Marco Zatterin, La Stampa 26/3/2013, 26 marzo 2013
UN AGRONOMO ALL’ EUROGRUPPO TRA GAFFE, ERRORI E RETROMARCE
Dopo la prima decisione dell’Eurogruppo sul salvataggio cipriota, quella che all’alba di sabato 16 marzo ha benedetto una tassa orizzontale su tutti i depositi isolani e che i ministri economici del Club dell’euro hanno modificato al volo lunedì 18, il mantra più diffuso nei corridoi delle istituzioni Ue si riassumeva in un classicissimo «Aridatece Jean-Claude Juncker». La convinzione era che il navigato premier lussemburghese, a lungo leader dell’Eurozona, non sarebbe finito nella trappola creata dalla furia rigorista tedesca e dalle esigenze politiche di Nicosia. A Jeroen Dijsselbloem, fresco ministro delle Finanze olandese, e freschissima guida dell’Eurozona, è successo. Così ha creato perplessità e esposto la credibilità della moneta unica.
C’è chi dice che è l’inesperienza, altri attribuiscono i fulmini che il riccioluto esponente del governo Orange lib-lab di Mark Rutte si è attirato nelle ultime ore ad una franchezza eccessiva. Ieri ha fatto cadere i mercati. E’ successo per una dichiarazione non priva di senso, in cui Dijsselbloem (pronuncia Dàisselblùm) ha concesso che il salvataggio di Cipro farà da modello per ogni eventuale operazione futura. Ha insomma svelato il principio secondo cui «se ti assumi un rischio, devi essere pronto a sopportarne le conseguenze, e se non sei disposto a fronteggiarle, non devi rischiare». Se una banca fallisce, insomma, paga anche il correntista e non solo lo stato e, pertanto, il contribuente.
Se fosse una discussione accademica, ci sarebbe magari anche da congratularsi per il paradigma ribaltato. In realtà, servita in tempi di nervi scopertissimi mentre l’olandese è sotto ogni pressione, è un’idea che pare concepita per creare ulteriori nervosismi, che non tiene conto della specificità del caso cipriota (un sistema bancario che vale 8 volte il pil, regole labili, riciclaggio), e che corre il rischio di essere presa per un attentato al risparmio, anche se l’altra notte si è deciso di tutelare i depositi sotto i 100 mila euro.
Dijsselbloem, che venerdì compie 47 anni, ha subito per questo la seconda lapidazione in pochi giorni. Ci sono ragioni politiche - «ha parlato troppo da olandese», è stato detto -, ma certo il tempo ridotto passato sui ponti di comando non lo aiuta. Nemmeno il curriculum. Il capo dell’Eurogruppo non è un’economista. E’ laureato in Agronomia all’università di Wageningen e sino al 5 novembre scorso - giorno nel quale ha ottenuto la responsabilità delle Finanze -, non aveva avuto incarichi di governo. E’ stato un radicale di sinistra, ora è un laburista (ex segretario, in parlamento del 2000), guardiano del rigore di bilancio e portatore sano (nel senso di sociale) di liberismo. Non un falco come il predecessore Jan Kees de Jager, comunque.
E’ un uomo elegante, anglofilo (non parla francese), timido. Alla debutto nell’Eurogruppo, cinque mesi fa, si racconta abbia esitato prima di entrare nella stanza dove lo attendeva il potente ministro tedesco Schaeuble. «Ha belle maniere e i giusti attributi», rivela un diplomatico di un paese che ha sostenuto la sua elezione al vertice di Eurolandia in gennaio, nomina avvenuta per esclusione, nel gioco dei veti incrociati non poteva che essere un olandese e lui era l’olandese. Il suo passato non gli regala la sensibilità per i mercati, sebbene questo lo renda più simpatico di molti altri potentati dell’economia che non dicono mai niente o parlano per metafore. Nonostante ciò, commentatori e politici lo hanno fatto a pezzi. Per una verità pesante che Juncker, al suo posto, avrebbe attentamente aggirato.