Federico Fubini, Corriere della Sera 26/03/2013, 26 marzo 2013
DALLA BCE A BRUXELLES, QUELLA SERIE DI «SVISTE» CHE HANNO PORTATO L’EURO ALL’EMERGENZA
L’angolo cieco è l’attimo in cui la strada, se si guarda negli specchietti retrovisori, sembra libera. Ovviamente è un’illusione. Il pericolo in quel momento non è abbastanza lontano per essere visto in prospettiva, né così imminente da indurre alla prudenza. È vicino, visibile con appena un po’ di attenzione, ma chi è al volante non se accorge.
Non era questo che Jeroen Dijsselbloem intendeva ieri quando ha osservato che il caso di Cipro «è un modello». Il presidente dell’Eurogruppo, ministro delle Finanze olandese, dopo aver detto giorni fa che il caso dell’isola è «unico», ieri ha spiegato l’esatto contrario: da ora in poi in ogni salvataggio i creditori, i depositanti e gli investitori dovranno sempre pagare per la loro imprudenza come è successo nell’isola. Poi in serata l’olandese ha fatto retromarcia, ma involontariamente potrebbe aver comunque colto una verità. Cipro è davvero un modello, lo è per come sul suo caso l’architettura europea è piombata in un angolo cieco che ha condotto all’incidente a catena di questi giorni.
Non che fosse difficile vedere il pericolo incombente, se solo ci fosse stata l’accortezza di osservare bene. Nel 2007 e nel 2008, l’anno dell’ingresso dell’isola nella moneta unica, i bilancio delle banche di Cipro valevano circa dieci volte il Pil del Paese. Con la sua attività «off shore» che non tassa e non pone domande sull’origine del denaro, Nicosia aveva finito per attrarre quasi 200 miliardi di euro di depositi pur avendo un Prodotto interno lordo dieci volte più piccolo.
È come se i bilanci delle banche italiane valessero 15 mila miliardi, qualcosa come il Pil degli Stati Uniti. Ma i depositi sono passività: debiti che una banca prima o poi dovrà rimborsare, peraltro rischiosi perché i risparmiatori potrebbero chiedere indietro i propri soldi immediatamente e in qualunque momento. Un’economia fondata su un modello del genere è stabile come una piramide rovesciata: la base del bilancio pubblico, venti volte più piccola dei debiti privati, è chiaramente troppo piccola per poter stabilizzare le banche non appena queste vacillano.
Ma l’Europa viveva in un angolo cieco. Nel 2007, quando la Commissione, l’Eurogruppo e la Banca centrale europea danno il loro via libera all’ingresso di Cipro nell’euro, la strada sembra sgombra. E a leggere i documenti delle istituzioni europee, lo è. Nella sua raccomandazione per far entrare Cipro nell’euro, la Commissione nota che l’integrazione del «sistema finanziario» cipriota in Europa è un «fattore supplementare» a favore del via libera. Il rapporto di Bruxelles, sotto la responsabilità del commissario Ue spagnolo Joaquin Almunia, si limita ritualmente a consigliare di «controllare la spesa pubblica e sanitaria». Simile la raccomandazione anche da parte della Banca centrale europea, che pure avrebbe dovuto conoscere bene le banche cipriote se non altro perché si preparava a finanziarle. Nel suo rapporto sulla convergenza del maggio 2007, presidente Jean-Claude Trichet, anche la Bce si limita a ripetere i mantra sulla «moderazione salariale», le riforme da fare per la «crescita della produttività» e via elencando. Di fronte alla situazione di Cipro, è stato come chiedere di mettere a posto le sedie in soggiorno ignorando l’elefante aggrappato al lampadario.
Solo nel 2011 la Bce cambia idea e invia una lettera riservata e urgente a Nicosia sul problema delle banche. Ma il segreto della Bce viene tenuto a meraviglia perché l’Eba, l’Autorità bancaria europea, negli stessi mesi sottopone gli istituti di Nicosia a degli stress test e li promuove. Laiki Bank, la banca fallita ieri, riceve un giudizio migliore del terzo istituto austriaco. Sul sistema del credito del resto vigilava un banchiere centrale celebre, Athanasios Orphanides, dottorato al Mit di Boston, una carriera alla Federal Reserve. Orphanides permise alle banche cipriote di investire pesantemente in titoli di Stato di Atene, malgrado l’evidente e enorme squilibrio dei conti con l’estero della Grecia. Ma di fronte ai dogmatici banchieri della Bce, Orphanides venne definito dal Financial Times un «apostolo della flessibilità» di impostazione americana. Per lui e per molti altri, l’imminente crac ellenico che ha mandato in pezzi le banche di Cipro e la credibilità dell’intero sistema, era ancora nascosto in un angolo cieco.
Federico Fubini