Federico Fubini, Corriere della Sera 24/03/2013, 24 marzo 2013
GLI ERRORI DI CIPRO E QUELLI DI BERLINO
Secondo Charles P. Kindleberger, il grande storico dell’economia, la Depressione degli anni Trenta fu così lunga e profonda perché la Gran Bretagna non poteva e l’America non voleva assumersi la responsabilità di stabilizzare il sistema. Schiacciata dai debiti, dalla disoccupazione e dalla perdita di competitività sotto un tasso di cambio irrealistico, Londra non riusciva più ad agire da egemone. L’America invece era tutta un’altra storia: il più grande dei Paesi creditori di allora non intendeva offrire un mercato per i beni delle economie in deficit, né condonare i debiti vantati verso di loro, né permettere che si creasse un prestatore sovranazionale di ultima istanza. Così la crisi prodotta dal debito sovrano degli europei e dalla fragilità del sistema bancario è sfociata nella Depressione e nel crollo del Gold Standard, il sistema di cambi fissi dell’epoca.
Adesso di certo la storia non si sta ripetendo. Non, per lo meno, nel senso letterale del termine. Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso non è mai andato in scena lo spettacolo al quale mezzo miliardo di europei assiste in questi giorni: un Paese la cui economia vale lo 0,25% di quella dell’area euro e il cui intero sistema bancario è più piccolo dell’undicesima banca tedesca, è diventato una minaccia esistenziale per la moneta unica. Senza un accordo entro domani, la Banca centrale europea cesserà di fornire liquidità d’emergenza alle banche di Cipro. Gli istituti arriveranno in poche ore all’asfissia finanziaria e il governo di Nicosia non avrà altra scelta che stampare moneta propria per impedire che l’economia torni al baratto.
La storia certo non si ripete, ma la Francia e l’Italia di oggi hanno tutta l’aria di trovarsi nel ruolo della Gran Bretagna di allora: potenze in declino costrette a pensare solo a sé, incapaci di esprimere un senso di marcia e una forza che sostenga l’ambiente nel quale si muovono. E la Germania sempre di più si sta calando nei panni dell’America post Grande Guerra dei presidenti Wilson, Coolidge e Hoover: il principale Paese creditore, anch’esso colpito dalla recessione dei clienti ai quali ha prestato i frutti del proprio surplus commerciale in modo da vendere loro sempre nuove merci, ma determinato a non prendersi responsabilità per loro. Se Cipro rischia di saltare, è perché il governo di Berlino ha indicato che Nicosia non deve ricevere più del 45% dei 17 miliardi di euro di cui ha bisogno per salvare le proprie banche. Il resto, lo 0,06% del Pil dell’area euro, i ciprioti devono trovarlo da soli tassando l’unica risorsa di cui davvero dispongono: i depositi bancari, oggi pari ad almeno quattro volte le dimensioni dell’economia di quest’isola che è diventata uno sbilanciatissimo centro off shore per denaro russo (spesso) di dubbia origine.
Le cifre in gioco sono così insignificanti per l’Europa da rendere chiara la natura politica della scelta tedesca. Angela Merkel ha deciso di non assumersi la responsabilità per il sistema e per gli errori degli altri, o di farlo il più tardi e il meno possibile. Si può non essere d’accordo, rileggere Kindleberger e criticare la corta veduta della cancelliera; ma è difficile trovare altri leader europei che agiscano mettendo in secondo piano i propri problemi elettorali o rinunciando a definire gli altri Paesi sulla base di cliché moraleggianti. L’Italia o la Francia potrebbero desiderare un’altra Germania, un egemone lungimirante, ma è con questa che devono fare i conti. Il messaggio di Berlino è chiaro e diretto (implicitamente) anche all’Italia: chiunque oggi e in futuro richieda un sostegno finanziario, dovrà mettere in gioco una parte della propria ricchezza. Il puntiglio con cui la Bundesbank sottolinea che i patrimoni pro capite degli italiani sono più elevati di quelli dei tedeschi può sfiorare la provocazione e l’irresponsabilità, adesso che in un altro Paese dell’area i risparmiatori assaltano gli sportelli per portare i loro soldi altrove. Ma il senso è inequivocabile.
È su questo sfondo che ora Cipro deve scegliere. In teoria, i governanti dell’isola dovrebbero sforbiciare i conti degli oligarchi di Mosca con i quali hanno personalmente fatto ottimi affari fino a ieri. Vari miliardari russi si contano persino fra i clienti dello studio legale del presidente Nicos Anastasiades. Cipro è il caso di una casta che tra oggi e domani deve scegliere fra la propria sopravvivenza come élite di redditieri e il fallimento con espulsione dall’euro del proprio Paese. La storia non si ripete mai, e ogni vicenda è certamente diversa. Ma, c’è da scommetterci, anche in Italia molti seguiranno la decisione di Nicosia con il fiato sospeso.
Federico Fubini