Alberto Gaino-Letizia Tortello, Niccolò Zancan, La Stampa 23/3/2013, 23 marzo 2013
GRINZANE, 14 ANNI A SORIA: "SONO UN MARTIRE"
«Inaudito». L’avvocato Aldo Mirate, uno dei difensori di Giuliano Soria, spende questo aggettivo per commentare a caldo la sentenza di condanna a 14 anni e mezzo del padre-padrone dei premi letterari del Grinzane Cavour, moltiplicatisi negli anni - dalla letteratura al cinema - di pari passo con i fondi generosamente elargitigli da enti pubblici di ogni colore politico: 19.361.215,45 solo dalla Regione Piemonte nei 4 anni e 7 mesi che precedettero il suo arresto (marzo 2009) per una sfilza di reati.
Sono stati l’avvocato Mirate e il collega Gianluigi Visca a portare al professore la notizia della dura condanna. E all’aggettivo «inaudito», chiuso nel suo appartamento torinese di 500 metri quadrati (ipotecato dalle banche e da ieri sotto sequestro conservativo per essere messo a disposizione delle parti civili) il celebre ex organizzatore di premi culturali ha sostituito giudizi molto più forti: «Quattordici anni si danno ad un omicida. Sono un martire». In aula non si è mai presentato ed è restato sino alla lettura della sentenza un imputato contumace. Il lungo dibattimento, presieduto dal giudice Paola Trovati, ha dato ampio spazio ai testimoni della difesa e, alla fine, la condanna è stata più severa della richiesta (12 anni) della Procura.
Poco importa che sia stato condannato soprattutto per violenza sessuale, maltrattamenti e per il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: la sua principale vittima, il giovane cameriere delle Mauritius, Hemrajsing Dabeedin, oltre che lavorare in nero per lui (non avendo il permesso di soggiorno) dalle 8.30 alle 24, veniva insultato, costretto a mangiare cibi scaduti, molestato mentre lavava i piatti e in due occasioni svegliato con carezze molto al di là dei limiti dell’affettività. Anche per il linguaggio riservatogli dal professore - «Negro puzzi, animale, travestita» - non è mai stato considerato una persona, ma un essere inferiore, come altri alle sue dipendenze, mentre Soria si compiaceva dell’amicizia di uomini e donne potenti.
Il resto della pena si distribuisce fra i reati di peculato, truffa aggravata, appropriazione indebita, malversazione (questi ultimi due a rischio di prescrizione nei prossimi anni) che i pm Gabriella Viglione, Stefano Demontis e Valerio Longi sono riusciti a dimostrare, per 4 milioni: un quinto dei contributi pubblici ottenuti negli ultimi anni. Di questi, 400 mila euro sono di peculato commesso in concorso con il fratello Angelo, dirigente della Regione Piemonte che dispose direttamente una parte di finanziamenti, e che ieri è stato condannato a sette anni.
C’è stata una terza condanna nel processo - 2 anni e 10 mesi per lo chef Bruno Libralon, considerato un piccolo clone del più celebre Giuliano Soria in fatto di malversazione di contributi pubblici.
Giuliano Soria si sentiva un intoccabile, ha utilizzato fondi pubblici per acquistare appartamenti per sé e arredarli con ogni comodità. Gli è stato tutto sequestrato da Torino a Parigi. E solo grazie alla coraggiosa denuncia dell’ex cameriere maltrattato, il «re dei premi» è sceso dal piedistallo.
Alberto Gaino e Letizia Tortello
IL PROF CHE AMMALIAVA I POTENTI ABBATTUTO DAL POVERO IMMIGRATO -
Passeranno alla storia le comitive in viaggio dall’Etiopia a San Pietroburgo. I banchetti, il tartufo, la cantina piena di «Barolo Letterario». L’imponente agenda digitale con 14 mila contatti suddivisi per ruoli, influenze e utilità. Ai tempi in cui si poteva trasformare un premio letterario in un’industria, ricevere in quattro anni oltre 19 milioni di finanziamenti pubblici esenti da controlli, spenderne quattro e mezzo «per scopi personali».
Nel giorno della condanna pesantissima, Giuliano Soria risponde al telefono con la stessa voce depressa degli ultimi mesi: «Quattordici anni di carcere non si danno neanche a un omicida. Non ho altro da dire, grazie». C’era una volta in cui aveva da dire, eccome. Lui era il presidente del premio letterario Grinzane Cavour, una multinazionale di successo. Un’istituzione italiana in continua espansione, con appendici e sottopremi. Viaggi in giro per il mondo, giornalisti e politici al seguito. Tutti volevano parlare con lui. Anche se lui era già
«il grande antipatico». E certe asprezze del carattere, quelle che poi lo avrebbero fatto cadere, erano note e commentate. Ma era un’altra città. Un altro Paese. Il potere culturale passava anche attraverso i modi burberi di quest’uomo, nato a Costigliole d’Asti da una famiglia di commercianti e contadini, che urlava in faccia al suo domestico: «Sei un idiota, uno schiavo! Sporco negro! Inginocchiati davanti a me».
Ecco. L’inizio della storia è fondamentale per capire questa sentenza. L’inizio non è un sussulto della politica, non è un controllo tardivo del sistema, neppure un ravvedimento del presidente Soria. Ma l’indignazione di un ragazzo di 27 anni nato alle isole Mauritius, di nome Hemrajsing Dabbedin, detto Nitish. Se siamo qui a parlarne è solo grazie al domestico insultato, umiliato e molestato di notte.
È gennaio del 2009 quando Nitish va a fare denuncia. Per due mesi nulla trapela. Fino a quando gli agenti della Guardia di Finanza organizzano il primo controllo sui libri contabili del Premio Grinzane. Entrano nel palazzo di via Montebello, dove oltre agli uffici c’è anche l’appartamento di Giuliano Soria, cinquecento metri quadrati con vista Mole Antonelliana. Siamo al 12 febbraio 2009. Il blitz viene immortalato nell’intercettazione di un dipendente: «Delirio al Grinzane! È passato l’ispettorato del lavoro e Soria, da Genova, ha fatto fuggire tutti gli irregolari pagandoci la giornata prima che l’incaricato ci beccasse. Una scena memorabile. Qualcuno ha fatto una soffiata, il marcio sta venendo alla luce...». È l’effetto Nitish. E già allora - al primo controllo - Giuliano Soria è iscritto nel registro degli indagati anche per maltrattamenti e violenza sessuale. A quei tempi, essere avanti con le notizie non era apprezzato da tutti. Erano giorni di silenzi pubblici e commenti telefonici, svelati poi dalle carte dell’inchiesta. L’assessore regionale Luigi Ricca via sms: «Ti auguro di poter parlare presto solo del tuo straordinario lavoro». Il marito di Mercedes Bresso, allora presidente della Regione Piemonte: «Io e mia moglie ti sosteniamo. È tutta una montatura». Vedere nel fango Soria era un po’ come riconoscere Torino nello stesso pantano. In quei giorni, prima di finire in carcere, il professore rilasciava poche dichiarazioni amarissime, pur ricevendo a colloquio alcuni amici giornalisti. «Non sono il mostro di Düsseldorf». «Questa città è ingrata». «Bisogna cercare il mandante del complotto». Non si troverà mai. Solo la voce del ragazzo arrivato dalle Mauritius. Presto, alla sua denuncia, si aggiungeranno quelle di altri dipendenti vessati. Altri controlli della Finanza. Altre scoperte.
È una macchina spremi soldi, quella inventata da Giuliano Soria. Il fratello Angelo, funzionario in Regione, è la sua sponda. I finanziamenti arrivano a pioggia, senza bisogno di rendicontazione. Il bilancio del Premio Grinzane Cavour è un buco nero. Con soldi pubblici, Giuliano Soria si compra mezza casa per un valore di 800 mila euro. Ristruttura gli alloggi di Torino, Parigi e Ospedaletti. Solo di tappezzeria, 48 mila euro. Riceve 158 mila euro per un corso di lettura, ma ne destina una minima parte. Riceve un milione e 700 mila euro dai Beni Culturali, che quasi spariscono nel nulla. «Percentuali rilevanti vengono usate per finalità estranee», scrivono gli investigatori. Ma a quei tempi Giuliano Soria era ancora il re. L’incontrastato re della cultura.
Niccolò Zancan