Roberto Giovannini, La Stampa 26/3/2013, 26 marzo 2013
ANASTASIADIS: "PRENDEREMO I COLPEVOLI DI QUESTO CRAC"
«Troveremo e puniremo coloro che ci hanno portato in questa situazione. Sarà svolta un’indagine approfondita per individuare i responsabili delle decisioni che hanno messo in pericolo il sistema bancario». Il presidente di Cipro Nicos Anastasiadis, in una dichiarazione serale dagli schermi della televisione pubblica RIK, non h+a cercato di indorare la pillola alla popolazione. Ha ammesso che il passaggio per il paese è stato «in molti momenti drammatico», che l’accordo raggiunto «è doloroso, anche se è il massimo che si poteva ottenere nonostante un impegno totale di tutte le istituzioni». Ma ha assicurato che grazie all’intesa il sistema bancario si potrà stabilizzare anche se «si dovrà combattere per l’oggi e per il domani»; ha ricordato che il paese «ha passato momenti peggiori», e che «questa crisi andrà trasformata in un’occasione per una nuova ripartenza». «Compatriote, compatrioti - ha concluso Anastasiadis con il nostro coraggio e con la nostra forza sapremo rimetterci in piedi». Il 25 marzo in tutto il mondo ellenico si festeggia l’anniversario della dichiarazione di indipendenza della Grecia dall’impero ottomano nel 1821.
E ieri mattina, mentre osservatori, commentatori e popolazione cercavano di comprendere che cosa significa per l’isola l’accordo raggiunto nella notte a Bruxelles, anche per le vie della capitale si è festeggiato con la consueta parata il 192esimo anniversario di quel lontano evento. Che ha un significato particolare per un paese per un terzo controllato dall’esercito turco; e a maggior ragione in una giornata in cui per molti ciprioti questa indipendenza appare cancellata di fronte a decisioni durissime imposte dall’Ue, dalla Bce e dal Fmi in cambio di un’iniezione di soldi freschi. Non è un caso che nel corso della sfilata degli studenti delle varie scuole cittadine - precedute dalle bianche e azzurre bandiere greche - in molti scandissero lo slogan «giù le mani da Cipro». Lo stato d’animo degli abitanti della capitale ieri era spaccato a metà: da una parte la rabbia per aver siglato la sentenza di morte per Cipro come piazza finanziaria offshore, la delusione per la punizione subita dai partners europei, il timore per il rischio che questa sia solo la prima di una lunga serie di punizioni e sacrifici, come è successo in Grecia. Dall’altra, quasi un sollievo per la fine di un lungo periodo di incertezza e di disagi. A cominciare dal dover tirare avanti con le banche chiuse. Come comunicato ufficialmente dalla Banca centrale di Cipro, gli sportelli degli istituti di credito riapriranno solo dopo giovedì e non prima come molti speravano. Anche le due banche che subiranno la ristrutturazione, da cui nascerà la famosa «bad bank»: la Laiki e la Trapeza Kyprou, dovrebbero riaprire (forse con nuovi marchi unificati) da giovedì. Per il momento non è nemmeno noto se e quali restrizioni alle operazioni bancarie e ai movimenti di capitale verranno introdotte, come la legge approvata dal Parlamento (che non dovrà votare nuovi provvedimenti) consente in situazioni di emergenza.
E questa lo è. Non sarà facile arrestare la fuga dei capitali: secondo fonti bancarie, già molti fondi sono stati spostati utilizzando le filiali londinesi di Laiki e Trapeza Kyprou, e altre scappatoie legali (come i trasferimenti per «ragioni umanitarie»). Chissà se funzionerà di più la moral suasion avviata dalla Bce, che in questi giorni - rivelano fonti di Francoforte - ha sommessamente avvertito la Lettonia che se vuole entrare nell’Eurozona deve evitare di diventare il nuovo rifugio dei soldi degli oligarchi russi. Quel che è certo è che il settore finanziario di Cipro, che valeva il 40% del Pil dell’isola, rischia di dimezzarsi in poco tempo. Cominciando con i migliaia di dipendenti della Laiki a rischio disoccupazione, L’economista greco Dimitris Kontoyiannis valuta che l’economia cipriota potrebbe subire una decrescita del 20% in due anni. E un crollo del Pil renderebbe rapidamente insostenibile il debito cipriota, che dopo il prestito deciso ieri è il 100% del Pil. Scatenando la ben nota spirale sacrifici-decrescita-disoccupazione-nuovi sacrifici e via continuando verso il baratro. Un piccolo aiuto è arrivato dalla decisione di Putin di rinegoziare a un tasso più basso il prestito russo di 2,5 miliardi erogato nel 2011.