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 2013  marzo 25 Lunedì calendario

IL MIO NUOTO LIBERO

DAL NOSTRO INVIATO
TUNISI
Quando il regime sequestra corpi, fama, gloria. Quanto ti usa e ti abusa. E ti corrompe con il profumo del privilegio. Sei un suo figlio: devi onorare il padre. E quando ti lascia macchiato, compromesso, segnato. Sei stato solo un fantoccio. Anche se
non volevi, anche se prendevi le distanze. I rivoluzionari ti criticano: ti sei prestato, non ti sei opposto. E tu che volevi solo nuotare devi discolparti. Ti senti straniero in patria, tua madre è corsa a seppellire libri innocenti, ma che potevano essere mal interpretati. Eri, tuo malgrado, l’idolo di un regime, che si è messo al collo il tuo oro olimpico (Pechino 2008), ora c’è la democrazia ma sei costretto a rivincere per dimostrare al tuo popolo che puoi essere la loro faccia. E che non eri il figlio di Ben Ali.
Oussama Mellouli a 28 anni è finalmente libero. Ha faticato e pianto per esserlo. A Londra 2012 con il titolo olimpico nella 10 km di fondo e con il bronzo sui 1.500 si è scrollato di dosso l’etichetta di servo del regime per diventare il campione della primavera araba. Tanto che aveva chiesto al suo sponsor (Arena) una linea con la scritta “
I love Tunisia”.
Questa è la storia di come la politica condanni un ragazzo a nuotare sempre contro, non solo contro i suoi avversari, ma anche contro il suo Paese. E di come la politica faccia prigioniero lo sport. Mellouli viene da una famiglia semplice: padre, ispettore alla dogana, mamma maestra, due fratelli più grandi, una sorella. Vivono a La Marsa, sul mare, quartiere a nord di Tunisi. La madre Khadija, non sa nuotare, e insiste perché i figli imparino, per evitare il rischio di affogare in spiaggia. «Oussama da neonato urlava, ma solo quando lo tiravo fuori dall’acqua, lui ci stava benissimo».
Un allenatore si accorge che quel ragazzo ha talento e lo manda in un centro federale in Francia, a Font-Romeu sui Pirenei. È l’unico tunisino. Si sente solo, piange, chiama la famiglia. Poi a 17 anni parte con una borsa di studio per la California. Ma intanto il regime gli ha messo gli occhi addosso. Dice Oussama: «Ho incontrato per la prima volta Ben Ali nel 2001, con una nostra delegazione a Tunisi per i Giochi del Mediterraneo. Per la generazione dei miei genitori
era un dio. Non me ne sono più liberato. Ero diventato famoso, quindi servivo. Mi chiamavano per augurare buon anno al Paese. Ma come lo dicevo io non andava mai bene. Dovevo augurarlo al presidente, a sua moglie, il popolo veniva dopo. Mi manipolavano. Quando a Pechino vinsi i 1.500, primo campione arabo olimpico nel nuoto, mandarono la stampa: a chi dedichi il titolo Oussama? Alla mia famiglia. Insistevano: e a chi altro? A mia madre, a mio padre, ai miei fratelli, alla Tunisia. Ma a loro non andava bene. Chiamarono casa mia, dissero che c’era un problema, che mi comportavo male, mio padre si raccomandò: quando parli in tv non dimenticarti del presidente. Io non volevo mettere in imbarazzo
la mia famiglia, papà è poliziotto, difficile rifiutare di essere
esibiti. Ero il simbolo della giovane Tunisia. Quando c’erano le elezioni venivano a casa mia e mi riprendevano facendo vedere attraverso la busta trasparente che avevo votato per Ben Ali. Il presidente mi invitava nella sua lussuosa residenza al mare. L’ho incontrato quattro volte e ogni volta il protocollo era lo stesso: arrivava a prendermi una Mercedes, mi annunciavano, mi offrivano da bere, e dovevo fare foto con Ben Ali che mi stringeva la mano e mi parlava molto piano. Così ero costretto ad avvicinarmi. Mi faceva sentire importante, diceva che a Pechino
nei 1.500 avevo vinto con un tempo eccezionale, si rendeva conto che in Tunisia non c’è cultura natatoria. E io ero contento del suo apprezzamento, che capisse che per me era dura lottare in acqua contro americani e australiani. Il governo mi finanziava, io ero riconoscente al mio paese, anche perché i soldi erano del popolo. Vivevo e studiavo a Los Angeles, seguivo la politica tramite la
Cnn,
non ero tanto al corrente di quello che capitava nel mondo e del gesto disperato di Mohamed Bouazizi ».
Mellouli a inizio 2010, mondiali
in vasca corta di Dubai, vince quattro medaglie. Quando atterra in Tunisia gli dicono che all’aeroporto c’è Ben Ali. «Sono stato ricevuto come un capo di Stato estero, avevano chiamato anche la mia famiglia nel salone presidenziale, non capivamo perché. Era propaganda, voleva dimostrare al paese che tutto era tranquillo e andava bene. Pochi giorni dopo è scoppiata la rivoluzione e il 14 gennaio il presidente ha lasciato il potere. Io ero già ripartito per Los Angeles, altrimenti sarei sceso in strada. E sapete il 15 chi mi ha chiamato e non so ancora come abbia fatto
ad avere il mio numero americano? Giovanni Malagò che mi invitava a Roma, con la mia famiglia, nel caso avessi avuto problemi. Il solo a preoccuparsi, un vero signore. E sì i problemi per me sono arrivati un mese dopo. Non ero più benvoluto nel mio Paese. Dicevano e scrivevano che ero sposato con la figlia di Ben Ali, Halima, che io nemmeno conoscevo. E poi hanno mostrato una petizione dove insieme a 65 personalità pregavo Ben Ali di ripresentarsi alle elezioni 2014. Lista fatta dal ministero dell’Interno senza chiederci nulla. E poi c’erano i regali del regime e il mio nome insieme a quelli di politici un po’ mafiosi. Nel 2008 dopo il mio primo titolo olimpico avevo chiesto un terreno. Sapevo che Mohamed Gammoudi, primo atleta tunisino nel ’68 a vincere un oro ai Gio-
chi in Messico nei 1.500 metri piani, aveva ricevuto in premio molti ettari dal presidente Habib Bourguiba ed ero consapevole di non poter contare sugli stessi sponsor di un nuotatore francese. Ben Ali è rimasto sorpreso dalla mia sfacciataggine, ma me l’ha dato e io ci ho fatto costruire una casa. Per il popolo tunisino quella era la prova che mi ero venduto e che ero il suo figlioccio. Non era giusto, era pura cattiveria. Io mi allenavo come una bestia per una Tunisia libera, ma ero così oppresso e addolorato, che ai mondiali di Shanghai nel 2011 non ho combinato nulla. E ormai quando passeggiavo per Tunisi sentivo il commento e il disprezzo: Ben Ali se n’è andato e tu non vinci più. Per la prima volta nella mia vita mi sono vergognato».
«Il mio popolo mi considerava un traditore. Allora sono andato in tv, in un programma popolare, ho accettato il faccia a faccia, ho chiesto di farmi tutte le domande e mi sono spiegato. Ma non sarebbe bastato, avevo bisogno di vincere a Londra, dovevo fare questo regalo alla democrazia. Ho sofferto come un cane per prepararmi ai Giochi, ho penato, io non ho uno staff che mi segue, mi sono curato da solo, tra dubbi e fantasmi. E dato che ai Giochi ho gareggiato sotto Ramadan e in gara mi hanno inquadrato mentre mi reidratavo, a casa mi sono arrivate le minacce di morte dagli estremisti islamici. E di nuovo mi sono sentito in trappola. Ma adesso quando torno in Tunisia i bambini per strada mi abbracciano e mi dicono che sono fieri di me. Ho dovuto ingoiare tanta acqua, ma ora sì, sento che nuoto
tra il popolo».