il Sole 24 Ore 24/3/2013, 24 marzo 2013
I TITOLI DI STATO E LE VARIAZIONI DELLO SPREAD
Egregio Dott. Galimberti,
leggo avidamente la Vostra rubrica anche se non sono più molto junior, vorrei chiedere delucidazioni sui meccanismi di collocazione dei titoli di Stato, mercato primario e secondario, e come fanno gli spread di questi, che hanno natura pluriennale, a variare giornalmente.
RingraziandoLa anticipatamente porgo distinti saluti.
Marco Vischioni
Caro Vischioni,
i titoli di Stato vengono all’inizio venduti, o collocati, sul mercato primario; così chiamato perché è il primo incontro fra l’offerta di titoli (da parte dello Stato) e
la domanda di titoli (da parte dei risparmiatori). Chiunque li può comprare, basta dare istruzioni alla propria banca di acquistare una data quantità di titoli. Quando lo Stato li offre in vendita, decide la quantità da vendere, la durata (che può andare da tre mesi a trent’anni), il prezzo di emissione (di solito 100) e la cedola, cioè il tasso di interesse che frutterà quel titolo. Mettiamo sia un titolo a dieci anni, con una cedola del 4%: vuol dire che il titolo, emesso a 100, renderà 4 ogni anno. Si tratta di un tasso fisso: lungo quei 10 anni di vita del titolo i tassi di interesse per le successive nuove emissioni potranno andar su o andar giù, ma per quel titolo emesso al 4% il frutto sarà sempre 4.
Quando lo Stato emette il titolo, come fa a stabilire la cedola? Fa quel che farebbe qualsiasi negoziante, cioè si chiede: i clienti quanto sono disposti a pagare? Il ragionamento è lo stesso sia che si tratti di vendere un’auto o una maglietta o un titolo a 10 anni. Ma lo Stato ha una guida molto precisa per sapere quanto i clienti sono disposti a pagare: guarda al rendimento, sul mercato secondario, dei titoli già emessi e con una durata simile alla durata del titolo che si vuole offrire. Ma cos’è il mercato secondario? E cos’è il rendimento?
Dopo che quel titolo è stato emesso, sul mercato primario, comincia a essere scambiato su un altro mercato, chiamato appunto secondario, perché viene secondo. Chi aveva comprato il titolo all’emissione può volerlo vendere, per quasiasi ragione. Così come chi non aveva voluto acquistare quel titolo all’emissione può volerlo acquistare in un prosieguo di tempo. A questo punto il prezzo cambia, non è più il 100 iniziale; come tutti i prezzi, dipende dalla domanda e dall’offerta. Supponiamo che ci sia più domanda che offerta: il prezzo allora andrà su, per esempio a 104. Ma allora quanto frutterà adesso quel titolo? Il frutto è sempre 4, ma questo 4 non è più il 4%, perché bisogna metterlo in relazione non a 100 ma a 104. Questa relazione, che esprime quanto rende il titolo, si chiama, appunto, rendimento: il rendimento sarà 4 diviso 104, cioè 3,846%. Del pari, se il titolo scende a 95, il rendimento sarà 4 diviso 95, cioè 4,211. Come vedete, c’è una relazione inversa fra prezzo e rendimento: se il prezzo sale il rendimento scende, se il prezzo scende il rendimento sale. Aritmeticamente è chiaro, ma anche economicamente si capisce: se il prezzo scende vuol dire che quel titolo non attira, e per renderlo più appetibile bisogna che il rendimento sia più elevato.
Se questo è il rendimento, lo spread (parola inglese che vuol dire divario) è la differenza fra due rendimenti, per esempio dei titoli a 10 anni italiani e dei titoli a 10 anni tedeschi. Questi spread variano giornalmente perché riflettono il variare giornaliero del rendimento, che a sua volta riflette il variare giornaliero dei rispettivi prezzi. (f.g.)