Francesco Merlo, la Repubblica 27/3/2013, 27 marzo 2013
CHE TRISTEZZA RIVEDERE DE FALCO E SCHETTINO
SEMBRAVANO De Falco e Schettino e si è capito subito che l’ammiraglio Di Paola, se avesse potuto, avrebbe passato Terzi per le armi, seduta stante, nell’aula stessa di Montecitorio, come un Tersite nel campo degli Achei.
CON gli occhialini sul naso e palesemente a disagio nel suo abito borghese e politico, indossato come una divisa, il tesissimo ammiraglio ha elegantemente dato del codardo a Terzi che, con la voce stentorea ed eccitata, si era invece finto soldato e aveva vestito di eroismo la furbizia all’italiana: «Non posso più far parte di questo governo …». E Di Paola: «Non si abbandona la nave in difficoltà». Come De Falco appunto. Ma senza il turpiloquio e senza lo sbraitare dei sergenti.
Seduti vicini nel banco del governo, Di Paola e Terzi erano un De Falco e uno Schettino finalmente a confronto e allo scontro sui legni solenni di Montecitorio che ieri naufragava come la Concordia. Per capire questa coppia eterna del comando italiano bisognava dunque guardare Di Paola mentre Terzi parlava, e poi viceversa guardare Terzi mentre parlava Di Paola. Terzi che si agitava, Terzi che tormentava la cravatta, Terzi che non riusciva a ritrovare la compostezza del diplomatico mentre gli si arrostivano le orecchie. E Di Paola prendeva appunti mentre Terzi si atteggiava a nume adirato, Di Paola si toglieva gli occhiali forse per prendere la mira su quel nobile che si fingeva caduto nella trappola dell’ignobiltà, Di Paola che pur seduto stava sull’attenti accanto a quel Polifemo accecato proditoriamente da… Mario Monti e dai suoi colleghi di governo, Di Paola che ad ogni parola di Terzi accentuava la sua espressione da chivalà.
E infatti le dimissioni del ministro degli Esteri sono arrivate come un colpo di scena sul suo collega della Difesa che pure gli sedeva accanto a rappresentare lo stesso governo e a spiegare lo stesso pasticcio, che è di Terzi molto di più che di Di Paola, perché Terzi ha fatto tutto da solo, ci ha messo la firma, la faccia, la parola e ha pure imbrogliato le carte in Consiglio dei ministri e al Qurinale. Dunque le dimissioni sono state una scena madre, inaspettata certo, ma non per il centro-destra che invece sapeva e pregustava perché le intendenze del diplomatico Terzi e le furerie del caporale Cicchitto si erano già accordate. E c’era difatti il pienone: «Godetevi lo spettacolo», aveva mormorato Brunetta verso i banchi della sinistra prima che Terzi iniziasse. E poi, quando il ministro ancora parlava, Brunetta già urlava: «Vogliamo Monti subito in aula». Il testo in codice prevedeva infatti di scagliare i marò contro il presidente del Consiglio, che Terzi, educato dall’aristocrazia, non aveva informato. Aveva al suo posto avvisato gli ex ministri Stefania Prestigiacomo e Ignazio La Russa che, prima ancora dell’annunzio delle dimissioni, già lo lodavano e al tempo stesso picchiavano su Di Paola, su Monti e su Napolitano.
Quando dunque, uno accanto all’altro e uno dopo l’altro, hanno parlato di patria, lealtà, bandiera e onore, quella grammatica ha preso significati diversi. La patria di Di Paola è infatti l’orgoglio, è la parola data: «Le istituzioni vengono prima delle emozioni »; «è facile, è no cost dare le dimissioni da un governo dimissionario ». La patria di Terzi è invece lo scaricabarile: «Mi dimetto in disaccordo », «altri hanno preso la decisione di rimandare i marò in India». E per capire bene l’ambiguità di questi paroloni, per comprendere il grottesco dei valori capovolti ieri bisognava vedere la vanagloria anche fisica di Terzi che spiegava di aver violato il giuramento dei militari «per servire l’onorabilità delle forze armate», di avere tradito il suo ambasciatore Daniele Mancini «per l’onorabilità della diplomazia italiana», di non avere mantenuto la sua parola e quella del-l’Italia «per servire l’onore del Paese». Blasone di spocchia? Troppo facile.
È vero che aveva lo stile affettato e non l’eleganza di chi ammette la sconfitta come competerebbe al suo rango, che non è solo la diplomazia ma è la schiatta esibita. Non sappiamo se perché capovolgeva le responsabilità, ieri a Terzi tremava la voce, o forse perché, sicuro della claque, giocava con il ritmo pausa-applauso ed era emozionato mentre cercava i tanti occhi di quella destra che, poco dopo, a partire dai noti patrioti della Lega, avrebbe lodato le «dimissioni doverose e ammirevoli» facendo pesca delle occasioni politiche e arruolandolo come gregario. «Lo stimo», ha detto l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa e la Reuters ha scritto che Terzi sarà candidato di Fratelli d’Italia. «Mai dire mai», ha chiosato La Russa che aveva già offerto la candidatura ai due marò: non avendo potuto arruolare i danneggiati, si vuol rifare con il danneggiatore, che è suo compagno di villeggiatura in Liguria. Il pasticcio di Terzi andrà dunque a nutrire il militarismo da barzelletta di La Russa che è la parodia dell’etica militare come scuola di democrazia. Quando era ministro della Difesa, giocava ai soldatini, indossava la mimetica, andava in elicottero a Kabul paragonandosi a D’annunzio: indimenticabile.
Insomma ieri alla Camera è stato celebrato questo avanspettacolo di militarismo marmittone goliardico, e irresponsabile. E infatti Di Paola ha ripetuto almeno dieci volte la parola “responsabilità” quando ha capito che la sceneggiatura prevedeva le prodezze e le grandezze del soldato fanfarone.
A conferma della gravità di quest’agguato politico contro Monti, oggi pomeriggio alla 15 tutto il governo si presenterà in Parlamento accanto al premier . Il colpo di scena di ieri è infatti l’attacco più forte, concreto ed efficace che il centro destra sferra alle istituzione, paragonabile sul piano politico solo all’invasione e alla gazzarra al tribunale di Milano. «Quando si dimette il ministro degli Esteri l’esecutivo non ha più credibilità né all’interno né sul piano internazionale », ha detto Cicchitto che chissà quando aveva preparato e caricato il suo bel discorso a pallettoni contro «quest’ ultimo atto del governo dei tecnici».
Persino quelle grida confuse della moglie di Girone dalla tribuna a Montecitorio , «riportate a casa mio marito», «non dovevate rimandarlo in India» sa purtroppo di piano militare studiato, come un assalto alla baionetta, perché una moglie o una sorella o una mamma possono diventare scudi umani, e usare una famiglia, con il suo comprensibile spavento, è il rifugio più comodo. Tra i giochi facili, è quello più sporco.