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 2013  marzo 23 Sabato calendario

L’ARCHIVIO DEI VINTI TORNANO A PARLARE LE DONNE SENZA STORIA DI NUTO REVELLI

«Mi piace incontrare la gente in cui credo, mi piace continuare il mio dialogo, quel dialogo che è iniziato con La guerra dei poveri e che non si è mai interrotto». Così Nuto Revelli (1919-2004), ufficiale degli alpini nella campagna di Russia e in seguito comandante partigiano nelle formazioni di Giustizia e Libertà, scriveva nell´introduzione di L´anello forte, pubblicato da Einaudi nel 1985. La raccolta delle testimonianze delle donne contadine e della montagna povera delle valli cuneesi, frutto di lunghi anni di ricerche, completava il lavoro appassionato, e unico nel suo genere, che aveva cominciato otto anni prima con Il mondo dei vinti. Un´indagine sul campo, quella dello scrittore piemontese, portata avanti con tenacia per dare voce, per la prima volta, ai "senza storia" e ai "dimenticati di sempre". Per i suoi libri, Revelli utilizzò soltanto una parte delle interviste che aveva realizzato con il magnetofono, facendo parlare i "vinti" e le "vinte" della pianura, delle colline, delle vallate montane scarnificate dalle guerre, dalla fame, dall´emigrazione.
Quei nastri ora sono depositati alla Fondazione Nuto Revelli di Cuneo e fanno parte dell´archivio del cantore dei diseredati, dei soldati mandati da Mussolini a morire sul Don, dei combattenti per la libertà nei venti mesi di guerra partigiana. Animatrice della Fondazione, insieme al marito Marco Revelli, il figlio di Nuto, e vincitrice dell´ultimo premio Bagutta con Spaesati (Einaudi), Antonella Tarpino spiega: «In Fondazione ci sono circa duemila ore di registrazioni fatte da Nuto, oltre alle diverse stesure delle trascrizioni, tre per ogni intervista. È un patrimonio notevole, in buona parte mai reso noto e che stiamo riordinando. Rappresenta, senza dubbio, uno dei maggiori archivi italiani di storia orale. Al momento della pubblicazione di Il mondo dei vinti e di L´anello forte, ovviamente Nuto dovette selezionare e scegliere. In certi casi, poi, per pudore e per rispetto delle persone ascoltate preferì non fare conoscere alcune di quelle testimonianze, perché troppo crude, troppo private oppure troppo riconoscibili».
Le carte inedite dell´Anello forte, alcune delle quali pubblichiamo in forma integrale grazie alla Fondazione Revelli, sono al centro della relazione che la Tarpino terrà oggi al Centro Documentazione Territoriale di Cuneo. Lo farà con Beatrice Verri durante il convegno «Storie di donne nel cuneese», promosso dalla Fondazione e dall´Archivio delle Donne in Piemonte, dall´Istituto storico della Resistenza e dal Laboratorio archivio delle donne di Paraloup, la borgata in corso di restauro, fra la Valle Stura e la Valle Grana, dove si formarono dopo l´8 settembre del 1943 le prime bande della Resistenza. Come già si coglieva nelle pagine di L´anello forte, dice l´autrice di Spaesati, «da queste interviste di Nuto alle contadine e alle montanare delle Langhe e delle vallate emerge, intanto, la terribile condizione in cui erano costrette a vivere: il loro essere "anello debole", insomma. Mi ha colpito quanto diceva una di queste donne: non potendo più tollerare le violenze del marito ubriaco, esclama: "Vorrei essere un rovo!". Nello stesso tempo, però, viene fuori anche l´altra faccia della medaglia: il loro essere "anello forte". Perché furono proprio le donne, rifiutandosi a un certo punto di continuare a sposarsi con i contadini e con i montanari, a fare finire il "mondo dei vinti"».
Donne come quella A. della testimonianza che rendiamo nota in questa pagina. Nuto accennò alla ragazza che aveva lasciato le Langhe per andare a fare l´operaia a Torino e che non aveva timore di manifestare il suo antifascismo, nell´introduzione di L´anello forte. Non volle tuttavia farla conoscere interamente e non la inserì nel libro, forse per non pubblicizzare i particolari più intimi e segreti della vita di A.: i rapporti sessuali con il marito, la presunta follia, l´essere additata come una "masca", una strega.
«Quello delle masche», prosegue la Tarpino, «è un vero codice comunitario, un patrimonio simbolico, nell´universo femminile dei "vinti", soprattutto nella zona delle Langhe. Era una specie di super-io, riguardava tutto ciò che non andava fatto». In altri casi poteva significare un´arma di difesa o, a volte, di presa in giro delle superstizioni e delle credenze popolari: una storia di masche racconta, per esempio, di una donna che aveva fatto credere di possedere il "libro del comando", o delle magie, che invece non era che una raccolta di ricette di cucina.
La cospicua documentazione del Mondo dei vinti e dell´Anello forte, non usata da Nuto per i volumi del 1977 e del 1985, sarà quanto prima, almeno in parte, resa pubblica. Tra i progetti della Fondazione c´è la pubblicazione entro l´anno di alcune delle interviste, edite e inedite, ordinate per temi. E c´è quindi l´idea di dedicare a Nuto Revelli, e al suo lavoro di storico dei "senza storia", una sorta di Meridiano, che raccolga il meglio della sua opera.

Massimo Novelli

"DICEVANO CHE ERA MATTA MA MATTI ERANO GLI ALTRI" –
«Ah, ho già visto le mie, ho dovuto comandare per forza perché ero sola con sei masnà [sei bambini] e il mio uomo è morto giovane, nel ´38. Aveva 49 anni. Morto di un colpo, collasso […] I soldi volevano che li tenessi io. Nel 1910 quando mi sono sposata io, c´era ancora nessuna vettura. Ancora con i buoi. La prima macchina, ero una bambina, ero al pascolo, sono andata a casa e ho detto ai miei: "Ho visto un affare a marciare, nessuna bestia attaccata e marciava". Non sapevo cos´era. Non potevo saperlo. È passato un affare su a Val di Gai [Valle dei Galli], né bestie, né cavalli, né vacche, e lui andava. E la gente dentro. I miei sono rimasti lì, l´avevano sentito dire ma mai visto. Avrò avuto sette anni, e mi ricordo proprio della prima macchina. Lei mi dice che adesso vanno sulla Luna. Io li vedo nella televisione, e ci credo. Ma saranno andati? Mah! Noi non siamo mandati a vederli sulla Luna».
(L. R.)

«Io mi ricordo che un cognato, da vacherot, da masnà, è salito sul fico di un vicino e gli è saltato addosso un gatto nero. Noi dubitavamo già che quella lì era una così. Lui ha preso ‘l puarin [le forbici per potare] e ha detto "se mi vieni vicino ti do una botta". Il gatto è venuto vicino, e lui tac, gli ha dato un colpo. Il gatto è volato via, gli ha tagliato una zampa. L´indomani quella donna aveva tutto il braccio fasciato, e dicevano: "È proprio lei". Tutte le volte che lui prendeva un fico ´sto gatto lo graffiava. Era una vicina di casa. L´ho sentito raccontare tante volte. Dicevano che prima lì all´Annunziata c´era un cane che non lasciava passare. Dicevano anche che nella cascina lì sotto c´era una masca [strega], e ogni tanto tiravano pietre sul tetto e rompevano i coppi. Poi dicono che un papa ha maledetto le masche e loro sono sparite».
«Io ho visto la tomba di suo fratello. Lei gli portava da mangiare a quello che si è ammazzato. È lui che le ha lasciato la cascina, ‘l ciabot. Gli portava ‘dla melia, della meliga, secondo la stagione. All´autunno gli portava della meliga, castagne. D´estate gli portava un mazzo di grano, e in primavera dei fiori, dei bei mazzi di fiori. Poi delle statuette di donne e uomini, e poi dei piatti. La melia gliela portava sgranà, nei piatti, che la potesse mangiare. All´autunno i grappoli d´uva. Andava sulla tomba del fratello a lamentarsi, parlava forte, gridava quasi: "Eh, sapessi Cenin quello che mi hanno fatto. Mi hanno buttato giù le tegole del tetto… E la vigna che ho a Taloria, che tu hai fatto tanta fatica a piantarla, mi han tagliato tutte le viti…". Era mica vero.
Era andata a Torino, a fare l´operaia. È una cosa strana, perché di qui di solito vanno a servitù a Torino. Invece lei è andata a fare l´operaia. Prendeva 8.000 lire di pensione. Sarà andata via di qui che aveva 16-18 anni, a Torino. Si è sposata dopo trent´anni, che era vecchia. Ha preso anche un operaio della Fiat. Venivano su d´estate. La cascina sarà a cento metri da qui… Si ubriacavano, rotolavano per terra, lei gli diceva: "sei ‘l me pèrulin, coniglietto e io sono la tua perulina…". Avrà avuto sessant´anni… Poi si sono separati, lui non poteva più sopportarla, lei era diventata rabbiosa… Perché lei, finita la fabbrica, dicono che andava per le case a vendere stringhe… È diventata strana, mangiava tutto senza sale, beveva tanto fernet, aveva il diabete. Bativa i cuverc [batteva i coperchi, dava di matto], da un anno prima che la mettessero nel ricovero, che intervenisse la questura. Poi è venuto il direttore della clinica, hanno venduto la campagna e la casa…
Non era matta. Matti erano gli altri… Dicevano che era una masca. Che aveva i libri del comando, fava ‘l gioc, aveva le carte… Diceva: "Tu nella vita incontrerai una persona, quella persona ti dirà tante cose, tu non devi crederci". Tutte ´ste cose lì. Andava a fare il gioco alle feste. La gente le pagava da bere, lei soldi non ne voleva, e magari anche da mangiare. Lei diceva: "I soldi non ne voglio, da mangiare ne ho, e i soldi non li mangio. Aveva un prato, ma non l´affittava. Diceva che la terra non bisogna sfruttarla, lasciarla riposare. Anche durante il fascio, oh, lei è andata a togliere il quadro di Mussolini dal Municipio, l´ha buttato in piazza dalla finestra… Non era matta. Beveva e veniva lorda, ma da essere lorda e essere matta c´è una bella differenza. Parlava bene. ‘I cose ì diva a fund [le cose le diceva chiare]. Aveva una grossa testa di capelli, una bella caviera».

Nuto Revelli