Daniele Zappalà, Avvenire 26/3/2013, 26 marzo 2013
SE A FAR PAURA ORA È LA FRANCIA
La Francia può divenire il ’grande malato’ dell’Europa? Nelle ultime ore, a rispondere affermativamente è stato l’americano Robert Zoellick, presidente uscente della Banca Mondiale, in un’intervista al settimanale tedesco Spiegel . Ma ieri, la dichiarazione non ha suscitato grandi reazioni in Francia. E il fatto, probabilmente, non è imputabile solo alla scarsa attenzione che spesso l’opinione pubblica francese riserva alle analisi provenienti da Oltreatlantico, sospettate, a torto o a ragione, di essere viziate da un certo pregiudizio antifrancese.
Il tema del degrado estremamente rapido dei fondamentali dell’economia francese e del rischio di una ’caduta alla greca’ non è nuovo nel dibattito nazionale. Nel settembre 2007, in pieno esercizio, fu l’ex premier neogollista François Fillon a spiegare ai microfoni, con estrema franchezza: «Sono alla guida di uno Stato che è in situazione di fallimento sul piano finanziario, sono alla guida di uno Stato che si trova da 15 anni in deficit cronico, sono alla guida di uno Stato che non ha mai votato un bilancio in equilibrio da 25 anni, il che non può più perdurare».
Le parole piacquero ben poco all’allora presidente Nicolas Sarkozy, ma non si può certo dire che sorpresero i più seri economisti francesi sganciati dalle ’aree’ di partito. Da tempo, con libri e note dal tono sempre più inquietante, sono in tanti a denunciare una Francia spendacciona e poco competitiva che vive ’ben al di sopra dei propri mezzi’ e le cui basi macroeconomiche, data la rapidità del degrado in corso, sono ormai in uno stato almeno altrettanto preoccupante, se non di più, rispetto ad esempio a quelle italiane.
Secondo diversi economisti transalpini, accanto all’evoluzione del debito pubblico, equivalente oggi a circa il 91 % del Pil e ancora in aumento, la crescente fragilità strutturale dell’Azienda Francia è mostrata pure dai parametri del debito privato e soprattutto di una bilancia commerciale da anni in profondo rosso. Ma molte riforme giudicate come necessarie, per superare le attuali ’rigidità strutturali’, si fanno attendere o sono rimaste in mezzo al guado.