Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 23/03/2013, 23 marzo 2013
GRASSO E TRAVAGLIO CONFLITTO SU 10 ANNI DI LOTTA ALLA MAFIA —
Prima una telefonata in diretta tv, a Servizio pubblico, per lanciare la sfida di un confronto davanti ai telespettatori, poi un messaggio via Internet per accettare l’invito a un programma affine: lunedì prossimo a Piazza pulita, stessa rete e stesso orario. Ma al presidente del Senato Pietro Grasso che vuole il faccia a faccia sulla propria storia di magistrato antimafia, il giornalista Marco Travaglio replica che il «duello» deve avvenire nella trasmissione sua e di Michele Santoro. La stessa in cui, l’altra sera, ha accusato Grasso di essere «molto furbo, uno che sa gestirsi bene, che non ha mai pagato le conseguenze di una sua inchiesta e s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini su mafia e politica».
I «capi d’accusa» a sostegno di questo profilo sono noti e risalenti nel tempo, ma prima la candidatura elettorale di Grasso nelle file del Pd (contemporanea a quella di Ingroia in un’altra lista) e poi la sua elezione allo scranno più alto di palazzo Madama li hanno riportati all’attualità. Come se un decennio e più fosse passato invano. Gli argomenti della discordia sono sempre gli stessi, e risalgono a quando Grasso sostituì Gian Carlo Caselli alla guida della Procura di Palermo, nel 1999. Nel segno della continuità, si disse all’epoca, appoggiato dai magistrati di ogni tendenza e schieramento. A cominciare da Caselli.
La prima mossa a dividere fu la mancata sottoscrizione dell’appello contro l’assoluzione di Giulio Andreotti nel processo di primo grado. Grasso la spiegò non come una presa di distanza, bensì una conseguenza della «piena autonomia dei sostituti di udienza. Per quello che mi è stato detto, condivido l’iniziativa dei miei colleghi». Del resto al momento della sentenza, al posto del predecessore che aveva lasciato la Procura anzitempo, Grasso s’era presentato sul banco dell’accusa accanto ai pubblici ministeri. Ma negli anni a seguire i contrasti aumentarono, provocando un progressivo allontanamento dalle indagini principali dei pm che più avevano collaborato con Caselli, in favore di altri. Primo fra tutti il procuratore aggiunto Pignatone, insieme al quale Grasso gestì — nel 2002 — la collaborazione del neo-pentito Nino Giuffrè.
Quel «pentimento» rimase talmente segreto che quando lo scoprirono due procuratori aggiunti (Scarpinato e Lo Forte) si dimisero dal pool antimafia. Nonostante le giustificazioni addotte, che fecero rientrare la protesta, la spaccatura non si sanò mai fino in fondo. Anzi, si ripropose nel 2004 con le indagini sull’allora presidente della Regione Totò Cuffaro. Grasso e Pignatone gli contestarono il favoreggiamento aggravato, i «dissidenti» volevano il concorso esterno in associazione mafiosa; prevalse il procuratore, e il processo approdò alla condanna in secondo grado, per la quale Cuffaro è tuttora in galera.
Se e quando avverrà, è probabile che questo argomento sarà affrontato nel confronto fra Grasso e Travaglio, insieme alla nomina a Procuratore nazionale antimafia, ottenuta dopo che la maggioranza di Silvio Berlusconi aveva imposto tre leggi (una delle quali dichiarata poi incostituzionale) per escludere dalla corsa Gian Carlo Caselli. Una verità inconfutabile, ma ovviamente non c’è la prova che se Caselli fosse rimasto in gara il Consiglio superiore della magistratura avrebbe scelto lui e non Grasso. Quella norma «contra personam» fu citata da Ingroia, in campagna elettorale, per sostenere che Berlusconi aveva voluto Grasso alla Superprocura; sorvolando sul fatto che i pentiti che anche di recente e con maggiore credibilità hanno parlato dei presunti legami tra Forza Italia e Cosa nostra subito dopo le stragi di mafia furono proprio il Giuffrè gestito in gran segreto da Grasso e poi Spatuzza, che a lui rilasciò le prime dichiarazioni.
Le polemiche sono proseguite, ciclicamente, e proseguiranno. Su comportamenti e scelte naturalmente opinabili e discutibili, come quelle di tutti. A proposito di questioni che a ben guardare si rivelano sempre un po’ più complesse e controverse di come appaiono o vengono riassunte in articoli, talk-show e relative repliche.
Giovanni Bianconi