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 2013  marzo 26 Martedì calendario

L’OLIGARCA IMPICCATO E I MISTERI DI LONDONGRAD

I misteri di Londongrad, come 300mila immigrati venuti dal freddo chiamano la metropoli sul Tamigi, finiscono nel sangue. L’ultimo gira intorno a Boris Berezovskij, l’ex “Padrino del Cremlino”, il miliardario caduto in disgrazia e in povertà in Inghilterra, la seconda patria che gli aveva offerto rifugio e asilo politico. Si è suicidato, è stata la prima ipotesi dopo che lo hanno ritrovato morto nel bagno di una villa ad Ascot. O forse ha avuto un infarto. Oppure, sostiene l’ex moglie, lo hanno strangolato con una sciarpa. I primi risultati dell’autopsia parlano di morte per impiccagione, anche se «nulla mostra che ci sia stata violenza». Quando una tivù russa annuncia che l’Fbi ha arrestato in America Roman Abramovich, l’oligarca rivale di Berezosvkij, il giallo sembra sul punto di diventare un duello. La notizia è subito smentita dall’interessato. Ma il thriller resta irrisolto.
A Mosca, il populista per tutte le stagioni Vladimir Zhirinovskij accusa i servizi segreti britannici di omicidio: «Volevano tappare la bocca a Berezovskij perché aveva chiesto perdono a Putin e si preparava a rivelare i complotti del Regno Unito contro di noi». A Londra non replicano nemmeno alla provocazione. Ma tra le sontuose residenze di Kensington e Belgravia, dove i nuovi ricchi di Russia hanno costruito una nuova vita, cresce la paura.
È l’ultimo atto della lunga guerra tra il presidente Putin e gli oligarchi, la classe di spregiudicati affaristi che ha fatto fortuna in Russia negli anni della privatizzazione selvaggia seguita al crollo del comunismo. Boris Eltsin, il successore di Gorbaciov, aveva lasciato loro mano libera, in cambio del sostegno finanziario. Putin presenta il conto. Khodorkovsvkij finisce in prigione. Gusinskij si rifugia in Israele. Abramovich gli obbedisce da lontano, Deripashka da vicino. Ma quello che gli dà più fastidio è Berezovskij, l’exsegretario del consiglio di sicurezza del Cremlino, l’uomo che aveva sorretto Eltsin e scelto come erede Putin, pensando di poter controllare anche lui come una marionetta.
L’epilogo di questo tempestoso conflitto va in scena sabato in una villa di Ascot. Una guardia del corpo ci ha riportato Berezovskij la sera prima, dopo un tè al miele all’Hotel Four Seasons con Ilia Sheguliov, giornalista russo, un vecchio amico. L’oligarca era apparso cupo come se a lutto. Al tavolino della lussuosa tea-room gli tremavano le mani. Tornato a casa si era chiuso in camera da letto. Undici ore più tardi, non vedendolo scendere, l’ultimo uomo della scorta rimasto al suo servizio va a bussare alla porta della camera. Nessuna risposta. Poi a quella del bagno, chiusa a chiave dall’interno. Niente. La sfonda con una spallata, trova il capo esanime sul pavimento e dà l’allarme.
Tra i primi ad arrivare alla villa, insieme all’inutile pronto soccorso e alla polizia, c’è Galina, ex-seconda moglie di Berezovskij. Il loro divorzio si è concluso con il più alto pagamento di alimenti nella storia della Gran Bretagna: 150 milioni di sterline. Ma, o forse proprio per questo, la coppia era rimasta in buoni rapporti. La villa di Ascot adesso appartiene a lei. Definirla villa non le rende giustizia: è un maniero, situato nell’angolo più esclusivo di tutta l’Inghilterra. Il famoso ippodromo, il castello
della regina a Windsor, la scuola privata di Eton da cui escono re e primi ministri, sono a un tiro di schioppo. Galina aveva dato all’ex- marito il permesso di viverci, perché lo sapeva travolto dai debiti. Il processo per danni contro il suo ex-socio d’affari Abramovich, perso l’anno scorso con il giudice che gli dava del bugiardo e dell’illuso, gli era costato 100 milioni di sterline. La sua nuova compagna, di 22 anni più giovane e madre dei due più piccoli dei suoi figli, sempre al suo fianco durante le udienze, lo ha lasciato all’indomani del verdetto, ottenendo dal tribunale il congelamento di altri 200 milioni per ricevere a sua volta un lauto assegno di mantenimento. Così Berezovskij, messe all’asta tutte le sue proprietà, è andato a stare nella magione di Ascot, cortesia dell’ex- consorte.
La polizia non vuole lasciarla passare: sono in corso le perquisizioni della scientifica per scoprire se nella residenza ci siano “sostanze pericolose”, come il polonio radioattivo che uccise nel 2006 Aleksandr Litvinenko, l’ex-agente del Kgb passato alle dipendenze di Berezovskij. «Questa è casa mia», risponde indispettita la donna ed entra. È lei a notare, nel bagno dove è ancora riverso il corpo dell’exconiuge, una sciarpa di cashmere. «L’hanno strangolato», dice più tardi agli amici. «In ogni caso non è stata una morte per cause naturali », taglia corto Nikolaj Glushkov, un intimo di famiglia. Di morti innaturali, da queste parti, ce ne sono state altre. Due ricchi uomini d’affari russi hanno perso la vita negli ultimi anni in circostanze mai chiarite nei dintorni di Londra. Il primo, Aleksandr Perepilichnij, un informatore cruciale nel caso di Sergej Magnitskij, l’avvocato deceduto in prigione a Mosca prima che potesse raccontare ciò che sapeva sul malaffare politico del Cremlino, è uscito di casa per fare jogging un giorno dello scorso novembre, si è accasciato al suolo e non si è più rialzato. Il secondo, Arkadij “Badri” Patarkatsishvili, 52 anni, ha subito un poco convincente attacco cardiaco nel 2008 e la sua abitazione è stata a lungo setacciata dalla polizia in cerca di radioattività. Solo coincidenze? Se a questi si aggiunge German Gorbuntsov, un banchiere russo freddato l’anno scorso a colpi di pistola nella City, il giorno prima che testimoniasse in un processo per corruzione a Mosca, si capisce che Londongrad non è più tanto sicura per i “nuovi ricchi” di Russia.
Forse nemmeno per colui che sembrava più al sicuro di tutti: Abramovich, il petroliere siberiano obbediente a Putin, l’allievo diventato più ricco e più furbo del maestro Berezovskij. “The Roman Empire”, l’Impero di Roman, lo hanno soprannominato i tabloid, che con lui però si sono divertiti poco: mai un’intervista in dieci anni che è a Londra, neanche una dichiarazione pubblica. Non ha alzato la voce nemmeno al processo in cui Berezovskij gli chiedeva 3 miliardi di sterline di indennizzo: ha risposto alle domande del giudice in russo, ci è voluto l’interprete per capirlo. Berezovskij invece ha parlato in un comico inglese, facendo ridere tutti. Erano diversi anche in quello. Eppure la notizia dell’arresto di Abramovich in America da parte dell’Fbi, per quanto presto smentita dal suo portavoce («ma è vero che lo hanno fermato e interrogato », insiste la tivù di Mosca), deve avergli fatto rizzare le orecchie.
I morti non possono dare smentite. Mentre ieri pomeriggio la polizia autorizzava finalmente a portare via dalla villa di Ascot il cadavere di Berezovskij, nelle edicole di Londra andava a ruba il Daily Mailcon
il racconto di Mark Pendlebury, ex-parà britannico e suo autista personale. Storie di minorenni fatte arrivare dall’Europa dell’est, con cui Berezovskij si eccitava a fare sesso nei sedili della sua limousine, esortando l’autista a correre oltre i limiti di velocità, con un motociclista davanti all’auto a fare da apri strada per non dover mai rallentare. Vero? Falso? La Londongrad degli oligarchi ripropone la celebre definizione che Churchill diede dell’Urss durante la guerra fredda: «Un rebus, avvolto in un mistero, dentro un enigma». Da qualche parte, dentro quella matrioska di interrogativi, potrebbe esserci la soluzione della morte di Boris Berezovskij.