ivoriano che da molti anni vive a Perugia, è a casa di Meredith, in via della Pergola. Cerca di avere un rapporto sessuale con lei, ma la ragazza lo respinge. Attratti dal gioco trasgressivo, Amanda e Raffaele lo “aiutano”, e il gioco, terribile, si trasforma in omicidio. Una ricostruzione sempre respinta dalla difesa di Amanda e Raffaele, secondo la quale i due giovani quella sera non sarebbero proprio apparsi sulla scena del delitto in via della Pergola, e avrebbero invece dormito a casa di Raffaele Sollecito.
Un puzzle impossibile. Dove a giudicare dalla due opposte sentenze nessun pezzo combacia. E infatti il procuratore generale della Cassazione Luigi Riello, nella sua durissima requisitoria con cui ha ottenuto l’annullamento della sentenza d’appello, aveva definito quest’ultima «una raro concentrato di violazioni di legge, un monumento all’illogicità». Tanto che il nuovo processo di Firenze, ha aggiunto Riello, sarà «su tutto». Prove, reperti, testimoni: si ricomincia daccapo. Pensando a Meredith.