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 2013  marzo 25 Lunedì calendario

I PM DI TERNI INDAGANO SUI BILANCI DELLA CURIA. L’ACCUSA E’ BANCAROTTA —

Operazioni immobiliari spericolate che avrebbero svuotato le casse. Compravendite di palazzi, anche di pregio, gestite da società ricollegabili a persone che lavorano presso gli uffici ecclesiastici.
Le verifiche sul «buco» nei bilanci della Curia di Terni arrivano a una svolta. La magistratura adesso ipotizza i reati di truffa e bancarotta. L’inchiesta ruota intorno a una serie di affari conclusi quando vescovo era monsignor Vincenzo Paglia, attuale presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. E si affianca agli accertamenti avviati dal suo successore, monsignor Ernesto Vecchi, arrivato in Umbria a metà febbraio e incaricato dalla Santa Sede anche di scoprire che fine abbiano fatto 18 milioni di euro che mancano dai bilanci non escludendo che l’ammanco possa essere addirittura superiore ai venti milioni di euro. Una vicenda scottante che, secondo alcuni, potrebbe essere stata inserita nel dossier segreto gestito da papa Benedetto XVI prima delle dimissioni. L’ormai famosa relatio affidata adesso al pontefice Francesco.
L’attenzione degli inquirenti è focalizzata sulle acquisizioni di alcune strutture di proprietà della Chiesa, ma anche di amministrazioni locali, effettuate a prezzi stracciati da aziende riconducibili ad uomini che per anni hanno collaborato con monsignor Paglia. E poi ristrutturate utilizzando i soldi destinati alle attività religiose. Il pubblico ministero Elisabetta Massini ha delegato le indagini alla squadra mobile di Terni. L’ultimo atto compiuto dagli investigatori diretti da Francesco Petitti è l’acquisizione presso gli uffici del Comune di Narni dei documenti relativi alla vendita del castello di San Girolamo.
A darne notizia, venerdì scorso, è stato il sito online Umbria24, che da tempo si occupa di quanto sta accadendo nella Diocesi. È uno dei capitoli più significativi dell’inchiesta perché mostra, secondo l’accusa, quale fossero le modalità per concludere le operazioni. Il castello è stato ceduto dal Comune tra maggio del 2011 e gennaio 2012, per un milione e 760 mila euro. La quota è stata così divisa tra la «Sim, Società iniziative immobiliari» (700 mila euro), la Diocesi di Terni, Narni e Amelia (900 mila euro) e l’Ente seminario vescovile di Narni (160 mila euro). Il progetto iniziale prevedeva che fosse trasformato in un albergo, ma finora del progetto per la ristrutturazione non è stata trovata traccia. E dunque si sta cercando di scoprire a che cosa sia servito questo investimento, tenendo conto che la «Sim» è di proprietà di due persone ritenute molto vicine a monsignor Paglia come Luca Galletti e Paolo Zappelli: il primo è stato fino al 2012 presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Terni e ora è il direttore tecnico della Curia, mentre l’altro ha ricoperto l’incarico di economo e attualmente è il direttore dell’ufficio amministrativo. Ma soprattutto come mai si sia deciso di inserire negli accordi una clausola di recesso per i due istituti religiosi che scade alla fine dell’anno. Il sospetto è che la partecipazione delle istituzioni cattoliche sia soltanto una «copertura» e che in realtà la gestione immobiliare dovesse poi rimanere in esclusiva alla società.
I magistrati guardano a Narni, ma controllano anche altri affari come quello relativo all’affitto della struttura che ospita il Grand Hotel Terme Salus di Viterbo oppure l’acquisto dell’edificio delle scuole Orsoline di Terni. Tra gli indagati ci sarebbero i titolari di alcune società e gli esperti che avrebbero compiuto le valutazioni degli immobili, oltre ai commercialisti che si sarebbero occupati della stipula degli accordi. Ma le verifiche sono ad uno stadio iniziale e altri nomi potrebbero presto finire nel registro della Procura.
Monsignor Paglia nega di aver ricevuto un avviso e assicura che «tutto si è svolto in maniera regolare». Poi spiega «come si è arrivati a una sofferenza economica che mi era ben nota. C’era un problema già nell’amministrazione precedente e poi abbiamo intrapreso la costruzione di vari complessi parrocchiali. Il denaro utilizzato per la ristrutturazione di immobili o di chiese che doveva rientrare dalle casse parrocchiali non è arrivato e ciò ha aggravato il debito, sul quale già pesavano anche alcune acquisizioni di immobili per uso diocesano. Era stato fatto un ripiano attraverso la vendita di alcuni immobili non più utilizzati, la crisi ha reso tutto più difficile. Abbiamo preferito non svendere gli immobili, ma questo ha fatto sì che le esposizioni bancarie pesassero in maniera pesantissima».
L’alto prelato assicura che «tutto è stato fatto in accordo con i consigli di amministrazione e con l’Istituto per il sostentamento del clero» ed esclude in maniera categorica affari immobiliari con la comunità di sant’Egidio della quale è consigliere spirituale: «Ho sempre tenuto molto netta la separazione tra il mio incarico di vescovo e quello per sant’Egidio, tanto che ho deciso di lasciarlo proprio per evitare commistioni o speculazioni».
Fiorenza Sarzanini