Mattia Feltri, La Stampa 23/3/2013, 23 marzo 2013
I LUOGHI DEL FASCISMO NON SIANO TABU’"
La scoperta dell’ultimo bunker del Duce, sotto Palazzo Venezia, è una novità anche per lei, Walter Veltroni, che è stato sindaco di Roma?
«Non ne sapevo niente e la notizia mi ha colpito. Soprattutto perché racconta di una fragilità italiana, che è la fatica di fare i conti col passato. Come è possibile che quel bunker sia rimasto per quasi settant’anni nascosto? Lo è perché abbiamo girato la pagina del fascismo senza averla metabolizzata e compresa. E quindi continuiamo a occultare le tracce fisiche del ventennio».
E abbiamo terrore del revisionismo.
«Facciamo una premessa: io sono contro il revisionismo storico e quello politico. Il fascismo è stato condannato senza appello e la sua condanna è scritta nella Costituzione. Il fascismo e le dittature sono il male assoluto. Chi, come Berlusconi, dice che Mussolini era buono a parte le leggi razziali, o robe del genere, lo fa con furbizia moralmente inaccettabile. Quel regime ha negato i diritti fondamentali, ha assistito e collaborato alla follia di Auschwitz, si è accodato alla guerra dei tedeschi. Sono contro il fascismo senza se e senza ma. Però la storia non è fatta di demolizioni di oggetti».
Cioè?
«Pensate se il Rinascimento avesse cancellato il Medioevo o se ora arrivasse una nuova religione a radere al suolo i segni di chi l’ha preceduta. Vivremmo in uno stupido presente eterno. La storia consegna i suoi prodotti, le sue opere d’arte, la sua architettura ai posteri perché abbiano coscienza e memoria della loro civiltà. Mi sembra assurdo che si continui a nascondere un ventennio che è parte tragica della nostra storia».
A che cosa si riferisce?
«Mi è capitato spesso di assistere a questa rimozione. Nel salone d’onore del Coni c’è un quadro di Luigi Montanarini che si chiama Apoteosi del fascismo . Dal dopoguerra era coperto da un drappo verde. Proposi di toglierlo e mi guardarono con stupore e sollievo perché, siccome sono di sinistra, non ero sospettabile di nostalgia. Ora il dipinto è visibile».
È bello?
«Non spetta a me dare un giudizio estetico. Ero ministro della Cultura, però, e avevo il dovere della salvaguardia dei beni. Bisognerebbe cancellare il genio di Leni Riefenstahl soltanto perché era la regista del Fuehrer o i film sovietici o radere al suolo la Piazza Rossa perché era il luogo del trionfo staliniano?».
Ci vergogniamo del fascismo perché ne erano coinvolti in molti?
«Può essere. Ma se è così è un errore. Il fascismo degli albori - ce lo hanno spiegato Renzo De Felice, Claudio Pavone, Emilio Gentile pur con accenti diversi - ha conquistato intere generazioni di giovani che poi hanno fatto la storia della Resistenza e della democrazia. Penso a Carlo Lizzani, a Pietro Ingrao, a Piero Calamandrei, ma con l’elenco si riempirebbero pagine. È la storia italiana, tutta intera, che dobbiamo capire. Il fascismo è stato un prodotto tragico dello sfascio politico e istituzionale, non un accidente della storia».
E poi avere cura dei simboli e dei luoghi del fascismo li demitizza.
«E’ così. Ricordo una visita a Palazzo Venezia. La sala del Mappamondo, quella dove lavorava il Duce, non era nemmeno indicata. Il balcone era occultato da un paravento nero. Ma che senso ha? Quel balcone non è un feticcio, ma è un metro quadrato su cui si è fatta la storia, una storia tragica. Rimuovere i simboli degli errori è il modo migliore per ripeterli».
Non teme che poi quel balcone lo si banalizzerebbe?
«No. Quel balcone, che era esclusiva del tiranno, deve diventare il balcone di tutti, il balcone della democrazia. Ci si deve salire e si deve guardare la piazza come la vedeva Mussolini il 10 giugno del 1940, quando dichiarò guerra e la folla esultante lanciava i cappelli in aria. Per non dimenticare che cosa è stato».
Lei infatti volle il restauro di villa Torlonia, la residenza privata del Duce.
«E villa Torlonia non è più il luogo del mito. I bambini vanno in bicicletta lungo i sentieri che Mussolini percorreva a cavallo. Si va a mangiare la pizza nella Limonaia. Se però uno ha la passione, va e se la guarda con gli occhi dello storico. La villa era fatiscente. Abbiamo fatto rimettere i pochi mobili rimasti, compreso il letto di Mussolini. O i disegni dei soldati americani che la occuparono. E adesso che la villa è com’era, uno può veramente cogliere il disgusto all’idea che il Duce facesse colazione in giardino mentre i nostri soldati morivano di freddo in Russia».
Che cosa c’è da fare?
«Moltissimo. A cominciare dal recupero della Palestra di scherma di Luigi Moretti al Foro Italico, che è un gioiello. È stata riutilizzata come aula bunker e mi piacerebbe se tornasse all’uso originario. Poi mi piacerebbe se fosse ripristinata filologicamente la sala del Mappamondo e fosse aperto il balcone, settanta anni dopo.».