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 2013  marzo 26 Martedì calendario

SE A FAR PAURA ORA È LA FRANCIA

La Francia può divenire il ’gran­de malato’ dell’Europa? Nelle ultime ore, a rispondere affer­mativamente è stato l’americano Ro­bert Zoellick, presidente uscente del­la Banca Mondiale, in un’intervista al settimanale tedesco Spiegel . Ma ieri, la dichiarazione non ha suscitato grandi reazioni in Francia. E il fatto, probabilmente, non è imputabile so­lo alla scarsa attenzione che spesso l’opinione pubblica francese riserva alle analisi provenienti da Oltreatlan­tico, sospettate, a torto o a ragione, di essere viziate da un certo pregiudizio antifrancese.

Il tema del degrado estremamente ra­pido dei fondamentali dell’economia francese e del rischio di una ’caduta alla greca’ non è nuovo nel dibattito nazionale. Nel settembre 2007, in pie­no esercizio, fu l’ex premier neogolli­sta François Fillon a spiegare ai mi­crofoni, con estrema franchezza: «So­no alla guida di uno Stato che è in si­tuazione di fallimento sul piano fi­nanziario, sono alla guida di uno Sta­to che si trova da 15 anni in deficit cro­nico, sono alla guida di uno Stato che non ha mai votato un bilancio in e­quilibrio da 25 anni, il che non può più perdurare».

Le parole piacquero ben poco all’al­lora presidente Nicolas Sarkozy, ma non si può certo dire che sorpresero i più seri economisti francesi sgancia­ti dalle ’aree’ di partito. Da tempo, con libri e note dal tono sempre più inquietante, sono in tanti a denun­ciare una Francia spendacciona e po­co competitiva che vive ’ben al di so­pra dei propri mezzi’ e le cui basi ma­croeconomiche, data la rapidità del degrado in corso, sono ormai in uno stato almeno altrettanto preoccu­pante, se non di più, rispetto ad e­sempio a quelle italiane.

Secondo diversi economisti transal­pini, accanto all’evoluzione del debi­to pubblico, equivalente oggi a circa il 91 % del Pil e ancora in aumento, la crescente fragilità strutturale dell’A­zienda Francia è mostrata pure dai parametri del debito privato e so­prattutto di una bilancia commercia­le da anni in profondo rosso. Ma mol­te riforme giudicate come necessarie, per superare le attuali ’rigidità strut­turali’, si fanno attendere o sono ri­maste in mezzo al guado.