Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 26 Martedì calendario

HA MESSO

in conto lo stallo e l’ipotesi di proporre al capo dello Stato «un avvio della legislatura» con il suo governo anche in mancanza di un paracadute sicuro. Il presidente dovrebbe quindi compiere un atto di fede. Credere, insieme con il segretario del Pd, nel miracolo.
Oggi e domani Bersani si giocherà le carte finali. Cominciando da Scelta civica perché se anche Mario Monti si sfila, non si può nemmeno tentare l’azzardo. Ieri il premier incaricato e quello uscente hanno parlato a lungo al telefono. Al Professore si chiede un appoggio pieno al governo del cambiamento, sulla base di una
forte impronta europeista. Bersani ha sottolineato l’esito del dibattito di ieri alla Camera, la paradossale sintonia di Pdl e Movimento 5stelle in una critica all’Unione. Il tutto condito da attacchi feroci a Monti. «Noi ci stiamo, ma vogliamo un esecutivo che non nasca sulla base di uscite dall’aula o voti sparsi — ha risposto il premier — . Dev’essere stabile e con una maggioranza riconoscibile». L’apertura c’è. L’appello alla responsabilità in un momento delicatissimo può fare il resto e regalare, dopo le consultazioni di oggi, il sì dei centristi. Ma anche così i voti non sono sufficienti e per questo Bersani lavora sul doppio binario
delle riforme istituzionali con il centrodestra.
La prima di queste “riforme”, la più sentita da Berlusconi, è la scelta del nuovo presidente della Repubblica. La vera garanzia risiede al Colle, dura sette anni e, come si è visto nel recente passato, è centrale per i destini di ogni governo, ogni maggioranza. La trattativa è avviata, ma non registra passi in avanti. La minaccia del Partito democratico però cresce d’intensità. «Possiamo tagliare fuori il Pdl dall’elezione del presidente. Gli conviene?». I numeri, in questo
caso, sono certi. Il quorum per eleggere l’inquilino del Colle, a maggioranza semplice, è 505 voti. Il centrosinistra, con i delegati regionali, dispone di 480 preferenze. «Noi — ragionano a Largo del Nazareno — abbiamo tre risultati utili a disposizione. Berlusconi uno solo». Il Pd può eleggere il capo dello Stato con una maggioranza larga che comprenda il Pdl, ed è la strada offerta al centrodestra, come ha detto ieri Enrico Letta. Ma può farlo con Monti e basta. In casi estremi, riuscirebbe ad eleggerlo da solo, magari proponendo
un nome gradito ai grillini (che sono 160) sul modello Pietro Grasso. «Questi conti — spiegano gli sherpa democratici — Berlusconi li ha fatti prima di noi». Detto questo, il Cavaliere avrebbe la possibilità di trovare l’intesa su un nome, non di avanzarne uno suo. Ma è proprio questo che sta chiedendo con insistenza al Pd attraverso i mediatori in campo. Di essere lui a indicare il presidente, di pescare dal mazzo la persona giusta, anche in una rosa di centrosinistra. Sarebbe il suggello di un vero accordo politico con i democratici.
«Con 480 voti contro, la proposta è irricevibile», risponde un leader del Pd.
Le difficoltà di Bersani con i voti al Senato e l’ipoteca di Berlusconi sul Quirinale rendono oggi la strada del premier incaricato complicatissima. Per questo ieri appariva molto più vicino il ritorno alle urne. «Non accetto sotterfugi — ragionava il Cavaliere con i suoi collaboratori —. Sono disponibile a un’intesa alla luce del sole, politica. Altrimenti, andiamo al voto e la facciamo finita». Il segretario del Pd si prepara al colloquio
con il capo dello Stato puntando su impegni garantiti anche se non ci sono numeri certi. A partire dal profilo dei ministri, che rivelerà a Napolitano. Saranno uomini e donne scelti con la massima apertura e dal curriculum impeccabile. In grado di aprire un confronto dentro tutte le forze parlamentari, dai grillini alla Lega. «Ognuno troverà qualcosa di positivo nel nostro governo», ha detto qualche giorno fa Bersani e si riferiva alla squadra. Al presidente della Repubblica presenterà anche il calendario delle riforme istituzionali (riduzione dei parlamentari, Senato delle autonomie, legge elettorale) con le scadenze per ogni provvedimento presentato. Tra i 12 e i 18 mesi, il percorso dovrebbe essere completato. Sarebbe quello anche l’orizzonte temporale
dell’esecutivo.
A Largo del Nazareno scommettono che su queste basi Napolitano possa convincersi e «mandare il governo alle Camere per cercare la fiducia sulla base del programma e delle competenze». Un governo del Presidente non potrebbe fare di più e di meglio, dicono gli uomini del segretario. «Sarebbe una via ancora più stretta della mia», ripete Bersani. Oggi e domani bisogna ancora giocarsi la carta delle alleanze possibili. Perché la risposta del Quirinale in caso di numeri certificati si conosce già. Quella davanti a un’avventura più rischiosa, no.